LE INEGUALI CONSEGUENZE DELLA PANDEMIA
La crisi non colpisce tutti allo stesso modo: se ne parlerà mercoledì 23 in un incontro on line con l'economista Maurizio Franzini
di Guido Memo
22 Settembre 2020
Mercoledì 23 settembre alle ore 18.00‚ riprendono gli incontri della serie Futuro Prossimo. Con Maurizio Franzini – Docente di Politica Economica de La Sapienza‚ Università di Roma, si parlerà delle “Ineguali conseguenze della pandemia” (per partecipare è necessario registrarsi a questo link)
L’incontro nasce dalla necessità di capire come la pandemia ha e avrebbe colpito in maniera diseguale, in particolare in Italia. In maniera disuguale non tanto dal punto di vista della salute: per fortuna esiste nel nostro Paese un sistema sanitario nazionale universale, che cura tutti, senza distinzione tra ricchi e poveri. Ma in maniera diseguale dal punto di vista della crisi economica che la pandemia ha causato, con un allargamento della disoccupazione, una perdita di reddito dei più fragili e precari, messi ai margini.
Ma proprio perché la pandemia ha conseguenze diverse, perché diversa è la condizione economica e sociale tra gli italiani, diventa inevitabile, prima di rispondere alla domanda sulle ineguali conseguenze della pandemia, vedere qual’era, allo scoppio della pandemia, la situazione dal punto di vista delle disuguaglianze in Italia e come era mutata negli ultimi anni, quali erano e sono le tendenze in atto.
Franzini è la persona più qualificata allo scopo, è lo studioso italiano che più ha studiato in questi anni le disuguaglianze che sono andate crescendo, in maniera inaccettabile. Non si tratta di un pericoloso estremista, direi che invece è un economista che è rimasto fedele ai valori di suoi maestri:l’economia serve a migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
Si tratta di maestri come Federico Caffé o Luciano Barca, che hanno contribuito come economisti a una fase di sviluppo diversa del nostro Paese, rispondendo al principio costituzionale, per cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (»È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale»).
L’aumento delle diseguaglianze
Per capire quel che è successo negli ultimi anni occorre allargare lo sguardo nello spazio e nel tempo. L’Italia non è un isola chiusa al resto del mondo, da sempre i suoi destini sono legati a ciò che avviene intorno a lei e, oggi più di prima, nel resto del pianeta.
Cioè nel lungo periodo si è ridotta la povertà estrema nel mondo, anche se nel 2015 continuava a riguardare oltre 700 milioni di esseri umani, cifra che certamente si aggraverà a seguito della pandemia. Questo è avvenuto perché c’è stato uno sviluppo di diverse economie emergenti, particolarmente in Asia, in parte in America Latina, anche in Africa. Basti pensare allo spettacolare sviluppo della Cina, che da sola rappresenta più di un quinto dell’Umanità e che in trent’anni è passata dall’essere uno dei Paesi più poveri del mondo ad essere la prima potenza industriale.
Ma lo sviluppo economico e sociale, che ha permesso l’affrancamento della povertà estrema di una parte consistente dell’Umanità negli ultimi trent’anni, è però avvenuto in maniera particolarmente distorta, non solo per la sua sostenibilità ecologica e ambientale, ma anche per la sua sostenibilità sociale: ovunque i ricchi sono divenuti sempre più ricchi, sia che si tratti di grandi magnati, ma anche di manager, mentre nei Paesi a economia sviluppata i normali lavoratori, appartenenti sia ai ceti intermedi come alla classe operaia, hanno visto una stagnazione e un peggioramento delle loro condizioni.
Cosa è avvenuto dal 1980 al 2016, sempre a livello di tutto il mondo, lo si vede dalla Fig. 2: in orizzontale c’è la popolazione mondiale, pari a 100, in verticale la percentuale di crescita del reddito globale nel mondo. Come si può vedere, il 50% dell’umanità più povero (bottom) della popolazione mondiale ha avuto un consistente miglioramento, ma riuscendo a intercettare solo il 12% della crescita, mentre l’1% si è accaparrato il 27%. In mezzo, il restante 40% ha avuto uno scarso miglioramento in 36 anni.
In buona sostanza si è sviluppato un capitalismo finanziario oligarchico che ricorda, ma anche supera, l’Ancien Régime di prima delle Rivoluzioni inglese, americana e francese.
Quel che è poi avvenuto negli Usa e in Europa si può vedere dalla Ffigura 3, che ci dice come il reddito del 10% più ricco della popolazione si sia ridimensionato notevolmente dopo la Crisi del ’29 sino agli anni ‘70/’80, ma dopo di allora negli Usa ha ampiamente recuperato, in Europa molto meno, ma ha pur sempre recuperato posizioni.
In Europa è andata meglio e questo risulta evidente se facciamo un confronto tra Europa continentale, Usa e GB, come si può ben vedere dalla figura che segue, sempre relativa all’andamento della quota di reddito nazionale detenuto dall’1% più ricco tra 1974 e 2009. Si vedono bene in questo caso gli effetti delle politiche avviate da Ronald Reagan negli Usa e Margaret Thatcher in GB.
Quali siano poi le conseguenze sulla ripartizione della ricchezza lo si può vedere dal grafico che segue:
- se tra inizio del ‘900 e anni ’70 si era assistito a un riequilibrio, soprattutto in Europa e soprattutto nei confronti dell’1% più ricco, che possedeva da solo inizialmente il 60% della ricchezza;
- lo stesso fenomeno, sempre in Europa è avvenuto, ma in maniera più limitata , rispetto al 10% più ricco, che inizialmente possedeva il 90% della ricchezza;
- Comunque dopo il ’70 la curva si è invertita.
Dipende anche da noi
Quello che abbiamo visto è il quadro delle tendenze economiche e sociali per quanto riguarda gli andamenti di lungo periodo. Come inciderà ora la pandemia? Quanto aggraverà questa situazione? Può essere l’occasione per cominciare ad invertire la tendenza e riprendere il cammino percorso sino agli anni ’70 del 900? E quale ruolo svolge in questo quadro il contesto europeo e la UE?
L’aumento delle disuguaglianze è stato determinato negli ultimi trent’anni da processi prevalentemente di carattere internazionale, che avevano il loro epicentro negli Usa, ma le politiche della UE non hanno contrastato, semmai hanno contribuito ad ampliare le disuguaglianze tra Paesi e all’interno degli stessi, tant’è che si era oramai posta l’esigenza di porre su nuove basi l’unificazione monetaria e l’Eurozona, riprendendo quel cammino di cooperazione che era stato lo spirito fondante della UE.
Il “Next Generation Plan” (il Piano per la ripresa dell’Europa), varato a fatica dalla UE e che vede un significativo cambiamento di rotta della Germania, segna una svolta nelle politiche europee? Una svolta duratura o temporanea?
Dipende anche da noi. Sì, dipende anche da organizzazioni di volontariato come le nostre, da reti della “società civile” con una forte presenza del Terzo Settore, come ad esempio il Forum Disuguaglianze e Diversità, o l’Alleanza contro la povertà, o l’Asvis, o la rete Sbilanciamoci… Ma queste reti hanno un peso e un ruolo se insieme a loro c’è quel vasto mondo sociale che per le sue sensibilità e per l’opera che svolge nella società non può non essere impegnato in un’iniziativa che migliori il contesto nel quale opera, perché non bisogna solo medicare le piaghe sociali, ma agire per rimuoverne le cause.
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