LE SFIDE DELLA TERZA ETÀ DEL FUTURO

Invecchiamento attivo e politiche di inclusione sociale. Enzo Costa racconta i nuovi obiettivi di Auser a 25 anni dalla fondazione

di Claudia Farallo

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Enzo Costa, presidente Auser

Una legge sull’invecchiamento attivo. È questa la sfida lanciata oggi dall’Auser, che dopo 25 anni di storia indica le nuove sfide per la terza età del futuro: non solo sostegno a chi ha problemi di autosufficienza, ma anche incentivi all’integrazione sociale, contro l’emarginazione e l’inattività a cui si può andare spesso incontro nell’età post lavorativa. Il libro “25 anni insieme. Storia, identità e organizzazione dell’Auser”, presentato a Roma, ripercorre un viaggio che approda in una società dove la popolazione anziana è sempre più incidente e per la quale si sente l’esigenza di un nuovo sistema di welfare. Del percorso fatto e delle nuove strade da percorrere abbiamo parlato con il presidente, Enzo Costa.

Cosa raccontano i 25 anni di Auser?
«Sono 25 anni di passione, vissuti attorno a un tema che inizialmente sembrava quasi una scommessa e poi divenne invece una realtà molto attuale. L’Auser nasce il 5 maggio 1989 sulla base dell’idea che vedeva una società demograficamente sempre più anziana e la proiettava verso quello che oggi è diventata».

Cosa è cambiato da allora?
«L’Auser iniziò con un progetto, l’acronimo infatti era Autogestione servizi per la solidarietà, dove si pensava che le persone che diventavano anziane potessero gestire dei servizi rivolti alla stessa età. Oggi l’Auser ha dei nuovi obiettivi: oltre a continuare a svolgere servizi per le persone non autosufficienti, ha come progetto principale quello di sviluppare politiche per l’invecchiamento attivo».

Cosa intendete per “invecchiamento attivo”?
«Oggi, finita l’età lavorativa, abbiamo davanti ancora dai 20 ai 25 anni da spendere. Quindi bene allungare gli anni della vita, ma bisogna anche riempirli di contenuti facendo sì che le persone si sentano parte integrante della società. Gran parte dell’attività che l’Auser svolge oggi è di tipo culturale, ha come principio generale quello di costruire momenti di socializzazione, tra le persone anziane, ma anche intergenerazionale. I 25 anni di Auser ci fanno dire che quella che fu una grande intuizione è oggi una realtà matura e pronta a fare un salto di qualità importante».

copertina giustaUn salto di qualità in che direzione?
«Stiamo rivendicando la necessità che questo Paese si doti di una legge per l’invecchiamento attivo; che tutta la formazione non formale, che è quella dell’età adulta, rientri a pieno titolo nei progetti regionali; e che le persone adulte siano continuate ad essere trattate e definite come persone, e non come un problema o un costo, come spesso accade, per esempio quando si parla di sanità».

Cosa inserire in una legge sull’invecchiamento attivo in Italia?
«Lo dimostra l’Auser, che utilizza nella stragrande maggioranza delle sue attività dei volontari anziani. Mobilitiamo 45mila volontari ogni giorno: sono persone in grado di dare una mano per tenere aperto un museo, per tenere aperta una biblioteca che altrimenti chiuderebbe, quando fanno i nonni vigili di fronte alle scuole, quando si muovono dentro le mense della Caritas. Allora, una persona che finisce l’attività lavorativa può svolgere tranquillamente tantissime attività, basta canalizzarle e incentivarle. Non significa retribuirle, ma mettere nelle condizioni chi organizza di incontrarsi con gli anziani».

Quindi pensate a una legge che incentivi e regoli un inserimento più strutturato della persona anziana in queste attività.
«Certo. Noi pensiamo che, come esistono politiche di welfare per i bambini, per l’età dello studio e del lavoro, ne devono esistere anche per l’età post lavorativa. Sono politiche di inclusione sociale, che devono combattere l’emarginazione. Si pensi al fatto che una persona, quando lascia il lavoro, nei successivi cinque anni non riesce a trovare nuovi interessi e nuove amicizie, o un nuovo mondo in cui essere impegnato. Il rischio nel 50% dei casi è quello di cadere nella depressione».

E qui entra in gioco l’invecchiamento attivo.
«La prima regola generale per invecchiare attivamente è quella di continuare a offrire uno scopo di vita, nel senso che una persona si deve alzare la mattina e sapere qual è l’impegno che lo aspetta, senza che questo sia assimilabile a un lavoro. Parliamo di impegni sociali, con ricadute che vanno incontro alle esigenze dell’anziano, perché si sente un soggetto utile, ma anche a beneficio dell’intera comunità. Ma qualsiasi forma di volontariato, compresa quella dell’invecchiamento attivo, ha bisogno di stimoli».

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