LIBERAMI. L’ESORCISMO COME NUOVA FORMA DI ASSISTENZA SOCIALE
Un documentario mostra quanto è diffuso. E quanto metta in crisi il concetto di malattia e quello di cura.
19 Settembre 2016
Liberami, il documentario di Federica Di Giacomo, che sarà nelle sale il 29 settembre, ci mostra quanto sia diffusa la pratica dell’esorcismo oggi. E come la Chiesa torni in auge perché crea comunità, e risponde al nostro bisogno di ascolto e di cura
È un assioma assodato, che se credi in Dio dovresti credere anche nel Diavolo. Io credo in Dio, ma nel Diavolo non ho mai creduto. O meglio, non ho mai creduto veramente nelle possessioni, ben sapendo che chi ha scritto un film come “L’esorcista” si è evidentemente basato su fatti veri.
Vedendo le immagini di Liberami, il documentario di Federica Di Giacomo presentato al Festival di Venezia, dove ha vinto la sezione Orizzonti, è difficile non credere alla possessione, e quindi agli esorcismi. O almeno porsi il dubbio. “Liberami” è un viaggio nel mondo di chi è in preda a una possessione, o crede di esserlo, o chiama possessione il proprio malessere. Ruota intorno alla figura di Padre Cataldo, veterano degli esorcisti, ricercatissimo in Sicilia e non solo, letteralmente assediato 24 ore su 24 da persone che cercano nella fede in Dio, e quindi in lui, la risposta ai propri disagi.
Se dietro alla possessione si celano probabilmente altri problemi, come la depressione per un tradimento, o il classico rifiuto della scuola per i bambini, in certi casi è difficile non credere che dietro al male ci sia qualcos’altro. Di fronte alla voce delle persone che cambia timbro, a corpi che si dimenano, urla belluine, movimenti convulsi e a occhi che ruotano all’indietro, è difficile non credere che alcune persone siano possedute. E che “L’esorcista”, il famoso film di William Friedkin del 1974, sia solo finzione.
L’arcaico e l’oggi
«Sono credente, nel senso che non sono atea, ma non sono cattolica», risponde la regista alla nostra prima domanda, che ci è venuta spontanea per capire il punto di vista da cui è partita. «Ho un punto di vista laico e scettico, come la maggior parte di noi. Mi interessava il contrasto tra antico e moderno, tra qualcosa di così arcaico come l’esorcismo e il mondo di oggi. Ho scoperto che era qualcosa che non riguardava solo il passato, non solo il presente ma anche il futuro: c’era una crescita esponenziale di persone che chiedevano di essere liberate, e la Chiesa stava nominando sempre più esorcisti, fino ad arrivare ad uno per diocesi. È un fenomeno non solo italiano, ma mondiale. Ho letto alcuni articoli, ho cercato i giornalisti per farmi dare delle fonti, e ho conosciuto il primo padre esorcista. La sua vita, dopo essere nominato esorcista, è stata trasformata. È assediato da persone giorno e notte. La questione era ribaltata: non era la Chiesa che proponeva l’esorcismo, ma erano le persone che avevano bisogno di dare un nome a quello che avevano».
Il rischio di non riconoscere la malattia
La questione quindi si sposta. Il fenomeno comincia a farci porre domande sul concetto di malattia, di cura, su cosa siamo disposti a fare per essere curati. In questo senso, c’è il rischio che si tenda a spiegare tutto con la possessione: una depressione, l’apatia, un disagio mentale, una dipendenza da droghe.
«Il rischio c’è», conferma Federica Di Giacomo. «Ma bisogna anche dire che la Chiesa è consapevole. Fa lezioni di psichiatria, sulle mode giovanili, sul satanismo. È evidente che, nel momento in cui si nomina un esorcista per diocesi, non tutti possono essere preparati. Anche loro fanno degli errori, umani, di interpretazione. Ma gli errori possono essere fatti anche dalla psichiatria, quando si danno gli psicofarmaci ai bambini, o si tende a risolvere tutto con una terapia farmacologica. Nell’esorcismo i preti agiscono all’interno del dogma della Chiesa. Ma nella società tante altre cose sono diventate dogma: con troppa facilità si danno psicofarmaci, si riconduce tutto alla psicologia e alle sue categorie, e non tutti gli psicologi hanno la giusta preparazione. I rischi ci sono da tutte le parti».
Ma che cosa accade se si scambia per possessione una malattia, e non la si cura? «Se c’è una malattia psichica e non viene riconosciuta, può aggravarsi, perché la persona entra in uno stato di autosuggestione», spiega la regista. «Ma l’esorcismo rientra in un percorso spirituale proposto dalla Chiesa con momenti comunitari catartici molto forti. C’è un’accoglienza da parte della Chiesa, è un percorso che può arricchire l’essere umano. Ci sono cose che non sono solo l’esorcismo, come pregare, andare alle messe, che possono aiutare: è come la terapia collettiva, i gruppi di mutuo aiuto, gli alcolisti anonimi. Quello che ho visto è che c’è un grandissimo bisogno di ascolto, di potersi confidare, di essere rassicurati. E la Chiesa allora torna in auge, Anche perché è gratuita».
La comunità come terapia
L’esorcismo allora diventa una nuova forma di assistenza sociale per disagi contemporanei, la risposta al bisogno spasmodico della nostra società di trovare una cura, rapida, efficace e risolutoria. «Abbiamo molte possibilità terapeutiche, ma sono quelle dell’occidente borghese», riflette la regista. «Non tutti hanno la possibilità di andare dallo psicologo una volta a settimana. La Chiesa continua a diventare interessante, perché propone una comunità, qualcuno che non giudica, perché la Chiesa deve accogliere tutti, per missione. Offre persone disponibili a tutte le ore. Il nostro è un sistema capitalista, basato sulla prestazione, non permette a tutti di curarsi. Il prete allora diventa un guaritore moderno. Loro stessi dicono di essere l’ultima spiaggia, spesso dopo che le persone vanno prima anche dai maghi, spendendo molti soldi».
Liberami non è un horror
Liberami è quel tipo di documentario senza voce narrante e senza interviste, in cui il regista si fa invisibile e il racconto scorre fluido. In questo modo veniamo immersi nelle giornate di Padre Cataldo, e nelle vite di Gloria, Enrico, Anna e Giulia. La macchina da presa li segue nelle loro vite quotidiane, e nelle preghiere di comunità che possono durare anche tre ore e in cui decine di persone condividono un rito collettivo di catarsi.
Quello che colpisce è il fatto che la pratica dell’esorcismo non sia qualcosa di straordinario, un caso eccezionale da film horror, ma qualcosa che è in mezzo a noi, che convive con la nostra esistenza di tutti i giorni. Diventa un appuntamento settimanale, una ritualità precisa nella vita di tutti i giorni.
«Abbiamo strutturato il film come se fosse una lunga giornata» ci spiega Federica Di Giacomo. «Ci permetteva di dare il senso di quello che abbiamo vissuto noi. Una Messa dove fino a metà sono tutti normali, poi c’è un’esplosione, e poi si torna tutti a casa. La possessione diventa metafora di tante altre possessioni, cioè dipendenze, alienazioni: ho visto chi gioca, chi va dal cartomante, e negli occhi c’è la stessa assenza».
I posseduti non sono fanatici ipercattolici, ma persone che si avvicinano alla Chiesa in un momento difficile. E la Chiesa li accoglie. «La figura del posseduto cambia» riflette l’autrice. «La maggior parte delle persone che ho conosciuto erano arrivate per caso, andavano in chiesa ogni tanto, avevano una cultura cattolica ma non frequentavano assiduamente le messe. In questi casi le famiglie si ricompattano, i preti chiedono di portare tutta la famiglia. E si inizia insieme un percorso religioso. Abbiamo scelto dei casi che rappresentassero la media delle persone normali. Si avvicinano più a tutti noi, mentre lo stereotipo del genere horror ti allontana immediatamente. Tutti sono pazzi, i preti sono cattivi. Quello che abbiamo visto noi è un’altra cosa. E, in un certo senso, potrebbe riguardare chiunque».