LIBERE NANTES: CALCIO E INTEGRAZIONE (AL FEMMINILE)
Da un progetto europeo, a Pietralata è nata Libere Nantes, squadra femminile di calcio a cinque. «Ora il progetto è chiuso, ma continuiamo ad allenarci».
08 Marzo 2019
Il cielo è blu, sopra il campo XXV Aprile di Pietralata. E da alcuni mesi è anche un po’ rosa. Perché accanto alla Liberi Nantes, la squadra per cui tutti facciamo il tifo per quello che rappresenta, c’è la Libere Nantes, una squadra femminile di calcio a cinque. È nata da S(up)port Refugees Integration, progetto europeo finanziato nel quadro di una pilot action della DG EAC della Commissione Europea, che ha offerto a donne rifugiate e richiedenti asilo la possibilità di accedere gratuitamente a corsi di calcio, touch rugby, atletica leggera/ginnastica posturale ed escursionismo.
Il corso di calcio è andato avanti, si è pensato di iscrivere le ragazze a un torneo. E così sono nate le Libere Nantes, guidate da un’allenatrice giovane, appassionata ed esperta, Maria Iole Volpi. «Mi sono praticamente offerta» ci ha raccontato. «Quando Alberto Urbinati, il presidente della Liberi Nantes, mi ha parlato di questo progetto con una squadra di ragazze, sapendo che sono abbastanza impegnata, mi ha chiesto se conoscessi qualcuno per allenarle. Per una cosa così bella ho deciso volentieri di dare una mano». «Credo fermamente nello sport come forma di educazione, di socializzazione e di integrazione, ci credo da sportiva e da essere umano» continua. «Non avevo mai lavorato con i rifugiati politici. Ho capito che sarei riuscita a ritagliare uno spazio del mio tempo per questo progetto. E mi ci sono trovata dentro con tutte le scarpe: sono riuscita a viverla completamente».
LE STORIE RESTANO FUORI, MA POI RIENTRANO. Allenare una squadra come questa non è un lavoro come gli altri. Perché ogni ragazza portava con sé delle storie molto particolari. Anche se si cercava di lasciarle tutte fuori dallo spogliatoio, fuori dal campo. «Non ho mai chiesto niente, né ho indagato più di tanto» ci racconta Maria Iole Volpi. «Quello che ho sempre detto alle ragazze è che noi siamo qui tutte insieme e siamo tutte uguali: italiane, nigeriane, algerine. Non ho voluto lasciare spazio ai trascorsi personali. Il primo incontro è stato “siamo qui per giocare a calcio”». «Sono stata anche severa con loro» continua. «Per fare capire loro che noi dovevamo essere più puntuali degli altri, più precisi, più corretti proprio per dimostrare a noi stessi che noi possiamo farcela».
Certe storie, per quanto le si lasci fuori dal campo, inevitabilmente, improvvisamente, possono anche ritornare. «Ci sono stati degli screzi in campo per me immotivati» racconta l’allenatrice. «Andando a indagare abbiamo scoperto che magari una persona era nervosa perché aveva perso il fratello, che era stato assassinato, o aveva subito violenze. Tante cose sono emerse senza volerlo, con sfoghi spontanei delle ragazze. Ma in campo eravamo tutti uguali. E continuiamo a battere sul rispetto. Non appena impariamo a rispettare i compagni gli avversari e gli orari abbiamo raggiunto l’integrazione».
PARLARE LA STESSA LINGUA. Il progetto ha radunato al Campo XXV Aprile ragazze che non avevano mai giocato a calcio e fatto sport di squadra. Così si partiva dai fondamentali. Lo stop. Il controllo di palla. Ma le ragazze hanno una capacità di apprendimento eccezionale. E tanta passione. «Queste ragazze per venire al campo dovevano fare dei lunghi viaggi, partivano anche due ore prima dai vari centri di accoglienza» ci racconta Maria Iole. «Erano mosse dalla passione. Vedere i loro miglioramenti allenamento dopo allenamento è stata una cosa emozionante. A distanza di mesi tutti ci fanno i complimenti per i loro passi avanti dal punto di vista tecnico». Al di là dell’aspetto tecnico, sono state affrontate insieme tante piccole problematiche. «In campo ognuno parlava con la propria lingua» ci racconta l’allenatrice. «Ma io dicevo “qui si parla italiano”. È una forma di integrazione».
Anche le Libere Nantes hanno avuto le giocatrici chiave. «Avevamo una giocatrice molto brava tecnicamente, che aveva già giocato» racconta Maria Iole Volpi. «Chinelo, una ragazza nigeriana, era brava a livello tecnico, ma fisicamente non aveva resistenza, e lavorando è diventata un punto di riferimento per la squadra». Oggi non è più nelle Libere Nantes, perché si è trasferita a Torino, ma ha contribuito a far crescere la squadra. «Barbara, un’altra ragazza nigeriana, ha iniziato da zero ed è diventata il nostro muro, un grande difensore» aggiunge. Una prima svolta è stata quella di iscrivere la squadra a un torneo amatoriale. Perché imparare a giocare, allenarsi, senza il sapore della partita non sarebbe stata la stessa cosa. «La prima, e unica, vittoria è stata una gioia» racconta l’allenatrice. «Ed è stato difficile anche far accettare loro il fatto che non era facile vincere, non era scontato».
UN PROGETTO CHE DEVE ANDARE AVANTI. Il progetto si è concluso a dicembre ma la Libere Nantes sta continuando ad allenarsi. La speranza è quella di portarla avanti, con tutte le difficoltà del caso. «Abbiamo iniziato un percorso e nessuno si tirerà indietro» afferma convinta Maria Iole Volpi. «Il discorso di aver provato ai coinvolgere le ragazze, a chiedere di portare amiche, ci sono ragazze italiane che si allenano con noi. Si è creato un gruppo. Credo che quando c’è la passione la maniera di andare avanti si trova».
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