MAFIE NEL SUD PONTINO: I CITTADINI CHIAMANO LE ISTITUZIONI
Dall'incontro "Mafia & mafie: testimonianze dalle terre di nessuno" un messaggio: contro le mafie serve l'impegno personale, ma anche quello delle istituzioni
09 Dicembre 2021
Sabato 4 dicembre, presso il Piccolo teatro “Iqbal Mashi” di Formia, TIC – Teatro di Impegno Civile (qui il sito) in collaborazione con il CSV Lazio – Casa del Volontariato del Sud Pontino, ha organizzato un incontro dal titolo “Mafia & mafie: testimonianze dalle terre di nessuno“, per parlare delle mafie nel Sud Pontino, attraverso le testimonianze di personaggi che hanno vissuto e vivono tuttora questa piaga sociale in prima persona. Ad aprire l’evento è stato Don Luigi Merola, Il prete di Forcella che nel 2004 ebbe il coraggio di schierarsi apertamente contro la camorra, dopo che una ragazzina innocente venne assassinata a causa di un agguato camorristico. Proprio in occasione del funerale della giovane, Don Luigi Merola si espresse chiaramente contro la camorra. Questo suo atteggiamento lo portò a subire ripetute minacce, tanto che fu messo sotto scorta (scorta che il prete ama definire “i miei angeli terreni”). Ad oggi, Don Luigi Merola ricopre il ruolo di consulente della Commissione Parlamentare Antimafia. È dirigente dell’Ufficio III della Direzione per lo Studente e Presidente della fondazione “A voce de’ creature”.
«Sono contento di prendere parte di nuovo a degli eventi in presenza dopo 18 mesi e sono felice che ciò avvenga proprio a Formia, che ritengo casa mia», ha esordito Don Luigi. «Cosa trovo nelle periferie? Le periferie sono le marginalità sociali. Lì troviamo tossicodipendenti, malati e poveri. Papa Francesco dice che i preti devono essere pescatori di uomini; lo penso anch’io. Questa deve essere la missione di noi sacerdoti. Dobbiamo lavorare e raccontare le terre di nessuno, quelle terre in cui nessuno vuole andare.»
A conclusione del suo intervento, Don Luigi ha poi voluto esprimere il suo pensiero sulle criminalità organizzate, affermando che «la mafia e la camorra crescono dove non c’è lo Stato. Esse trovano terreno fertile laddove lo Stato non fa lo Stato. Il “vaccino” per vincere le mafie è l’unione, e questa sera ne siamo stati capaci.»
Le mafie negli agglomerati urbani multietnici
Al convegno ha preso parte anche Luigi Bevilacqua, Presidente dell’associazione Lav Romanò per la lotta contro ogni forma di razzismo. Egli promuove la cultura romanì e si impegna a costruire percorsi mirati per creare alleanze fra comunità romanès, istituzioni e società civile.
«La camorra c’è, la mafia c’è, ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio», ha detto. «Ci sono molte persone oneste anche in contesti in cui le mafie fanno da padrone. Il problema nasce dalle istituzioni. Se creiamo condizioni mono-etniche, creiamo dei ghetti. Così facendo, vengono a formarsi i cosiddetti agglomerati urbani multietnici che non sono altro che dei luoghi non-luoghi da cui non possiamo aspettarci situazioni favorevoli. Si tratta di un meccanismo creato dalle istituzioni dall’alto, con l’intento di escludere determinate comunità dal processo di integrazione. È un problema sociale, non culturale». E «la globalizzazione è una delle cause principali, poiché pone l’aspetto economico al centro e mette gli esseri umani in secondo piano. Queste persone diventano senza valori, senza cultura, senza storia. Non esistono vincoli reali. Esistono delle barriere artificiali create appositamente per impedire il libero accesso alla società».
E su delinquenza e discriminazione aggiunge: «A prescindere da chi la muove, la delinquenza è un qualcosa da combattere sempre. Purtroppo c’è sempre stata e ci sarà ancora, ma può e deve essere ridotta. Il concetto di discriminazione, invece, va contestualizzato. Nel nostro caso, infatti, se non fossero stati gli immigrati o i rom coloro da additare, avremmo avuto altre categorie contro cui scagliarci. Dunque, la questione non è relativa alla discriminazione contro specifiche comunità etniche, al contrario possiamo dire che è strutturale.»
Mafie nel Sud Pontino e schiavitù nei campi
Cosa c’entra la criminalità organizzata con l’immigrazione e il lavoro nei campi? Come ben descritto in un focus dal quotidiano La Repubblica, le mafie nel Sud Pontino guadagnano in ogni passaggio, dalle tratte nel mediterraneo, dalle terre che sono spesso di loro proprietà, dai camion, dalle percentuali sulla frutta e verdura raccolta e dalla movimentazione del raccolto all’interno degli ingrossi. Fra i più importanti a livello nazionale, troviamo quello di Fondi. Al MOF – Mercato Ortofrutticolo Fondano, vi è una forte presenza criminale. Il business degli ortomercati è così importante che più volte i boss di camorra, Cosa Nostra e Ndrangheta si sono incontrati e hanno pianificato una spartizione del mercato per evitare conflitti.
A descrivere la situazione disumana che i ragazzi immigrati sono costretti a vivere in Italia è stato un ragazzo senegalese di 24 anni che sabato sera è salito sul palco e ha deciso di condividere la sua esperienza in totale umiltà: «Ho lavorato molte volte senza contratto e, quando me l’hanno sottoscritto, ho lavorato molte più ore di quanto fosse stabilito. Ci costringono a lavorare 15 ore al giorno. Perché agli italiani viene riconosciuto il diritto di non lavorare tutte queste ore e a noi no? Vorremmo ribellarci, ma non possiamo. Siamo costretti a stare zitti, perché altrimenti non avremmo da mangiare, perché nessuno ci aiuta.» E ancora: «Ho paura a denunciare perché se lo facessi mi toglierebbero il permesso di soggiorno. Noi immigrati non ci sentiamo tutelati, abbiamo paura. Dobbiamo sottostare a quello che ci impongono i nostri datori.»
Anche il giovane ragazzo africano ha voluto concludere il suo intervento trattando il tema della discriminazione e ricordando che «da quando sono in Italia, vivo continui episodi di discriminazione. Molte volte subisco questi atteggiamenti mentre sono in viaggio in treno per andare a lavoro. Diverse volte mi è capitato che i controllori chiedessero il biglietto soltanto a me e ad altri ragazzi di colore, ignorando gli altri passeggeri italiani seduti nel mio stesso vagone. Se questa non è discriminazione, cos’è?»
Le periferie come opportunità
A concludere l’incontro è stato Padre Daniele Moschetti, missionario comboniano presso la comunità di Castel Volturno, che ha da sempre condotto una guerra speciale alle discriminazioni nelle periferie africane e italiane. È stato ed è tuttora testimone di violenze e soprusi. «Ho sempre scelto le frontiere. È una possibilità per riscoprire le dimensioni e le varie realtà del mondo. Noi pensiamo all’Africa e ci chiediamo perché i migranti vengano qui da noi, senza pensare che il più delle volte siamo noi la causa principale. Pensiamo, ad esempio, agli sfruttamenti che abbiamo esercitato e che ancora esercitiamo nelle loro terre. Dobbiamo tornare nelle frontiere, aprire gli occhi e il cuore. Stiamo perdendo la nostra umanità e me ne rendevo conto ogni volta che tornavo in Italia dai miei viaggi in Africa.È vero, negli anni abbiamo imparato dagli errori della nostra storia e li abbiamo anche messi per iscritto, ma a volte la memoria storica è corta ed è quello che sta avvenendo in Italia. Scordarsi della storia ci porterà a ripetere gli errori. Vi invito a venire a Castel Volturno a vedere qual è la realtà. È facile vedere quattro immagini in tv, impietosirsi e poi, dopo qualche minuto, tornare alla propria vita ordinaria e far finta di nulla. Papa Francesco ci ha detto che siamo tutti sulla stessa barca, ma è vero? Noi italiani siamo emigrati in tutto il mondo e abbiamo anche portato la mafia e la camorra all’estero. Ecco allora che dovremmo ricordarci bene cosa significhi stare nella “stessa barca”e aiutare questi popoli.»
Sulla gestione dei migranti a Castel Volturno, Padre Moschetti afferma: «Stiamo cercando di dialogare con il Comune e con le istituzioni, ma non c’è nulla da fare. Grazie ai fondi europei e nazionali vengono creati progetti, ma i soldi spariscono puntualmente. Ecco come si muovono ad oggi le mafie: una volta minacciavano ed uccidevano, oggi tessono le fila dietro al movimento dei migranti. Per questa ragione bisogna intervenire innanzitutto in prima persona e poi cercare di collaborare con le istituzioni pubbliche, sperando che non siano corrotte o coinvolte in strategie mafiose.»
In questo incontro è stata sottolineata a più riprese l’importanza di non perdere la speranza, ma soprattutto l’umanità. Laddove le istituzioni mancano, siamo noi a dover fare il nostro e non dobbiamo abbracciare l’omertà. Soltanto in una società coraggiosa, le mafie possono essere sconfitte.
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