LA PELLE È DIVERSA, QUELLO CHE CONTIENE NO

Il "Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana" ci ricorda che il 99.9 per cento del Dna è condiviso da tutti gli uomini

di Paola Springhetti

«Non sono, ecco, non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Dopotutto non si possono rimproverare. Oh, no. Non si può. Non hanno mai avuto quello che abbiamo avuto noi. Il guaio è… che non ne riesci a trovare uno che sia onesto.» Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon nel 1973, riferendosi a noi italiani. Che oggi diciamo esattamente le stesse cose a proposito degli stranieri, con cui ci troviamo a coesistere e forse a convivere. La citazione è tratta dal sito dedicato al “Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana” nel quale, oltre al testo del Manifesto, si trovano una serie di contributi e informazioni che ruotano attorno ad alcuni concetti fondamentali: la razza non esiste dl punto di vista biologico, i diritti sono tali per tutti, la diversità è un valore.

Il manifesto – un testo limpido, da leggere assolutamente – è frutto del lavoro di  Maria Enrica Danubio (Università dell’Aquila e Istituto Italiano di Antropologia), Pietro Greco (Giornalista scientifico), Alessandra Magistrelli (Insegnante), Mariano Pavanello (Università La Sapienza, Roma e Istituto Italiano di Antropologia) ed Elena Gagliasso (Università La Sapienza, Roma), coordinati da Giovanni Destro Bisol (Università La Sapienza, Roma e Istituto Italiano di Antropologia), che abbiamo intervistato.

 

Manifesto della Diversità e dell’Unità UmanaCome è nato il “Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana”?
«Sicuramente abbiamo voluto cogliere un’importante ricorrenza storica: ottant’anni fa è stato pubblicato il “Manifesto della razza”. Però in realtà c’è una motivazione più profonda e sta in ciò che stiamo vivendo, nelle posizioni che si rendono evidenti, soprattutto da parte di alcune parti politiche, spesso anche con poca onestà intellettuale, quando si parla delle difficoltà sociali legate ai flussi migratori. Tra l’altro senza avere una reale conoscenza dei dati del problema.

L’altra idea che ci ha mosso era quella di portare alcuni temi, anche antropologici, fuori dalle università, ricongiungendo l’antropologia alla vita sociale. E nello stesso tempo di fare un’azione di sintesi tra aspetti culturali e aspetti biologici, abbattendo separazioni disciplinari che impediscono una conoscenza e una riflessione più profonda e un coinvolgimento più ampio.»

E infatti il manifesto afferma che il concetto di razza non ha fondamento scientifico. Perché molti sono convinti del contrario?
«Perché siamo tratti in inganno dalla nostra percezione. Vediamo la differenza tra pelle bianca e pelle scura e pensiamo che sia differente anche tutto ciò che ci sta dentro. In realtà la “buccia” nasconde un interno molto omogeneo: non dobbiamo dimenticare che gli aspetti cognitivi e morali non differiscono tra razze, ma al limite tra individui. Nel “Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana”ricordiamo che le differenze genetiche tra individui di una stessa popolazione sono poco più piccole di quelle che si verificano tra individui di continenti diversi. Inoltre, in ogni singola popolazione è presente gran parte di tutta la diversità genetica umana. Gli uomini condividono, in media,  il 99.9 per cento del DNA: quello 0.1 per cento che rimane è una porzione importante, sì, ma non contiene nulla che permetta di dare credito a qualsiasi categorizzazione razziale. In realtà, il dato che spicca è la nostra estrema somiglianza, che però non cancella la peculiarità e il valore di ogni individuo. »

 

Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana
L’ultimo libro del professore Giovanni Destro Bisol

Lei parla di popolazioni, non di razze. Ma anche attorno al concetto di popolazione si può costruire discriminazione.
«Infatti oggi raramente i politici usano il temine “razza”: usano in modo discriminatorio altre definizioni, come “islamici”, che fa riferimento all’appartenenza religiosa, o altre che fanno riferimento all’appartenenza culturale. In ogni caso si creano gruppi che vengono stigmatizzati come tali: si annulla il valore dell’individuo, il rispetto per le persone, inserendole in grandi contenitori (gli africani, i gialli…). C’è da dire che il razzismo non è un’attitudine solo occidentale: forme di intolleranza possono nascere in altri contesti, spesso disagiati. Per quanto difficilmente paragonabili alle forme di razzismo che si sono sviluppate in occidente, sono comunque forme che portano ad essere ciechi di fronte alla diversità individuale ed a ragionare in termini di categoria. Per questo dobbiamo far arrivare la comunicazione del nostro messaggio in contesti diversificati, dove possiamo vedere i diversi punti di vista e anche imparare: nessuno di noi ha un quadro chiaro e completo delle situazioni e dobbiamo chiederci come far sì che il nostro messaggio porti a una riflessione, autonoma e critica, il più possibile condivisa.»

La diversità è una ricchezza, ma anche un problema.
«Senza la diversità, non saremmo arrivati dove siamo arrivati. È connaturata alla nostra evoluzione, il mescolamento è insito nella nostra storia. Ce lo insegnano tutte le grandi civiltà: lo scambio reciproco ha creato nuove opportunità. A questo punto, bisogna però introdurre il tema della compatibilità, su cui ha recentemente riflettuto anche l’antropologo Francesco Remotti: la diversità non è bella in quanto tale, e dobbiamo scegliere come conviverci. Ma per questo noi abbiamo un punto di riferimento forte, che è la Costituzione: è lì che troviamo i nostri valori imprescindibili, anche se a volte sembrano essere messi in discussione. È chiaro, però, che nessuno deve rinunciare alla propria identità, ma ognuno deve essere disponibile a inserirla in un’appartenenza più ampia, che si può basare sui valori che i nostri genitori, i nostri nonni ci hanno trasferito, facendo sì che fosse scritta la nostra Costituzione. Ma per passare dal dire al fare, bisogna aprirsi al dibattito reale, coinvolgere le persone, fare in modo che siano parte attiva del ragionamento, facendo leva non solo sulle conoscenze biologiche o culturali, ma anche guardando insieme al piano emotivo insito nella vita delle persone. È un lavoro lungo, da fare per gradi, ma importante, per arrivare a muovere le coscienze.»

 

Manifesto della Diversità e dell’Unità Umana
Razzismo e intolleranza si combattono condividendo i saperi

Non dobbiamo rinunciare alla nostra identità, è vero. Ma noi abbiamo radici genetiche africane, e radici culturali greche, latine, cristiane…
«Sarebbe bello fare un discorso unitario. È vero, le nostre radici genetiche sono africane, quelle culturali sono plurali. Siamo abituati a concentrarci sulle differenze, senza cogliere ciò che ci accomuna agli altri popoli, alle altre culture. C’è un lavoro di ricucitura da fare, per restituire valore alle differenze ma anche  a ciò che ci accomuna e ci rende tutti esseri umani.»

Intolleranza e razzismo. Come si combattono?
«Condividendo i saperi, siano essi biologici o siano culturali, e perdendo l’idea di confini. E confrontandosi con l’umanità: si tratta di portare le persone alla consapevolezza di avere un destino comune, una storia comune alle spalle e davanti un futuro sempre più comune; di riscoprire, in fondo, quei valori italiani tanto autocelebrati, quanto oggi messi in secondo piano, come la solidarietà (che non va declinata come carità ma come agire insieme). Ci serve una visione del mondo integrata, per affrontare i problemi sociali reali. In fondo, noi stessi in passato siamo stati discriminati (come dice l’incipit di questo testo); adesso dovremmo essere capaci di ascoltare e loro, i nuovi arrivati che sono discriminati oggi, dovrebbero essere quelli che raccontano, per essere capaci di comprenderci a vicenda e per sviluppare una vera convivenza».

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