MARIA MONTESSORI: EDUCARE VUOL DIRE AMARE

In Maria Montessori – La nouvelle femme Jasmine Trinca interpreta una delle scienziate italiane più note al mondo. Al cinema dal 26 settembre, parla di pedagogia ma anche di riscatto femminile

di Maurizio Ermisino

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«La nuova pedagogia deve conoscere l’anima sublime della maternità. Un’educazione piena d’amore. Per educarli li abbiamo soprattutto amati». Jasmine Trinca, nei panni di Maria Montessori, sta parlando dei bambini di un istituto, dei piccoli disabili che, grazie a un’educazione fatta di amore, cura, vicinanza prima ancora che di istruzione, li ha riportati alla vita, a un loro rapporto con il mondo. Stiamo parlando di Maria Montessori – La nouvelle femme, il film di Léa Todorov in cui Jasmine Trinca interpreta una delle scienziate italiane più note al mondo, in arrivo nei nostri cinema dal 26 settembre. Maria Montessori ha rivoluzionato con il suo metodo l’educazione e l’approccio all’infanzia. Il “Metodo Montessori” oggi è una realtà riconosciuta, ma al tempo, per Maria Montessori, non fu facile affermarlo. E affermare se stessa in un mondo dominato da paternalismo e maschilismo. Maria Montessori – La nouvelle femme è un film che lavora su due piani: la sua idea di educazione e la sua lotta per i diritti del bambino. E quella per i diritti delle donne.

Due donne diverse, un’intesa inaspettata

Il film di Léa Todorov vive sull’incontro tra Maria Montessori e Lili d’Alengy, una figura immaginaria, una donna mondana parigina che ha una figlia disabile, Tina, di cui si vergogna e che tiene nascosta per proteggere la sua carriera nei salotti dell’alta società. Decide di portarla a Roma da dove arriva notizia di una pedagogista che sa come trattare casi simili. Le due donne, Jasmine Trinca e Leïla Bekhti, sono completamente diverse, Ma trovano un’intesa inaspettata che fa crescere entrambe.

La cura del corpo per accogliere l’istruzione

Fin dalle prime battute si resta colpiti e affascinati dagli albori del Metodo Montessori. Maria inizia a prendersi cura dei bambini dell’istituto già a partire dal loro corpo. C’è una stretta relazione, dice, tra la sensibilità del corpo e l’apprendimento. Così prende molto tempo a far lavare i ragazzi: i bagni sviluppano la sensibilità della pelle e preparano i bambini ad accogliere l’istruzione. «Con i nostri metodi possiamo farli apprendere, lavorare ed essere utili per la società». È un discorso estremamente attuale: pensiamo ai ragionamenti di Nico Acampora a proposito dei ragazzi autistici, e in generale di una nuova considerazione della disabilità. Ma dobbiamo pensare che qui siamo ai primi del Novecento. Quei bambini, con estrema naturalezza, li chiamano ancora idioti, deficienti. O anche, con più cattiveria, scimmie ben addestrate. «Gli idioti restano idioti, non cambiano» dice chi dovrebbe finanziare gli studi di Maria Montessori. Che nel suo istituto insegna la psicomotricità, il rapporto con lo spazio e l’ambiente circostante, il rapporto con il proprio corpo. E poi le materie tipiche della scuola.

maria montessori
«La nuova pedagogia deve conoscere l’anima sublime della maternità. Un’educazione piena d’amore. Per educarli li abbiamo soprattutto amati»

Questi bambini sono capaci se qualcuno crede in loro

Il film colpisce per la carica che portano in scena dei ragazzi disabili che donano verità alla storia e interagiscono in modo eccezionale con gli attori. «Abbiamo iniziato a lavorare con grande anticipo rispetto alle riprese» ci ha spiegato Léa Todorov. «Abbiamo fatto degli stage con questi bambini, sulla danza, il canto, il teatro e la rappresentazione corporea. Poi abbiamo lavorato con Jasmine e abbiamo iniziato a provare le scene. Loro sono stati veri e propri attori, ma anche i bambini che sono nella realtà. Hanno fatto un lavoro straordinario, hanno parlato italiano nel film: per i problemi di locuzione il loro accento francese non si sente. Così hanno sfruttato questa occasione e sono riusciti a dimostrare che sono capaci se qualcuno crede in loro». «L’incontro con loro qualche tempo prima delle riprese mi ha portato a fare tante scene in modo piuttosto ordinato» ha spiegato Jasmine Trinca. «Ma come emotivamente sono entrata in contatto con loro mi ha permesso dopo di diventare la Montessori. L’impatto è stato molto più sconvolgente di quello che mi sarei aspettata. Mi sarei aspettata di controllare, ma mi sono resa conto che non potevo farlo; ho dovuto usare un altro canale, quello dell’empatia e dell’amore».

La piccola Rafaelle ha fatto un percorso di rappresentazione di se stessa

L’interesse per queste tematiche viene dall’esperienza personale della regista. «È qualcosa che ho capito a posteriori» spiega Léa Todorov. «Stavo scrivendo il film al momento della nascita di mia figlia. Per due anni ho seguito con lei un percorso terapeutico, ho incontrato molte Maria Montessori: persone che permettono ai bambini di camminare, parlare, mangiare. Dopo questi due anni, in cui ho scoperto questo mondo, ho pensato che era doveroso parlarne nel film». Così come l’esperienza personale della regista, è stato importante anche l’incontro con la giovanissima Rafaelle Sonne-Ville-Caby, che interpreta la piccola Tina, e sua madre, che è stata disponibile ad aiutare la figlia ad entrare nel film. «Rafaelle si è messa generosamente dentro al film, ha fatto un percorso impegnativo di rappresentazione di se stessa» racconta Jasmine Trinca. «E la madre è stata parte di questo percorso. La scelta che fa la madre di Raffaelle è una scelta politica, quella di volere che la figlia sia rappresentata, è un sentimento che io condivido».

Una donna che rinuncia a una parte di sé per una sua visione del mondo

«Il matrimonio non è un patto d’amore tra due persone. È un asservimento». Lo vede così Maria Montessori nel film. Non si sposa perché la madre, che avrebbe voluto studiare, dopo il matrimonio non ha potuto farlo. Maria Montessori, però, in questo modo, non può riconoscere il proprio figlio, è costretta lasciarlo fuori città, presso una balia. E poi lo abbandonerà per quasi 12 anni, tornando poi da lui e restandoci accanto per tutta la vita. Accanto alla questione dell’educazione, a quella della disabilità, in questo film c’è la questione femminile. Maria non è retribuita per il suo lavoro. Non pubblica le ricerche a suo nome. Quando ha iniziato il suo percorso di studi era un impensabile che una donna studiasse medicina. Il problema era l’anatomia: la conoscenza del corpo era solo appannaggio maschile, e non si poteva pensare che una donna guardasse dei cadaveri. «Maria Montessori non viene riconosciuta economicamente per il lavoro che fa, non viene riconosciuto il suo nome» commenta Jasmine Trinca. «Ma è una donna che rinuncia alla maternità, a una parte di sé, per una visione politica, una sua visione del mondo. È un film d’epoca ma che parla alle donne di oggi, a noi, al lavoro che dobbiamo fare e a quelle che verranno dopo di noi». «Ha lottato contro il pensiero della sua epoca quasi con una lotta corpo a corpo» aggiunge Léa Todorov.

Non voglio essere la proprietà di nessuno

Ma oggi la maternità può essere un ostacolo per fare un certo tipo di percorso e carriera? «La maternità è un ostacolo nella misura in cui c’è un sistema sociale che non permette questo» risponde Jasmine Trinca.  «C’è uno stigma profondo nel dare il giusto riconoscimento a una donna nell’affermarsi in tutti i campi in cui desidera farlo sostenendola economicamente rispetto ai suoi colleghi uomini». «Maria Montessori dice che non vuole diventare la proprietà di nessuno: è una frase che vale ancora oggi» spiega Lea Todorov. «Non è un fatto finanziario, ma il fatto di non appartenere a qualcun altro se non a se stessi».

MARIA MONTESSORI: EDUCARE VUOL DIRE AMARE

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