MARILYN HA GLI OCCHI NERI. E NOI PORTIAMO GLI ALTRI DENTRO DI NOI
È uno di quei film che guarda alla diversità, in questo caso al disagio mentale, in un modo mai pietistico, ma con ironia, leggerezza, anche allegria, ma senza dimenticare mai la realtà, che a tratti è drammatica.
20 Ottobre 2021
«Marilyn era mora, poi si è tinta i capelli ed è diventata bionda. Hanno creato un mito a tavolino. È tutto finto». È quello che dice Clara a Diego. Ed è tutto finto quello che fa Clara con il Monroe – non a caso dedicato a Marilyn – il locale immaginario che crea, postando foto di piatti che il loro ristorante non ha ancora mai cucinato. Diego (Stefano Accorsi) e Clara (Miriam Leone) sono i protagonisti di “Marilyn ha gli occhi neri”, diretto da Simone Godano e scritto da lui insieme a Giulia Steigerwalt, un sorprendente film, al cinema dal 14 ottobre.
È la storia di due persone che si trovano in un centro diurno di riabilitazione per persone con disagio psichico. Lui è uno chef, ed ha appena perso il lavoro perché ha distrutto completamente la sala di un ristorante. È iracondo, incontrollabile. Ma ha anche una figlia di cui prendersi cura, anche se è affidata alla moglie. Lei è un’attrice, o almeno questo è quello che dice. Ma, in qualche modo, ha dato fuoco alla casa dove viveva con l’ex marito. Ma, insomma, è una che ne racconta tante. Così i due si trovano in una terapia di gruppo in un centro diurno per persone con disturbi mentali. Il medico decide di aprire al pubblico la mensa del centro, dopotutto un cuoco ce l’ha, ma pensa a far pranzare le persone che frequentano un centro anziani. A Clara però viene in mente di dare vita a un vero ristorante, il Monroe, e di lanciarlo su un social network. Solo che il Monroe ancora non esiste e quei piatti che appaiono su un simil Trip Advisor non li ha ancora mai cucinati nessuno.
“Marilyn ha gli occhi neri” è uno di quei film che guarda alla diversità, in questo caso al disagio mentale, in un modo mai pietistico, ma con ironia, leggerezza, anche allegria, ma senza dimenticare mai la realtà, che a tratti è drammatica. È quello sguardo verso le persone che non arriva mai dall’alto, ma sta allo stesso livello, non racconta i personaggi guardandoli da lontano, ma guardando loro dentro. Un po’ quello che hanno fatto artisti che amiamo, come Fabio Bonifacci e Giulio Manfredonia con “Si può fare”, e Nicola Guaglianone e Gabriele Mainetti con “Lo chiamavano Jeeg Robot“. “Marilyn ha gli occhi neri” è una commedia, un film drammatico e una commedia sentimentale.
La malattia mentale e noi
Per costruire la sceneggiatura, Simone Godano e Giulia Steigerwalt hanno passato intere settimane nei centri diurni, per guardare da vicino queste persone e il loro comportamento. «Io e Giulia avevamo assistito a una proiezione di un nostro film, “Croce e delizia”, in un centro per disabili», ha raccontato il regista. «Era una proiezione notturna totalmente gestita da loro: proiettavano il film, facevano gli hot dog, facevano le domande. Avevamo letto di un ragazzo inglese che aveva perso il lavoro e aveva creato un finto locale, in una capanna. Conoscendo le logiche di Trip Advisor e del meccanismo dei social media, in due mesi, senza aprire, è riuscito a diventare il primo ristorante di Londra».
Questi due spunti, messi insieme, hanno dato vita a “Marilyn ha gli occhi neri”. «Quando ci siamo avvicinati a tutto questo mondo ci siamo resi conto che la malattia mentale e il centro diurno erano come una cassa amplificata nella quale ognuno di noi si può ritrovare» ha spiegato Giulia Steigerwalt. «Ognuno di noi ha le sue stranezze, le sue manie, le sue fragilità, il sentirsi non accettato. La bellezza sta nell’accettarsi e amarsi per quello che è veramente. Nel momento in cui ci si accetta si può tirare fuori la migliore versione di noi stessi».
Un approccio empatico
L’importanza di andare nei centri diurni e toccare con mano la vita lì dentro è stata importantissima anche per gli attori. «La preparazione nei centri diurni è stata molto forte», ci ha raccontato Miriam Leone. «Sono stata con queste persone spacciandomi per una di loro, camuffandomi per poter stare con loro. Pranzare nei centri mi ha reso normale l’approccio a questo personaggio».
Il copione nato dall’osservazione di questa realtà così è diventato molto forte ed è stato il punto di partenza per il lavoro degli attori. «Si capiva che c’era un approccio empatico con i personaggi, che li si guardava dall’interno», ha spiegato Stefano Accorsi. «Il percorso di avvicinamento ai personaggi è leggere, documentarsi, incontrare, parlare con persone che hanno le fragilità, ma anche con le persone che li aiutano. Ci sono persone seguite da dottori e aiutate da degli chef che fanno in cucina quello che facciamo noi nel film».
L’altro è dentro di noi
“Marilyn ha gli occhi neri” è un film che diverte, commuove e fa pensare. «È naturale che ci si interroghi sulla diversità in un momento di grande conformismo», riflette Miriam Leone. «È un momento di fermento, vedo tanta novità anche nelle nuove generazioni. Questo film ci porta ad ammettere che l’altro è dentro di noi». È un film che parla della possibilità di essere diversi, e di non sentirlo come un peso.
Alla fine, ma solo alla fine, c’è la storia d’amore, che però è soprattutto la possibilità di fare insieme qualcosa. «I personaggi sono diversi, e nell’unità trovano la forza», aggiunge l’attrice. «Mai come in questo periodo abbiamo bisogno di trovare l’unione anche nella diversità. Nel mondo questo si comincia a vedere».
Viviamo nel mondo di oggi perché ci sono i social
Ma “Marilyn ha gli occhi neri”, a livello di sottotesto, è anche una lettura ironica e critica del mondo dei social media, la cui vacuità poi va a contrastare con l’autenticità dei ragazzi che frequentano i centri diurni. «È vero che noi tutti abbiamo a che fare con la comunicazione, abbiamo tanti riferimenti che sono sempre gli stessi: giornali, televisioni, social», ragiona Accorsi. «Entrando in contatto con queste persone ti rendi conto che per loro è tutto diverso, sono come dei bambini e fa tenerezza che si possano meravigliare per piccole cose, piccole scoperte».
«I social li uso, ma credo che viviamo nel mondo di oggi perché ci sono i social» continua l’attore. «Forse senza i social certi politici non ci sarebbero stati. Fa più like un commento divisivo di qualsiasi altra cose, e queste cose diventano poi i titoli dei giornali».
La sofferenza degli altri fa tanta paura
Se sui social si può fingere di essere quello che non si è, e può funzionare un ristorante che non esiste, nella vita reale, invece, non si può fingere di stare bene. «La sofferenza degli altri fa tanta paura. E non ne sappiamo neanche il motivo», è una frase del film che ci resta stampata in testa. «È qualcosa che mi fa pensare al rapporto con i nostri figli», riflette Accorsi. «Siamo sempre così autorevoli rispetto ai nostri figli, le persone più piccole. Chi ha passato momenti difficili in famiglia lo sa: è difficile passare da fragili davanti ai figli. Quella fragilità, quella battuta vorremo dirla noi ai nostri figli, aprire le nostre insicurezze, e non lo facciamo mai. Se lo facessimo anche loro avrebbero modo di aiutarci, sono loro ormai a dirci “chiudi l’acqua che si spreca”».
Ma c’è un’altra battuta che sembra racchiudere il senso del film, e il senso stesso di essere diversi nel mondo di oggi. «Loro hanno sempre ragione perché sono di più, sono i normali». «È una frase che dice Diego a Clara», spiega Miriam Leone. «Il concetto che vuole esprimere è “tu vai bene esattamente così come sei». È un tema importante di questo periodo: l’autenticità, l’essere se stessi è in primo piano. Ed essere se stessi arriva dopo aver conosciuto se stessi».
Qui il traile del filn:
MARILYN HA GLI OCCHI NERI di Simone Godano (2021) – TRAILER UFFICIALE HD – Bing video