“MARRY WHEN YOU ARE READY”, IL PROGETTO CONTRO I MATRIMONI PRECOCI
È un progetto europeo che punta su scuola, lavoro e sensibilizzazione per affrontare questo problema tra Rom e Sinti
16 Marzo 2016
Quali strumenti si possono mettere in campo per contrastare i matrimoni precoci che interessano le adolescenti Rom e Sinti?
Questo l’argomento affrontato dai rappresentanti e dai mediatori intervenuti all’incontro che si è svolto martedì 8 marzo 2016, in occasione della Giornata Internazionale della donna, presso la sala conferenze dei Centri di Servizio per il Volontariato del Lazio, nell’ambito del progetto Marry When You Are Ready, finanziato dall’Unione Europea.
La pratica dei matrimoni precoci è molto diffusa in diversi Paesi nel mondo, poco si parla invece di quanto questo retaggio culturale sia ancora così determinante nella vita delle adolescenti Rom e Sinti: una pratica spesso imposta «perché così è la nostra tradizione», senza pensare alle conseguenze fisiche e psicologiche che determina.
Senza visione del futuro
Nei Paesi in cui operano le organizzazioni partner del progetto, le adolescenti smettono di frequentare la scuola già a 11 anni. In Italia la situazione varia: a Torino, come ha sottolineato Vojislav Stojanović, coordinatore del progetto per Torino, si va a scuola fino a 14 anni, ma la maggior parte poi non prosegue gli studi superiori.
A Roma la situazione è un po’ diversa; secondo il professor Marco Brazzoduro, presidente di Cittadinanze e Minoranze, «il problema dei matrimoni precoci è in lenta evoluzione: ci sono tante ragazze Rom che a 20 anni ancora non sono sposate».
D’altra parte questi ragazzi, vivendo nei campi, non hanno altra conoscenza del mondo all’interno di questo spazio e crescono come se l’unica prospettiva di vita sia il matrimonio. Pamela Suffer, attivista Rom/Sinti, afferma che «è necessario conoscere il mondo fuori dal campo per avere una visione del mondo diversa. I ragazzi non hanno una visione del futuro, le ragazze al di fuori del matrimonio a che cosa possono aspirare se i genitori non li aiutano a costruire un futuro diverso?».
Il matrimonio precoce «è una condanna, un destino imposto, al quale raramente, sia le ragazzine che i ragazzini, riescono a ribellarsi», ribadisce Arabela Staicu, attivista e mediatore Rom. «Non conoscono altre possibilità, non hanno modelli diversi da seguire; non riescono neppure ad immaginarsi un futuro diverso da quello che tutta la loro famiglia, gli amici, i parenti vivono. E questo accade perché uno dei problemi è che la scolarizzazione tra i Rom e i Sinti è bassissima».
Le comunità Rom e Sinti sono caratterizzate da tanti gruppi, ciascuno con i propri usi e costumi, orgogli e distinzioni: e così Sevla Sejdic, attivista Rom, sottolinea che «nelle comunità di Rom bosniaci non esiste che ci si sposi a 10, 11 o 12 anni, ma qui il ruolo e il valore della famiglia è importantissimo, al punto che il matrimonio combinato tra le famiglie può apportare benefici nella vita della giovane ragazza».
Scuola e lavoro contro i matrimoni precoci
Cosa offrire in alternativa a questi ragazzi, maschi e femmine indistintamente?
È necessario che la scuola svolga anche per questi giovani il suo ruolo di strumento di educazione. E poi c’è il lavoro, visto come “garanzia di libertà”: «nei campi la maggior parte delle persone non lavora, e questo innesca meccanismi di sottomissione», sottolinea il professor Brazzoduro.
Da parte loro, le comunità dovrebbero cambiare punto di vista, i genitori soprattutto dovrebbero aiutare gli adolescenti a costruire un futuro, «ad avere un’opportunità, devono appassionarsi a qualcosa», ribadisce Pamela.
Insieme bisogna lavorare per «togliere il pregiudizio», sostiene Concetta Sarachella, Coordinatore comunità Sinti regioni Abruzzo–Molise Romano Drom Onlus, aggiungendo che «la pratica del matrimonio precoce lede il diritto della libertà individuale per gli adolescenti, di entrambi i sessi».
Il progetto Marry When You Are Ready nei 18 mesi di attuazione di certo non risolverà il problema ma, come ha detto Saška Jovanović, Coordinatore Italia Romni Onlus, «è necessario gettare il seme».