MATTI PER IL CALCIO: LA NAZIONALE DI PAZIENTI PSICHIATRICI IN GIAPPONE PER VINCERE

Santo Rullo da vent’anni crede nel calcio come terapia contro il disagio psichico. I Mondiali diventeranno un film, diretto da Volfango De Biasi e Francesco Trento

di Maurizio Ermisino

«Ricordatevi che nelle partite ufficiali non sono ammesse collanine, orecchini e cose simili. In partita non bisogna rompere ai compagni. Ogni lamentela si deve trasformare in incitamento. Qui l’unico che rompe sono io». Sono le parole di Enrico Zanchini, determinatissimo allenatore di una squadra molto particolare. Si tratta un gruppo di pazienti psichiatrici che sono la nazionale italiana degli affetti da disagio psichico e da lunedì prossimo voleranno a Osaka, Giappone, per giocarsi la Coppa del Mondo contro i padroni di casa e il Perù. Questo progetto diventerà un film, “Crazy For Football” (“Matti per il calcio”) diretto da Volfango De Biasi (“Come tu mi vuoi”) e Francesco Trento.

Matti per il calcio
I ragazzi della Nazionale italiana di pazienti psichiatrici durante gli allenamenti

Siamo stati su uno dei set di “Matti per il calcio”, un campo di calcetto sulla Cristoforo Colombo, a Roma, dove i ragazzi si stanno allenando. Abbiamo iniziato con le parole del mister per farvi capire che qui è tutto terribilmente serio. Qui si tratta di andare a giocare un campionato mondiale. E di andare a vincerlo. È anche in questo modo che un malato può guarire, riscattarsi, sentirsi come gli altri. Zanchini punta molto sugli schemi. Sa che la maggior parte dei gol si fanno in contropiede. È importante il primo passaggio, perché senza quello si riperde palla. Lo schema è semplice. Si avanza, si scarica la palla sull’esterno che tira sul secondo palo, mentre l’opposto, l’altro esterno, deve coprire il secondo palo per colpire sull’eventuale ribattuta. Andare a cento all’ora. Mai mollare. Una volta persa palla si prova a riconquistarla subito. Potremmo leggerle tutte come metafore. Non sbagliare il primo passaggio è come riconoscere il proprio disagio e provare a curarlo. Riconquistare palla appena la si è persa vuol dire provare a riprendersi la propria vita. I ragazzi lavorano duro, sudano sul campo. I loro idoli sono Cristiano Ronaldo, le squadre del Real Madrid e del Chelsea, come vediamo dalle loro magliette.

Matti per il calcio: con lo sport meno farmaci, ricoveri più brevi, costi più bassi

L’artefice di questo progetto è Santo Rullo, presidente dell’Associazione Italiana di Psichiatria Sociale, che da 25 anni cerca di dimostrare che l’integrazione attraverso lo sport è importante. È qualcosa di possibile, un’idea che abbatterebbe i costi, consentirebbe ricoveri più brevi e meno uso di farmaci. «Il grande problema dei disturbi mentali è che la persona appena si ammala perde i diritti, come quello a una vita sana», ci spiega Rullo. «Si autoesclude. E la società, che lo vede non partecipare, lo esclude. Noi sani abbiamo bisogno di avere una barriera netta tra noi e i malati. Questa cosa ci dà fastidio.

Matti per il calcio
Santo Rullo, presidente dell’Associazione italiana di Psichiatria sociale

Appena uno si ammala decidiamo di mettergli un marchio a fuoco, e abbiamo la necessità di tenerlo isolato. Gli diamo le medicine, l’assistenza, tutta una serie di cose che in parte servono in parte no, e in qualche modo sanciscono la sua necessità di malato». Così capita che un ragazzo che sa giocare a calcio, e che comincia a soffrire di disturbi psichici venga messo da parte nella squadra dove gioca. «Il tentativo è quello di recuperarlo alla sua funzione il più presto possibile. Va fatto un intervento precoce», spiega lo psichiatra. «In molti credono che questo sia dare le medicine il più presto possibile. Lo sport era già un potente strumento per recuperare le persone, lo abbiamo portato avanti con alcuni tornei tra Asl, alcune associazioni sportive hanno creato campionati ad hoc». Il movimento è cresciuto e nel 2004 Volfango De Biasi e Francesco Trento hanno deciso di buttarsi negli spogliatoi e di portare le telecamere in faccia a questi ragazzi. È nato così “Matti per il calcio” in cui i ragazzi, invece di nascondersi, finalmente si mostravano e parlavano dei loro problemi. Nel 2009 Rullo e il suo team sono stati contattati da una sociologa dello sport di Yokohama che ha voluto venire a vedere come lavoravano. Il Giappone è oggi una nazione all’avanguardia, con 600 squadre di questo tipo, finanziate da team di serie A. Ma in tutto il mondo, dalle 30-40 squadre di dieci anni fa, oggi si è arrivati a migliaia.
Così, una volta arrivato l’invito dal Giappone, sono partite le selezioni, con un appello pubblico, che richiamasse non solo i pazienti dei dipartimenti di salute mentale ma anche altre persone con questi problemi che, leggendo l’annuncio, volessero mettersi in gioco con il calcio. Due ragazzi vengono dalla Trieste di Basaglia, uno è calabrese, ci sono dei sardi. Ci sono ragazzi che vivono in famiglia e sono seguiti dai servizi, altri che vengono dalle comunità, o che ne sono appena usciti, un altro che è sottoposto a misure di sicurezza e aspetta l’ok dalla magistratura. C’è un ragazzo nigeriano che verrà a vestire la maglietta azzurra: sta aspettando il passaporto italiano da nove anni, e il calcio lo farà diventare italiano prima delle istituzioni. A proposito di istituzioni: da loro in questo momento arrivano grandi pacche sulle spalle, patrocini inutili, ma di finanziamenti per mandare questi ragazzi in Giappone niente. Finora Santo Rullo sta pagando di tasca sua. Ma esiste un sito (www.stradeonlus.it) su cui è possibile fare delle donazioni. La FIGC darà ai ragazzi la maglia azzurra ufficiale.

Comunque vada in Giappone, questi ragazzi hanno vinto nella vita

«Un gol segnato in Giappone e non documentato non è mai esistito», ci ha spiegato Volfango De Biasi, oggi regista affermato (sono suoi i più recenti film di Natale), che ha deciso di affrontare l’avventura di “Matti per il calcio”, per ora, da volontario, perché crede moltissimo in questo progetto. «Io sono figlio di una paziente psichiatrica e so che alla fine le cose si risolvono mettendosi in campo», ci racconta.

Matti per il calcio
Vincenzo Cantatore e Volfango De Biasi durante gli allenamenti

Per far uscire le storie di questi ragazzi, per raccontare in modo non banale questa storia, il suo tocco sarà essenziale. «Lo sguardo deve essere sempre quello di andare a fondo alle cose», ci spiega. «La vita è fatta di momenti in cui stai allegro in cui stai male. Noi cerchiamo di documentare questo, senza una tesi, senza il bambino con la pancia gonfia e le musiche con il pianoforte». La chiave, in questi casi, è avere la fiducia di chi è ripreso. «Cerco di diventare invisibile» spiega il regista. «Parliamo di donne, di vita, di paure, di “mio padre mi menava”. Loro vedono che tu non li guardi come gli animali allo zoo, che scendi campo con loro e che lo fai come uno di loro». «Ho cominciato a lavorare sulle famose barriere, ma non nei confronti delle gente», aggiunge Vincenzo Cantatore, ex pugile che si occupa della preparazione fisica, ma sono solo. «Loro sono i primi che devono abbattere le barriere nella loro testa. Diventare ragazzi sicuri, che credano in se stessi». Tutti uniti e d’accordo. Non si va a Osaka per partecipare. Si va in Giappone per vincere. Comunque vada, questi ragazzi avranno vinto nella vita.

MATTI PER IL CALCIO: LA NAZIONALE DI PAZIENTI PSICHIATRICI IN GIAPPONE PER VINCERE

MATTI PER IL CALCIO: LA NAZIONALE DI PAZIENTI PSICHIATRICI IN GIAPPONE PER VINCERE