CRAZY FOR FOOTBALL: IL CALCIO CHE CURA IL DISAGIO
I primi mondiali di calcio per pazienti psichiatrici sono diventati un film. Da vedere, per sostenere il progetto e organizzare i prossimi mondiali a Roma nel 2018
18 Ottobre 2016
“Crazy For Football” (matti per il calcio), il film che abbiamo visto nascere, e che vi abbiamo raccontato qualche mese fa su Retisolidali, è pronto, ed è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma (sarà nelle sale a febbraio).
Racconta la storia di 12 ragazzi affetti da disturbi psichici, che sono volati in Giappone per giocarsi la prima Coppa del Mondo per pazienti psichiatrici. Vedere questo film sullo schermo è un cerchio che si chiude. E, speriamo, ne aprirà altri.
Perché la storia è iniziata molti anni fa, nel 2004: Volfango De Biasi e Francesco Trento avevano girato un piccolo film, “Matti per il calcio”, che aveva fatto il giro del mondo. Raccontava come stessero nascendo delle squadre di calcio per pazienti psichiatrici, e quanto il calcio potesse fare bene. Quel piccolo film ha fatto scuola, ha dato una mano a un movimento, che è cresciuto in maniera esponenziale.
In Giappone – dove esiste un corso di laurea in sport sociale – ci sono centinaia di queste squadre, finanziate dalle squadre professionistiche e dalla federazione. In fondo il mondiale giapponese, oltre che dal lavoro e dalla passione di tanti psichiatri e allenatori, nasce anche da quel film.
Arriviamo ai giorni nostri. Siamo nella notte di Capodanno tra il 2015 e il 2016, pochi minuti prima della mezzanotte. Santo Rullo, presidente dell’Associazione Italiana di Psichiatria Sociale, ha da poco ricevuto un invito a partecipare ai mondiali in Giappone. Parte un giro di telefonate, e viene coinvolto anche De Biasi, che decide di girare un nuovo film. Con degli annunci si cercano ragazzi in tutta Italia. Si radunano a Roma. Hanno una settimana, o poco più, per diventare una vera squadra.
E un coach straordinario, Enrico Zanchini, ex giocatore e ora tecnico di calcio a 5. Carico di umanità e di dolcezza, ma determinato e deciso, sembra il personaggio di un film, è un po’ come il coach Taylor di “Friday Night Lights”. «Avevo avuto esperienze con altre forme di disagio» ci racconta. «Ero stato l’allenatore di una squadra di ex tossicodipendenti. La carta vincente in quel caso è stata trattarli come gli allenatori trattavano me. Come degli atleti». E così è stato anche con questi ragazzi.
Vite di matti per il calcio
Il film inizia dalle selezioni. I ragazzi portano con sé il peso della loro condizione. E ognuno porta la sua storia. Sandro, romano, per tutti Sandrone, ex poliziotto, è stato per anni nella scorta di Francesco Cossiga. Fino a un esaurimento nervoso, dopo il quale ha iniziato a sentire le voci. Ruben, triestino, ha solo 22 anni, e un talento puro. È caduto in depressione dopo la paralisi del padre. Luis ha iniziato a prendere farmaci a dieci anni. Oggi ne ha 53. Si è anche inflitto dei tagli, per far capire che soffriva. Silvio ha sofferto di schizofrenia: dopo il diploma ha cominciato a fare gesti non normali. Christian ha sofferto di attacchi di epilessia per 5-6 anni. Oggi le medicine gli causano dei vuoti di memoria.
C’è chi ha dovuto subire anche l’esperienze di un tso, la contenzione, sia farmacologica che fisica, un’esperienza terribile. E ha tentato il suicidio. Per tutti loro, e tanti altri, questo mondiale è una nuova vita. I selezionati vanno avanti, si sfiancano con gli allenamenti di Vincenzo Cantatore, ex pugile. E poi, finalmente, si parte.
Il Giappone, una terra affascinante e misteriosa. Ma non conta che sia il Giappone o altro, conta essere lì fuori, e non chiusi in una cameretta. Conta essere insieme, essere una squadra e non da soli. Arriva la partita. La FIGC ha mandato alla squadra le divise ufficiali. Al momento della consegna delle maglie ci scorre una lacrima. Coach Zanchini ha la parola giusta, il soprannome per ognuno di loro. È una carica incredibile. E arriva il momento dell’inno nazionale, da cantare con la maglia azzurra addosso.
La storia di questa nazionale di matti per il calcio inizia. Come finirà, lo lasciamo scoprire a voi. Andate a vedere il film. Che è qualcosa di imperdibile: leggero, divertente, intenso, commovente.
Un impegno per Roma 2018
Il calcio è qualcosa che ci rende tutti uguali. Il calcio vuol dire essere una squadra. Cioè una famiglia, degli amici, dei fratelli. Nel calcio se sbaglia uno sbagliano tutti. Si tratta di essere uniti, solidali. È questo ciò che serve di più a questi ragazzi: stare insieme. E “Crazy For Football” nasce proprio per stare insieme. Loro, e noi che guardiamo e ci stringiamo idealmente in un abbraccio con i ragazzi, come quando si mettono a cerchio prima della partita al grido “Branca Branca Branca, Leon Leon Leon”.
«Se si fa una cosa così folle non può essere quella di 12 persone e basta» ci ha spiegato Santo Rullo. «Deve essere l’esperienza di tutti. Tutti quanti possiamo avere un problema che ci fa chiudere dentro una stanza. Le persone che soffrono di disturbo psichico da lontano sono bellissime, man mano che si avvicinano diventano pericolose, perché ci accorgiamo che sono molto simili a noi».
«Mi piacerebbe che questo esperimento sfondasse questa barriera di diffidenza», aggiunge. «Quando la nostra mente ci metterà in difficoltà dovremo continuare a fare sport, andare al cinema, fare quello che ci piace: nel momento in cui interrompiamo questo cose ci siamo chiusi».
L’obiettivo è andare avanti, e organizzare il prossimo mondiale a Roma, nel 2018. «Vogliamo raccontare che questa squadra esiste, che ci siano i mondiali a Roma nel 2018, e che CONI, FIGC, Ministero della Salute si impegnino in questo senso», rilancia il regista Volfango De Biasi.
Sarà importante trovare i fondi, visto che finora Rullo e compagnia hanno messo tutto di tasca loro (sul sito www.stradeonlus.it è possibile donare). «Noi siamo quelli che diminuiamo le spese farmaceutiche», riflette Rullo. «Le case farmaceutiche ci hanno offerto di sponsorizzarci, ma abbiamo detto di no. Non perché non vogliamo le medicine, ma le vogliamo usate nel modo giusto».
La vita dopo il mondiale
Quella che andrà avanti è sicuramente la vita di questi ragazzi, tutti presenti nella loro divisa azzurra alla presentazione del film. Per loro la vita dopo il mondiale è cambiata. «Questi ragazzi li ho visti arrivare a Roma con patologie una diversa dall’altra», ha spiegato Vincenzo Cantatore. «Erano ragazzi insicuri, che non credevano a loro stessi. Le paure sono state sconfitte. La barriera che si era creata tra loro e il mondo esterno si è sgretolata. Sono ragazzi che non hanno paura di nessuno, hanno voglia di sfidare tutto e tutti. Sono diventati un gruppo solidale. Nasce come una squadra di pazzi, il mio obiettivo è far diventare tutti pazzi per loro».
La storia d’amore con il calcio per molti continua, per altri porrà riprendere. «Quasi tutti loro potrebbero giocare in campionati regionali», spiega Zanchini. «I ragazzi sardi, Christian e Silvio, Sam e Luis fanno già i campionati nelle categorie minori. Il mio cruccio è far tornare a giocare il capitano, Ruben Carini, un ragazzo del ‘94 che ha delle grandi caratteristiche. Un altro è Antonio Barba».
«Sarebbe bello che giocassero in categorie superiori per conoscere il loro limite» aggiunge Santo Rullo. «Lo sport professionistico fa andare oltre il limite, e a volte questa cosa blocca. Qualcuno si sblocca, altri rimangono bloccati. Ognuno deve trovare il proprio limite, dobbiamo trovare una dimensione giusta». In attesa di giocare in casa il mondiale del 2018 questa è stata un esperienza indelebile. «Il ricordo più bello è stato essere stati lì» ci confida Stefano. «Conoscersi e stare insieme».
«Per me la cosa più importante è stata cantare l’inno nazionale» racconta Silvio. «Per me giocare con altri, e uscire insieme quando si poteva» ricorda Christian. «È stata una bella cosa stare con gli altri, ha fatto bene al cuore». «Ricordo gli allenamenti di Vincenzo, tutte le sofferenze che abbiamo passato hanno unito il gruppo», racconta Ruben. «La cosa più importante è stata viaggiare», confida Sandro, poeta e uomo squadra. «Viaggiare vuol dire progettualizzare, sognare, andare oltre». Come prevede lo schema di Coach Zanchini. «Ripartenza, sovrapposizione. A cento all’ora».