MAURO DEL BARBA. NON POSSIAMO PIÙ FAR GUIDARE l’AZIONE ECONOMICA SOLO DAL PROFITTO
Mauro Del Barba, presidente Assobenefit, interverrà sui rapporti tra profit e non profit nel convegno CSV Lazio del 16 giugno. «L’impatto sociale e ambientale delle proprie azioni è la sfida più importante che accomuna profit, non profit, società benefit e associazioni»
08 Giugno 2023
Continua il ciclo di approfondimenti che Reti Solidali propone in vista del convegno Costruire il presente immaginando il futuro, che CSV Lazio propone per il prossimo 16 giugno. Un’occasione di confronto su alcuni temi chiave che interpellano oggi il volontariato, nella costruzione dell’interesse generale. Il convegno sarà articolato – lo ricordiamo – in tre tavole rotonde: la prima, dedicata ai cambiamenti che attraversano il volontariato e le nuove forme di attivismo civico; la seconda, sul dialogo tra mondo profit e mondo non profit; la terza, sulla collaborazione con le istituzioni.
Mauro Del Barba porterà la sua esperienza all’interno del secondo panel, sui rapporti, il dialogo, la contaminazione tra profit e non profit . Parlamentare e presidente Assobenefit, Associazione nazionale per le società benefit, la sua passione è la sostenibilità. Tema a cui lo ha portato la sua formazione giovanile e la sua passione politica, sorta dopo vent’anni nello scoutismo. «Mi chiedevo, come si chiedeva Baden-Powell e come gli scout si chiedono da sempre, come fare per lasciare il mondo migliore di come l’ho trovato». Così Del Barba ha specializzato il suo impegno parlamentare proprio sul tema della sostenibilità. Ne sono nate la sua Legge 28 dicembre 2015, n. 208, che, in vigore da gennaio 2016, introduce in Italia la nuova forma giuridica d’impresa delle Società Benefit e la sua proposta di Legge costituzionale per “Modifiche agli articoli 2, 9 e 41 della Costituzione, in materia di tutela dell’ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile”. Con Mauro Del Barba abbiamo cercato di capire come le società benefit e lo scambio tra mondo profit e mondo non profit possano essere i motori di un cambiamento che arrivi a mettere in discussione l’attuale paradigma economico.
Assobenefit si propone di concorrere all’affermazione di un nuovo modello economico di sviluppo sostenibile basato sui principi costitutivi delle società benefit. Ecco, cosa intendiamo con società benefit?
«“Società Benefit” è una qualifica giuridica che tutte le imprese profit, comprese le cooperative, possono assumere dal primo gennaio 2016 là dove capiscano che, di fronte all’emergenza sostenibilità, devono cambiare profondamente la loro identità. Non avere più, quindi, come stabilisce il Codice Civile, il solo scopo di dividere gli utili tra gli azionisti o, per le cooperative, il solo scopo mutualistico, ma aggiungere alle proprie finalità, la ragion d‘essere, il vincolo giuridico più profondo dentro il quale giudicare il proprio operato obiettivi di beneficio comune sociale o ambientale, come li definisce la legge. Questa è la caratteristica più importante delle società benefit: questo duplice scopo, questa duplice natura che le avvicina al mondo del Terzo settore, del quale era, in qualche modo, appannaggio esclusivo l’idea di tradurre un beneficio comune, sociale o ambientale. In base a questa qualifica, la legge assegna loro responsabilità maggiori, riguardo la governance e reportistica».
Perché, quindi, un’azienda dovrebbe diventare una società benefit?
«Le motivazioni di fondo sono due. Ci sono aziende che scelgono di diventarlo obtorto collo, perché capiscono che il mondo sta andando in questa direzione ed è meglio essere protagonisti di un cambiamento che non subirlo tramite leggi e trend di mercato. Ci sono poi aziende – la maggior parte – che scelgono di diventare società benefit perchè vivono la legge come un provvedimento che consente loro di essere finalmente ciò che hanno da sempre voluto. Questo è tipico di imprese e grandi società italiane, che hanno scoperto che alcune prassi che coltivavano con orgoglio, ma quasi clandestinamente, potevano invece diventare il centro del loro business, accanto alla ricerca del profitto».
Si tratta di un cambiamento che mette in discussione l’attuale paradigma economico?
«Questo è l’unico vero cambiamento tra tutti quelli sulla scena mondiale realizzati – e non solo teorizzati -, che ha messo in discussione in profondità l’attuale paradigma economico. Al contrario degli altri – come l’importante regolazione europea -, che impongono, accanto ai bilanci, nuovi obblighi, che si vanno a misurare ex post nelle rendicontazioni. Le società benefit, che hanno un loro equivalente anche all’estero – le Benefit Corporation in America, le Empresas de Beneficio e Interés colectivo in Sud America, le Société à Mission in Francia, le Empresas de Impacto in Spagna – operano per cambiare l’intero paradigma del mercato. Chiaramente, finché saranno soggetti altamente minoritari, da soli non potranno farlo».
Quale ruolo giocano il rapporto e lo scambio di competenze e pratiche tra profit e non profit?
«Oggi osserviamo qualche primo esperimento riguardo un ruolo che il Terzo settore potrebbe giocare in futuro in modo molto più importante dentro questo cambiamento. Inizialmente, il Terzo settore ha guardato con una duplice messa a fuoco questa novità. Da una parte, come qualcosa di interessante con cui cercare una collaborazione; dall’altra con diffidenza, come ad un’invasione di campo, ad una sottrazione di centralità. Questa seconda e comprensibile modalità, con gli anni, è andata scomparendo, grazie al fatto che le società benefit per prime hanno dimostrato di essere potenzialmente anche un luogo di aggregazione e collaborazione con il Terzo settore. E questo è abbastanza naturale: quando un’impresa a scopo di lucro amplia il suo scopo sociale – e potrebbe metterci anni ad assimilare questo tipo di cambiamento – improvvisamente sulla scrivania dei suoi amministratori delegati compaiono tematiche sociali, ambientali da integrare con il business. Ci sono due modi per farlo: il primo, quello prevalente, anche per abitudine rispetto al passato, è cambiare governance e processi per farvi fronte autonomamente; il secondo, quello promettente, su cui concentrare l’attenzione nel futuro, è capire che si possono raggiungere più facilmente obiettivi di beneficio comune, sociale e ambientale lavorando con le istituzioni e con le associazioni, così come obiettivi economici capitava di raggiungerli con l’associazione di altre imprese. E ci sono esempi in cui questo sta accadendo».
Quali sono le sfide in questo scambio tra profit e non profit? Quali le opportunità?
«Per me la sfida più importante che accomuna profit, non profit, società benefit e associazioni possiamo definirla “impatto”: l’impatto sociale e ambientale generato dalle proprie azioni. Là dove si ragiona in termini di impatto, si capisce meglio che quello che un’impresa fa può essere sovrapponibile con efficacia e reciproco vantaggio a quello che fa tradizionalmente un’associazione, un ente del Terzo settore, il volontariato. E là dove si ragiona di impatti cadono anche gli steccati che tradizionalmente separano questi mondi. È un processo lungo, che denota un cambiamento culturale, una professionalizzazione del proprio agire, che riguarda l’impresa, ma deve riguardare anche il volontariato, proprio per usare la stessa unità di misura. Perché il paradigma del mercato sarà realmente cambiato quando la moneta con cui misuriamo il valore delle cose avrà una correlazione con l’impatto positivo prodotto».
Quali competenze sono quindi richieste al non profit, al volontariato affinchè questo scambio sia possibile?
«Le competenze che ha già, ma sia profit che non profit devono fare lo sforzo di uscire dal modo in cui hanno fin qui concepito e progettato il loro agire. Un punto di incontro che, magari, prima si trovava nei progetti, ragionando sul piano degli obiettivi. Oggi, parlando di competenze, bisogna saper trasferire il proprio agire, come dicevamo, sul piano degli impatti, qualcosa che bisogna saper misurare. Saper quindi rileggere la propria organizzazione in funzione dell’impatto. Questa è la competenza trasversale che sia associazioni che imprese devono acquisire, stimolati in questo senso dal mercato e dalle istituzioni. Perché in futuro – almeno mi auguro – anche i bandi pubblici sapranno parlare di impatto e orientare i protagonisti della società in questa direzione».
Quale lo stato dell’arte in Italia e nel Lazio?
«In Italia siamo alle 3mila società benefit, distribuite soprattutto nei luoghi dove maggiormente si fa impresa, quindi maggiormente al Nord e poi in Lazio, Campania, Puglia. Parliamo di imprese di qualsiasi dimensione: micro, piccole e medie, ma anche grandi e trasversali nei vari settori, dall’agricoltura all’energia; dal settore manifatturiero a quello dei servizi; alla finanza. Il che è positivo perché quella delle società benefit è una proposta di cambio di paradigma universale, che riguarda tutti i soggetti economici profit. La nostra associazione è impegnata nella divulgazione degli aspetti culturali e operativi e c’è ancora poca spinta da parte delle istituzioni e dei mezzi di comunicazione mainstream. Eppure siamo a 3mila e ogni settimana ci sono 3 imprese che assumono questa qualifica. Considerato quindi l’insufficiente livello di promozione che c’è al momento, i numeri sono alti. Ovviamente, rispetto all’obiettivo di cambiare il paradigma del mercato, siamo ancora in una fase poco più che embrionale, ma puntiamo ad un modello di sviluppo in cui qualsiasi impresa abbia il beneficio comune cablato nelle sue finalità. Non ci possiamo più permettere di far guidare l’azione economica esclusivamente dal profitto. Non si tratta di una mitigazione del profitto, anzi, guardando avanti, quello che auspichiamo – e che già iniziamo ad osservare – è che le società benefit, proprio in ragione di questo cambiamento, aumentano la loro capacità di profitto, non la diminuiscono».
A questo link l’intervista a Enrico Serpieri, che ha introdotto il primo world cafè, a questo l’intervista a Gianluca Cantisani, che ha introdotto il secondo. Qui l’intervista doppia ad Annalisa Casino e Monica Di Sisto, che hanno introdotto il terzo. Qui l’intervista a Rose Marie Scappin, che, insieme a Beatrice Tabacco, qui l’intervista, sarà nel panel dedicato alle nuove forme di attivismo civico.