MULTI. ACCOGLIENZA È LAVORARE SULLA VITA DELLE PERSONE
In “Accogliamo tutti... e bene!”, incontro a cura di Polo Civico Esquilino Poleis, all’interno di Multi, si è parlato di un’accoglienza che vada oltre i mari e le frontiere, parta da uno sguardo diverso, lavori sulla lingua, l’educazione, gli spazi
02 Ottobre 2023
«Che cosa è successo al Capitano del film di Matteo Garrone? Qual è il sequel di quel film?”. Ce lo siamo chiesti in molti. E se lo è chiesto, in un accorato intervento, Giovanna Cavallo del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, nel corso del dibattito Accogliamo tutti… e bene! Una città che sa accogliere bene e in rete accoglie tutti, a Pizza Vittorio all’interno di Multi. Viaggio alla scoperta delle culture e delle cotture che ci uniscono, festival alla sua prima edizione organizzato da Slow Food Roma e Lucy. Sulla cultura, con il supporto – tra gli altri – di CSV Lazio ETS.
Ad aprire l’incontro, organizzato all’interno di Multi dal Polo Civico Esquilino Polèis, Fuad Kishk, Casa dei Diritti Sociali e Polo Civico Esquilino, che ha richiamato l’impegno a costruire in rete un momento di rilancio sociale: «crediamo nella co governance locale, nella co progettazione: in questi anni abbiamo portato avanti progetti e battaglie, promosso manifestazioni culturali. A fine aprile abbiamo organizzato per due anni consecutivi proprio qui a Piazza Vittorio il Festival Liberazioni e promosso dibattiti sul tema salute, in modo coordinato con la Asl Roma 1. Abbiamo seguito vertenze sulla polveriera e la pedonilazzazione di Via Giolitti insieme ai comitati di quartiere. Da tali percorsi è nata l’idea di dedicare un momento, all’interno di Multi, all’accoglienza, tema che sentiamo molto e che riguarda tutte le componenti sociali. Crediamo, infatti, che l’accoglienza non sia fatta solo di discorsi e azioni, ma anche di atteggiamenti; che sia fatta dai cittadini, che possono essere attori di cambiamento, delle proprie e altrui vite». Di accoglienza, ha sottolineato Kishk, sentiamo parlare ogni giorno e in modi diversi: «Nonostante i discorsi più strampalati e le proposte meno di senso che nel tempo è capitato di ascoltare, non si può negare che quello dell’accoglienza sia un tema che catalizza un malessere generalizzato. Bisogna dare delle risposte, naturalmente antitetiche a quelle coercitive e repressive di questo governo. Un governo che, attraverso una propaganda costruita sull’odio, ha generato scempi, come, non ultimo, il Decreto Cutro, che, tra le altre cose, ha tolto ai migranti l’assistenza legale, i percorsi di assistenza psicologica e, con una circolare ministeriale del mese scorso, chiesto la cessazione dell’accoglienza dei richiedenti asilo nei CAF all’ottenimento della protezione internazionale. Un sistema che si ripropone in tutti i campi: dal Decreto Baby Gang – che inasprisce le pene invece di puntare su educazione e accompagnamento ai giovani – agli accordi con la Tunisia, che non fanno che riproporre violenza, torture, morte». Finora abbiamo subito, dice Fuad Kishk: «Molti discorsi li abbiamo subiti in una posizione subalterna. Da questa sera, in rete con le associazioni presenti e con quelle che vorranno aggiungersi, intendiamo creare una realtà positiva che possa costruire percorsi di lotta che migliorino le nostre esistenze, abbracciando a 360 gradi le questioni sociali».
Un limbo precario
Che cosa è successo a quel ragazzo ce lo siamo chiesti in molti: perché quel film racconta la storia di un terribile viaggio che finisce con uno sbarco. E con una speranza. Ma tutti sappiamo che quell’arrivo non è che l’inizio di un’altra Odissea. «C’è un sistema di accoglienza concentrazionario, si distinguono i buoni dai cattivi» sottolinea Giovanna Cavallo. «E chi ne esce arriva in un sistema respingente, in un limbo precario, e questo determina una soggiogazione a un sistema di controllo e una mancata autonomia». Ed è così che da quell’accoglienza si resta segnati. «La frontiera non ci lascia mai» continua Giovanna. «Queste persone hanno una frontiera addosso che non li lascia mai». E così non si riesce mai a fare il vero passaggio che conterebbe, quello da migrante a cittadino. E non sembra questo il momento migliore perché questi passaggi possano essere fatti. Siamo di nuovo immersi in una campagna di criminalizzazione di ogni forma di accoglienza e solidarietà, come ha ricordato Grazia Naletto di Lunaria, che ha moderato l’incontro. Rischiamo di trovarci di nuovo in una trappola, la trappola dell’emergenza. Oggi parlare di accoglienza significa soltanto guardare i mari e le frontiere: l’accoglienza viene vista come un problema, come l’emergenza. Ed è da questo concetto che bisogna discostarsi. Pensare che il fenomeno delle migrazioni non sia emergenza. Pensare che l’accoglienza inizia dopo i mari e le frontiere. Declinare il concetto di accoglienza in quello di città accogliente. Provare a riscrivere il sequel di quel film. E scriverlo nel modo giusto.
Un senso di superiorità che va superato
Per scrivere nel modo giusto il futuro di chi arriva in Italia bisogna prima di tutto cambiare il nostro sguardo. «Dobbiamo pensare che l’accoglienza inizia da subito, dallo sguardo» ragiona Lorenzo Chialastri di Caritas Roma. «Abbiamo un pregiudizio inconscio, un senso di superiorità che va superato. L’aiuto deve essere sempre emancipante e deve creare delle relazioni positive». Anche quartieri come l’Esquilino, quello che ospita questo dibattito, in cui si parla di multiculturalismo, di laboratorio di meticciamento, ha le sue contraddizioni. «Ci sono soggetti invisibili che fanno parte delle famiglie, come le badanti, come chi lavora nei ristoranti» ha spiegato Vincenzo Carbone dell’Università Roma Tre, che ha lavorato a una ricerca sul quartiere. «Rischiamo di inferiorizzarli: l’azione umanitaria spesso produce soggetti addomesticati».
L’italiano diventi una materia per chi arriva senza conoscerlo
La buona accoglienza è quella che dovrebbe portare a un inserimento nella società. E uno dei fattori di inserimento è la lingua. Chi se ne occupa da anni è Rete Scuolemigranti, rete sostenuta CSV Lazio ETS tra le associazioni che nel Lazio insegnano l’italiano a migranti adulti, bambini e ragazzi di origine straniera. «Abbiamo messo a fuoco il fatto che l’immigrazione non finisce con l’arrivo», ragiona a proposito Paola Toniolo Piva, coordinatrice di Rete Scuolemigranti. «L’immigrazione continua perché il viaggio, per quanto duro, apre una serie di questioni. Bisogna imparare una lingua, trovare casa e lavoro, riuscire a diventare attore sociale». La nostra legislazione prevede che vengano per accolti a scuola tutti i ragazzini dai sei ai sedici anni non appena mettono piede sul territorio. «Gli insegnanti e le scuole ci bombardano» spiega Paola Piva. «Ci chiamano gli istituti perché magari arrivano ragazzi di cinque nazionalità diverse. “Facciamo qualcosa per la lingua” di dicono. Ma nelle scuole la lingua italiana deve diventare curriculare: l’insegnamento della lingua italiana deve essere presente nelle scuole – insegnato da personale assunto – perché, con i ricongiungimenti familiari, ci sono bambini che hanno fatto una parte di scuola nel loro paese d’origine e devono continuare i loro studi qui. Rete Scuolemigranti riunisce un’ottantina di associazioni che fanno scuola di italiano per adulti e laboratori per i bambini. Ma stiamo cominciando a dire che questo è un compito istituzionale. L’italiano diventi una materia per chi arriva senza sapere la nostra lingua. Negli altri paesi questo esiste». Tutto questo sarebbe fondamentale. «Che cosa c’entra l’educazione con l’accoglienza?» si è sentito chiedere infatti Adriano Rossi di MaTeMù Cies nel momento in cui ha detto di partecipare a questo dibattito. Ma sappiamo che l’educazione, con l’accoglienza, c’entra eccome. «L’accoglienza va oltre» spiega. «È lavorare sulla vita delle persone. Devono avere diritto a poter sognare un proprio percorso, farlo in relazione con altre persone».
Quello che ci unisce è che siamo persone
È proprio questo uno dei concetti che è venuto fuori con più forza nella serata di venerdì a Piazza Vittorio, durante Multi. Si tratta di lavorare sui diritti perché i migranti sono persone. Perché tutti siamo persone. «Abbiamo sbagliato noi a dare definizioni» riflette Papia Aktar di ARCI Roma, riguardo alle distinzioni tra migranti economici, climatici, rifugiati. Si tratta di «vedere quello che ci unisce e quello che ci divide. E quello che ci unisce è solo una cosa: siamo persone». Si tratta di vedere le cose a lungo termine, e non fermarsi all’emergenza. «Non c’è una prospettiva, un’idea di respiro, di futuro. È quarant’anni che siamo fermi, mentre escono leggi che non finiscono più», spiega Joseph Yemane Tewelde di Rete G2 – Seconde Generazioni e Black Lives Matter. «L’accoglienza deve uscire dal Ministero dell’Interno e deve essere affidata a tutti gli altri ministeri. Come il Ministero dell’Istruzione». Paolo Perrini di Spin Time Labs punta l’attenzione sui tanti spazi abbandonati. «La situazione si risolve non trovando soldi, ma trovando spazi. Che ci sono», spiega. Si tratta di ragionare in termini complessivi. Perché il problema degli spazi, ad esempio, non è solo degli stranieri, ma anche degli studenti fuori sede che manifestano contro il caro affitti dormendo nelle tende davanti alla Sapienza. Si tratta di lavorare su una legge per la cittadinanza italiana. «Vorremmo riprendere in mano il discorso sullo Ius Soli», spiega Valentina Lista dell’Associazione Genitori Di Donato. «Ci sono 800mila bambini stranieri che giocano con i ragazzi italiani e che non hanno nessun diritto. Il mondo è già multiculturale, siamo noi italiani che siamo indietro». Si tratta di occuparci di queste persone e di iniziare a farlo subito, davvero. Perché, come ci ricorda Fabrizio Schedid di Binario 95, associazione che si occupa di accoglienza tra Stazione Termini e Piazza Vittorio, qualcuna delle persone di cui stiamo parlando «è qui, in giro da qualche parte, dietro a qualche staccionata».
Immagine di copertina Rete Scuolemigranti