MULTI: DETERRENZA ED ESTERNALIZZAZIONE, È GUERRA AI MIGRANTI

Le politiche di contrasto alla migrazione prevedono lo sposamento dei confini dell’Europa sempre più lontano, tramite accordi con paesi esterni all’UE. Il nuovo fronte è la Tunisia

di Maurizio Ermisino

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Esternalizzazione. Deterrenza. Guerra. Sono queste le parole chiave che oggi contraddistinguono le politiche europee e italiane in tema di migrazioni. Se ne è parlato a Multi 2024, nell’incontro Confini senza frontiere. Storie della guerra ai migranti. L’incontro, moderato da Giansandro Merli, giornalista de Il Manifesto, ha ricostruito gli ultimi anni di politiche in fatto di migrazioni dell’Unione Europea e del Governo Meloni, e ha raccontato il nuovo inferno, il nuovo luogo da incubo dove i migranti si trovano bloccati in condizioni disumane: la Tunisia. Dove sono in atto una sospensione dei ditti umani e civili e una serie di morti e torture che paghiamo anche noi italiani.

Deterrenza: dentro i nostri confini e fuori di essi

L’approccio del governo italiano a questo modus operandi inizia con una proposta irrealizzabile, quella del blocco navale: in campagna elettorale Giorgia Meloni promette di fermare i migranti in arrivo con un blocco navale. «È una misura che non esiste», commenta Merli. «È possibile solo in guerra, solo contro gli eserciti».  Se ci pensiamo, la deterrenza è un concetto militare. «Per il governo Meloni deterrenza significa scoraggiare gli arrivi in due modi» continua il giornalista. «All’interno, peggiorando le condizioni di vita nel nostro Paese: più tempo nei centri di accoglienza, un’accoglienza sempre più emergenziale, più soldi nei CAS e meno nei progetti dei Comuni, che si chiamavano SPRAR e oggi SAI. E poi c’è la deterrenza che guarda fuori, che porta i confini europei oltre le frontiere dell’Unione Europea per stabilire accordi con i regimi che stanno al di là del Mediterraneo, finanziando la guardia costiera libica. Ma la deterrenza non può fermare un fenomeno sociale di questa portata».

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Berlingieri, Merli e Yambio durante l’incontro Confini senza frontiere. Storie della guerra ai migranti a Multi 2024

Esternalizzazione: spostare i confini dell’Europa sempre più lontano

Esternalizzazione è l’altra parola chiave di queste politiche. Significa spostare i confini dell’Europa sempre più all’esterno, sempre più lontano di quelli effettivi. L’obiettivo è bloccare i flussi migratori, impedire ai migranti, e a potenziali richiedenti asilo, di accedere al territorio europeo e a forme di tutela giuridica che gli Stati sono tenuti a fornire. «Se i semi di queste politiche sono già stati piantati negli anni Novanta, è dal 2015 che l’esternalizzazione è diventata una strategia degli Stati europei per risolvere a monte il problema, finanziando i paesi di transito delle persone che tentano di arrivare in Europa» spiega Anna Berlingieri di Asgi. «Ma a che prezzo? I finanziamenti sono legati a una logica premiale, condizionati a un controllo delle frontiere. Il primo memorandum d’intesa dell’Unione Europa è stato quello con la Turchia del 2016, a cui sono seguiti una serie di accordi dell’UE: quest’anno sono stati stipulati con la Tunisia, con la Mauritania e con l’Egitto. Questi stati sono sostenuti a livello europeo, ma soprattutto dagli Stati delle frontiere esterne dell’UE: Italia, Grecia e Spagna». Il lavoro sporco, quindi, viene fatto fare agli stati fuori dall’UE.

La mancanza di riconoscimento come essere umano

A Multi abbiamo ascoltato anche la testimonianza diretta di cosa voglia dire questa esternalizzazione delle politiche, che ricade sulla pelle delle persone. David Yambio, portavoce dell’associazione Refugees In Libya spiega: «L’esternalizzazione, per persone come me non inizia in Libia. Quando ho lasciato il Sudan a causa della guerra civile sono andato in Ciad e ho iniziato a capire già lì che non sarebbe stato facile attraversare le frontiere. Quello che l’esternalizzazione ha fatto a me è la mancanza di riconoscimento come essere umano: non poter vivere, non poter comunicare, non potermi muovere». «Il sistema dell’esternalizzazione vuol dire lasciar fare ad altri il lavoro sporco» continua. «Per noi è un atto di terrorismo internazionale. Tutto quello che è successo alle persone che sono morte, a quelle che hanno sofferto, quello che è successo ma non dipendeva dalla Libia ma da chi a Roma ha deciso che fossero messe in atto queste pratiche».

Essere ridotti in schiavitù

L’esperienza in Libia per David è stata terribile. «Sono stato catturato in strada non solo perché esiste il razzismo arabo, ma perché c’era un sostegno dell’Europa a quelle milizie» spiega. «Ho trascorso otto mesi nei campi di concentramento in Libia, sono stato ridotto in schiavitù». «La normalizzazione dell’esternalizzazione è un’immagine della propaganda usata per alimentare una retorica che ci rappresenta come criminali: questo impedisce di riconoscere donne e bambini che sono in fuga verso questa parte del mondo. Esternalizzazione significa che alcune persone possono mettermi in cella, costringermi al lavoro in stato di schiavitù, stuprarmi se sono una donna». David ha provato 5 volte a oltrepassare il mare, senza riuscirci, senza ottenere mai un visto. È riuscito alla sesta. E ora lavora per i diritti di chi prova a fare quel viaggio.

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L’incontro ha ricostruito gli ultimi anni di politiche in fatto di migrazioni dell’Unione Europea e del Governo Meloni

La Tunisia: una violazione dei diritti umani finanziata da noi

Il nuovo fronte di questa guerra ai migranti, insieme alla Libia, è la Tunisia. Che da quest’anno è tornata al centro delle politiche di esternalizzazione, con la leadership di Kais Saied, un personaggio che ha sospeso la costituzione e ha sciolto il parlamento. In Tunisia agiscono le motovedette della Garde Nationale finanziata da noi. «La cooperazione con la Tunisia è di lungo periodo» spiega Anna Berlingieri. «Ma da un anno è diventata più forte. Una delle strategie è il sostegno logistico, l’equipaggiamento e la formazione della Garde Nationale tunisina, anche attraverso la fornitura di motovedette. L’Italia, dal 2017 al 2022, ha investito almeno 59 milioni di euro in motovedette e in attività di supporto alla Garde Nationale. Il Ministero dell’Interno nel dicembre 2023 ha siglato un nuovo accordo, con lo stanziamento di 5 milioni per il trasferimento di 6 motovedette verso la Tunisia». Asgi ha fatto ricorso contro questi atti. «Secondo la retorica governativa le motovedette servirebbero a supportare le attività di soccorso in mare della Garde Nationale» avverte Anna Berlingieri. «In realtà sappiamo – dalle testimonianze di Ong e sopravvissuti – che questa è causa di naufragi, compie intercettazioni violente causa di morte. Fornire strumenti alle guardie costiere non è supportare attività di soccorso in mare, ma la violazione di diritti umani fondamentali. Per i migranti vuol dire essere respinti in paesi dove si subiscono trattamenti umani degradanti e si rischia la vita». Il ricorso di Asgi è stato rigettato dal Tar e poi accolto, in un primo momento, dal Consiglio di Stato, che aveva sospeso il trasferimento. Poi la sentenza è stata ribaltata, ma in maniera provvisoria, e le motovedette sono state trasferite. La sentenza definitiva si avrà a novembre.

Tunisia: un clima di razzismo e xenofobia

I finanziamenti alla Garde Nationale si inseriscono in un clima di razzismo che sta crescendo in Tunisia. «Dal febbraio 2023 il presidente ha accentuato un approccio razzista, xenofobo verso la popolazione subsahariana, parlando di sostituzione etnica» rivela David Yambio. «Persone che andavano al lavoro sono state portate nel deserto, al confine della Tunisia». Così, in quei luoghi di confine, migranti di circa 90 nazionalità vivono isolati. «Nei campi di concentramento ci sono 80mila persone completamente separate dalla società» continua Yambio. «Non possono muoversi, rischiano di essere attaccate. Più di 320 donne sono state violentate dai militari tunisini. Le donne sono costrette a partorire sotto gli alberi di ulivo. E i bambini rischiano malattie. Non si possono isolare dei pezzi di società, non si possono lasciare queste persone senza bagni, senza la possibilità di lavarsi» conclude Yambio. «Questo è un approccio voluto dal governo tunisino. Ma dobbiamo farci delle domande, a noi stessi e ai nostri governi: sono i nostri soldi a finanziare questo».

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