NATA PER TE: ANCHE I SINGLE POSSONO DARE AMORE
Nata per te, di Fabio Mollo, al cinema dal 5 ottobre, racconta di Luca Trapanese, un ragazzo single e gay, che ha preso in affido una bambina con Sindrome di Down. Un film universale, che parla di diritti e ci riguarda tutti
05 Ottobre 2023
«In un mondo che non ci vuole più il mio canto libero sei tu». La musica e le parole di Lucio Battisti e Mogol volano alte, libere, serene sopra la storia di Nata per te, il nuovo film di Fabio Mollo, al cinema dal 5 ottobre. Scritte più di cinquant’anni fa, sembrano fatte apposta per la storia che ci racconta il film. Che è una storia nota: quella di Luca Trapanese, un ragazzo single, e gay, che ha deciso di prendere in affido una bambina che non voleva nessuno, una persona con Sindrome di Down. E ha lottato per averla con sé. Inizia sa qui, da una bambina che il mondo non vuole più, Nata per te. La madre l’ha appena abbandonata, e la bambina non ha un nome né un cognome. È l’alba, a Napoli, e la puericultrice, già innamorata di lei, decide di chiamarla Alba. E, per il cognome, sceglie stella mia, Stellamia. Il giudice del tribunale per i minori non trova nessuna coppia che desideri adottare Alba. Fino a che non si presenta Luca. C’è infatti il registro per i single: per loro non è possibile avere dei bambini in adozione, ma in affido sì. E Luca, nonostante le tante difficoltà, decide di provare. Sente già che può essere un padre per Alba. Con Nata per te, Fabio Mollo, che avevamo conosciuto con Il padre d’Italia, torna sui toni autoriali, poetici di quel suo primo film. Ma è anche molto deciso, potente nel messaggio che vuole mandare. Ci fa entrare in questa storia con primi e primissimi piani sulle mani, sugli abbracci. E ci porta dentro ad una storia in cui ci fa capire che a volte è possibile anche l’impossibile. Come arrivare su Marte.
Nata per te è un film politico
Alba sembra davvero nata per Luca, sembra venuta al mondo per essere sua figlia. Ma la storia di Luca Trapanese che Nata per te racconta sembra davvero essere nata per Fabio Mollo, per le sue convinzioni, per la sua poetica. «La prima volta che ho sentito parlare della storia di Luca non l’ho fatto da regista» ci spiega Fabio Mollo. «Ho letto la sua storia e mi ha reso molto felice che ci fosse stata questa adozione. Speravo che fosse la prima di tante, invece non è stato così. Qualche anno dopo Giulia Calenda e Furio Andreotti, che avevano letto il libro, hanno iniziato a lavorare alla sceneggiatura. È stata coinvolta Cattleya in un secondo momento. E quando mi è stato proposto di fare questo film ero molto felice: stavo aspettando da tempo di poter fare un film così». «Anche se ho avuto il dubbio» continua. «Avevo già fatto Il padre d’Italia e non volevo fare lo stesso film. Mi sono detto: facciamone un film politico. Che era quello che Il padre d’Italia non era. Mi ha sorpreso che Cattleya abbia accettato di fare un film che parlasse apertamente di diritti. Il film è nato per me anche per questo: racconta un’esperienza di paternità molto vicina a quella che ho voluto raccontare nel tempo, e parla anche di disabilità, e di tutto quello che la società prova a nascondere, a mettere sotto il tappeto. È il cinema che mi piace fare, raccontare storie invisibili agli occhi dei tanti. Ma, dall’altra parte, esaudiva anche il mio desiderio di fare un film che parlasse apertamente di diritti. Così rispetto al libro siamo intervenuti tanto: il personaggio dell’avvocata di Teresa Saponangelo è un personaggio completamente di finzione che permetteva di raccontare bene la parte dei diritti. È anche un personaggio in cui ho messo tanto di me stesso».
I diritti non vanno concessi
«I diritti non vanno concessi, i diritti sono acquisiti fin dalla nascita» dice Teresa, lo strepitoso, irresistibile personaggio di Teresa Saponangelo. «Dopo Il padre d’Italia non volevo più suggerire, far passare sotto testo delle cose, volevo dirle chiaramente» ci spiega l’autore. «È vero che possono sembrare cose scontate, frasi didascaliche. Ma in questo momento che stiamo vivendo non le trovo così scontate. Va detto apertamente che i diritti non possono essere concessi, ma devono essere garantiti. Sono 15 anni di carriera che voglio dire una cosa del genere. Ricordo che la prima settimana giravamo la scena in cui Teresa propone alla giudice la domanda di affido e dice “Trovo assurdo che viviamo in un Paese che non concede l’adozione alle coppie omosessuali”. È una frase semplice e ovvia: eppure io mi sono commosso. Ho pensato: finalmente ce l’ho fatta. Se penso che quando ero alla scuola di cinema ho girato il mio primo corto gay, e la scuola non l’ha proiettato per non offendere i genitori degli studenti, devo dire che oggi finalmente a 43 anni questa cosa sono riuscito a farla. Sono fiero, non solo come regista ma come essere umano».
Per me non sono scarti
«Danno ai single solo i figli che le coppie non vogliono, gli scarti». «Per me non sono scarti» risponde Luca a chi gli fa notare questa cosa. Che è comunque una grande contraddizione del sistema, che fa sentire i single come cittadini di serie B, genitori di riserva. «Credo che questa che si è creata con i registri dei single sia una bellissima occasione» ragiona Fabio Mollo. «Ma mette in luce una contraddizione della nostra società che deve essere superata. L’idea che si apre all’affido e non all’adozione, perché questi bambini non possono essere adottati per chi non è sposato. E quindi non alle coppie omosessuali, perché per noi è prevista l’unione civile, non il matrimonio. L’affido è una genitorialità a tempo, a scadenza, non è una genitorialità piena ma un periodo di supporto che si dà. Anche questa piccolissima occasione è concessa ai single perché sono visti come genitori mancati, non genitori al 100%. Sì, sei capace di supportare un bambino per un periodo ma non sei capace di essere genitore completamente. Quindi si parla di affido e non di adozione, e di bambini che difficilmente possono essere collocati con le coppie sposate, i bambini più difficili. Proprio perché sto prendendo un affido complicato dovresti aiutarmi a farlo nel migliore dei modi». È una contraddizione molto grossa. «Ed è dovuta a una società che continua a non essere inclusiva, che fa delle distinzioni sulla base della perfezione e della imperfezione» continua. «È una cosa che deve essere cambiata: non esiste la famiglia perfetta, non esiste la coppia perfetta, non esiste neanche il figlio perfetto. Se usciamo da questo senso di perfezione e riusciamo a riconoscere che tutte le coppie possono dare amore, che anche i single possono dare amore e che tutti i figli meritano lo stesso tipo di amore, allora forse possiamo costruire una società più giusta e delle leggi che rispecchino la società in cui viviamo».
La legge è molto indietro rispetto alla società
I single non hanno comunque molte possibilità di affidi. Ed è una contraddizione darli in affido temporaneo e non adozione: se una persona non va bene non va bene neanche per poco. Con gli affidi temporanei, poi, si rischia di far cambiare spesso le persone che si occupano dei bambini, creando insicurezza anche in loro. «Io vedo una difficoltà da parte dei giudici» commenta il regista. «Ed è quello che abbiamo raccontato nel film, nel personaggio di Barbora Bobulova. I giudici cercano di lavorare con gli strumenti che hanno, con la possibilità che la legge dà loro. E quindi anche con l’affido, con l’apertura di questa lista per i single affidatari, che è uno strumento molto interessante. Ma dopo aver studiato per fare questo film – mi sono fatto seguire un consulente legale – la sensazione che ho io è che questa legge, che è del 1983, era all’avanguardia all’epoca, ma oggi è molto indietro rispetto alla società e alle sue esigenze. Oggi, quando vai a fare un colloquio, chiedono: “ma lei a che ora torna a casa, alle 14?” Ma quale genitore oggi torna a casa alle 14? Le leggi vanno aggiornate e questa ancora di più perché è cambiata la famiglia, sono cambiate le sue esigenze. E allora perché non cambiare legge sulle adozioni? Direi: meno case famiglia e più famiglie».
Il filo rosso che lega Nata per te a Il padre d’Italia
Nata per te ha un filo rosso che la lega Il padre d’Italia, il primo film di Fabio Mollo, che parlava di genitorialità. «L’amore non è mai contro natura» ci aveva detto l’autore in occasione di quel film. «Il padre d’Italia è una storia molto più autobiografica» ci spiega. «Ha a che fare con la materia di quello che cos’è contro natura e che cos’è naturale. È quello che ho vissuto in prima persona, rispetto al mio coming out, alla mia voglia di non sentire internamente un ostacolo a creare una famiglia, ma vedere che la società italiana in cui vivevo me lo metteva davanti. È anche un discorso legato molto a quello che ho vissuto rispetto a sentirmi impossibilitato e sbagliato rispetto a questo istinto paterno. Sono cresciuto negli anni Novanta, e la nostra generazione ha vissuto anni in cui l’amore omosessuale era un amore nascosto, in cui unire la parola omosessuale a genitore era un tabù incredibile. Quando ho fatto Il padre d’Italia era un tabù anche nel cinema, e ricordo che mi è stato possibile farlo con un film indipendente. Oggi invece Nata per te ha a che fare di più con il diritto e non è solo personale. È la storia di Luca Trapanese, ma ha a che fare con il diritto, con l’inclusione dei diritti delle persone omosessuali, ma anche dei single, dei disabili, di chi non viene considerato dentro questa società. È un film che riguarda tutti noi. E anche per questo ho preferito farlo con un linguaggio aperto a tutti. E anche nello stile di regia volevo che fosse un racconto che tutti potessero ascoltare». E infatti in Nata per te c’è tutto questo: ironia, divertimento, dolcezza, tanta musica. È una piccola favola rock.
Questa storia mi ha dato la forza di non arrendermi
In occasione del suo primo film Fabio Mollo ci aveva raccontato la sua voglia di paternità e di famiglia, e delle difficoltà che una coppia gay ha nel realizzarla. «Quando è arrivata la storia di Luca Trapanese era un periodo in cui ero molto scoraggiato» ci confessa. «Il ricordo più bello della mia infanzia è l’adozione di mia sorella. Ho vissuto in prima persona la bellezza dell’adozione. E mi sarebbe piaciuto riprodurre lo stesso tipo di genitorialità. Con il mio compagno abbiamo cercato di farlo e siamo sbattuti di fronte all’impossibilità. Ci è stato detto di divorziare: “Da single ce la potreste fare, come coppia non ce la farete mai”. Quando è arrivata la storia di Luca mi ha rincuorato. Pensavo che non ce l’avrei mai fatta a diventare genitore in questo Paese. Fare questo film mi ha cambiato profondamente. Mi ha messo in contatto non solo con Luca e Alba, ma anche con il centro per i disabili, uno dei centri che Luca ha costruito e che continuo a frequentare. Una volta finito il percorso di questo film mi piacerebbe tornare a vedere se riesco a trovare una strada per provare ad adottare un bambino o una bambina. Questa storia mi ha dato la forza di non arrendermi». E magari darà questa forza a tante altre persone. E magari muoverà le coscienze di chi deve fare le leggi.
La disabilità: indipendenza e dignità umana
Nel film ci sono molte scene girate nella comunità per disabili di Luca Trapanese, A Ruota Libera. «Credo che la disabilità sia l’ultimo grande tabù di questa società, il più duro e resistente» ci spiega Mollo. «Io stesso, che sono cresciuto nel volontariato e ho visto tanto il mondo delle comunità per disabili, sono rimasto colpito dal lavoro che fa Luca nella sua comunità. Il progetto di Luca è basato sull’autosufficienza, dell’indipendenza e della dignità umana: vuol dire renderli responsabili della propria vita. Io e Pierluigi Gigante, l’attore che interpreta Luca, siamo andati al centro e ci siamo finti operatori per prepararci al film e al personaggio. Lì abbiamo conosciuto un’altra famiglia. I ragazzi creano una loro famiglia in cui si compensano, si innamorano, litigano, fanno amicizie per la vita. Fanno un sacco di attività. La scena della piscina è la prima che abbiamo fatto con loro». «Questo film mi ha cambiato perché anche il mio sguardo sulla disabilità è cambiato: girare con loro è stato un grande lusso» continua. «Volevo raccontare la disabilità non edulcorandola, ma mostrandola nell’immediatezza. Ho insistito per girare il film con loro, e ringrazio la comunità A Ruota Libera e Cattleya per avermelo fatto fare. Per girare ho dovuto sparire come cinema e dare risalto solo a loro. E anche in quello ho imparato molto come regista. Raffaele, il miglior amico di Luca, è un ragazzo della comunità, e per me è un personaggio, è un attore al pari di Gigante e di Teresa Saponangelo. È un attore del film e lo sarà per sempre. E vorrei che, in un premio o in un festival, questa cosa gli venisse riconosciuta».
Foto di Gianni Fiorito