NÈ FATE NÈ STREGHE: ECCO LE EROINE DELLE SERIE TV
Marina Pierri racconta ventidue eroine delle serie tv dal 2013 a oggi. Sperando che sempre più siano le donne a raccontare le donne
12 Ottobre 2020
Quanti anni sono che guardate film e serie televisive? Non avete mai avuto l’impressione che le donne siano state disegnate sempre in maniera semplicistica? Di solito erano divise in due: erano la buona o la cattiva, la santa o la mondana, la remissiva o la maligna. Per dirla con il linguaggio delle fiabe, la fata o la strega. Vi siete mai chiesti il perché? È molto semplice. Perché le donne sono state sempre raccontate dagli uomini.
Oggi che le serie tivù stanno vivendo l’età dell’oro, si stanno aprendo nuove opportunità. Ce lo racconta Marina Pierri nel suo nuovo libro, “Eroine” (Edizioni TLON, 2020), un saggio appassionante, colto e densissimo di riferimenti, che racconta i nuovi personaggi femminili. Le serie tv oggi stanno dando voce a figure femminili assenti nelle fiabe e nei romanzi della cultura patriarcale, ci racconta Marina Pierri nel libro: le donne in tv oggi sono figure complesse, vulnerabili, imperfette, che emergono finalmente nella propria diversità e nella loro complessità, sono unici e allo stesso tempo parlano all’inconscio collettivo. Le serie tv di oggi, che siano ambientate nel presente, nel passato o nel futuro, sono uno specchio della nostra società. E in qualche modo ci parlano della necessità di costruire finalmente una società paritaria. I tempi stanno cambiando. E, come scrive Marina Pierri nel suo libro, le serie tv stanno riuscendo nell’intento di «penetrare un muro di gomma: quello dell’unica storia (bianca, maschile, eteronormativa) che ci è stata e continua a esserci propinata come assoluta, quando non è assoluta per niente».
«Non stiamo parlando di qualcosa che desideriamo in maniera fantasiosa, ma di un’opportunità concreta di accedere a un sistema per raccontare la propria storia: è la nostra maniera di dare una forma al mondo. Se viene raccontata da altre persone, questa forma non ci rispecchia», spiega Marina Pierri. «Non è un problema legato al desiderio di farcela, ma un fatto socioculturale, che ha a che fare con la struttura del potere. Le statistiche ci dicono che a scrivere personaggi femminili sono prevalentemente uomini. Pur considerano un’assenza di parità di opportunità, non ho problemi con il fatto che siano uomini a scrivere personaggi femminili. Ho un problema con un fatto che non siano le donne a scrivere le donne. La necessità di scrivere un libro come “Eroine”, era quella di fornire uno strumento che fosse utile anche nella scrittura dei personaggi femminili. Desideravo radicare il libro nella società, nella diversità di privilegio quando si tratta di autonarrarsi».
Quel 12% per cento di Hollywood
Il fatto che al cinema non siano le donne a raccontare le donne lo dicono i numeri. Secondo il sito Women and Hollywood, su 100 film del 2019 solo il 12% è diretto e solo il 20% scritto da donne. Nel 2018-2019, i personaggi femminili erano pari al 45% su tutte le piattaforme o emittenti. Di queste il 70% erano bianche, il 17% nere, il 7% asiatiche, il 6% latine e l’1% di altre etnie. Solo il 31% rivestiva una posizione chiave nella produzione di una serie tv; il 79% dei programmi presi in esame non contava registe; solo il 25% in totale aveva assunto il ruolo di ideatrice e showrunner. Parliamo comunque di un piccolo passo avanti: l’anno precedente le showrunner donne erano il 22%.
Nel mondo delle serie tv, quindi, va molto meglio che in quello del cinema. «Il cinema e la serialità televisiva non sono sovrapponibili», spiega Marina Pierri. «La differenza è il linguaggio: quello utilizzato per un prodotto di un’ora e mezza, rispetto a quello di un prodotto di quaranta-cinquanta ore è molto diverso. Il fatto che la serialità televisiva sia una culla migliore per la pluralità di punto di vista rispetto al cinema non ha a che fare con un assunto fantasioso, ma con la struttura produttiva: un film di un’ora e mezza, con una sceneggiatura di 90-100 pagine può essere il lavoro una persona sola, e infatti il cinema riguarda direttamente l’idea di autorialità molto più spesso di quanto faccia la serialità televisiva. È altrettanto fondamentale nella serialità televisiva. Per scrivere una serie di 50 ore, però, non posso avere solo una persona, ma tre, quattro cinque, dieci. C’è un assetto più plurale. Ed è naturale che ci sia più terreno fertile, data la necessità di più talenti».
Eleven, l’Orfana-guida
“Eroine” viaggia attraverso 22 personaggi femminili degli ultimi dieci anni di serialità televisiva, per capire come le serie tv raccontano oggi le donne, e le abbina a 12 archetipi. Una di queste è Eleven (o Undici, o Undi, interpretata da Millie Bobby Brown), una delle protagoniste di Stranger Things, la serie Netflix partita nel 2016. È una bambina che appare all’improvviso, che è stata vittima di abusi, in questo caso una serie di violenti esperimenti scientifici. Il suo è l’archetipo dell’Orfana. Ed è un personaggio che ci permette di parlare di rabbia, che, nel suo caso, si concretizza nei suoi superpoteri.
«Eleven è un personaggio importantissimo», spiega Pierri. «È un personaggio femminile che emerge da una serie maschile, non solo nella scrittura, ma anche in quanto ai personaggi: Stranger Things riprende il tropo delle gang come struttura formativa per il giovane uomo. Quando arriva Eleven, credo che un trucco interessante sia presentarcela genderless, la sua stessa socializzazione in quanto donna è un processo. Conosciamo Eleven che è una bambina torturata, e che può presentare un’espressione di genere maschile, ha la testa rasata, un camicione: la sua espressione di genere non è connotata, è fluida. Man mano che la serie va avanti viene socializzata alla femminilità, la osserviamo diventare donna sotto i nostri occhi».
Una sua caratteristica è il tropo della rabbia femminile che si trasforma in superpotere. «Fa pensare a Carrie di Stephen King, o Fenice di X-Men», ragiona l’autrice. «Amo molto la rabbia femminile, la trovo una potentissima espressione energetica nel momento in cui viene trasformata in cambiamento concreto, e diventa davvero un superpotere in tutte noi nel momento in cui mettiamo questa energia al servizio di un bene più grande. E del nostro stesso benessere: la rabbia ci aiuta a proteggerci, a definire i nostri confini, a registrare le iniquità. Quando non riceviamo un trattamento uguale, paritario, la rabbia diventa un importante strumento di attrattività. Eleven è un’orfana per eccellenza, è una bambina selvaggia abbandonata, ci parla subito di esplorazione e di sfida ai confini».
Maeve, l’Angelo Custode
Maeve Millay è un personaggio di Westworld, serie HBO in onda in Italia su Sky, ed è interpretata da Thandie Newton. Westworld è una sorta di luna park del futuro che ricrea il vecchio West, in cui androidi identici agli esseri umani danno la possibilità agli umani di vivere una serie di avventure nel parco. Spesso vengono stuprati, picchiati, vilipesi, uccisi, perché sono considerati oggetti anche da se stessi. Fino a che prendono coscienza del loro stato. Maeve Millay, la maitrêsse di un bordello, è stata considerata un simbolo delle sex worker e una rappresentazione allegorica dell’esperienza delle donne nere. Sull’Huffington Post nel 2018, Zeba Blay la descrive come «ogni donna nera che ha dovuto salvarsi da sola perché tutti gli altri ci stavano mettendo troppo dannato tempo».
«Zeba Blay, una critica televisiva nera, mi ha aiutato a inquadrare Maeve, un’eroina che non mi somiglia», spiega Marina Pierri. «Sono stata molto guidata dalle critiche nere che si sono riconosciute in Maeve, nel racconto della sua assenza di privilegio. Maeve è connotata dalla maternità, rappresenta la rabbia della madre a cui viene tolta sua figlia. Tutto quello che fa in Westworld viene associato a questo trauma originario: quando le tolgono la figlia diventa guerriera, e conserva le sue caratteristiche di angelo. Rappresenta il soldato armato di una comunità, dopo un po’ di tempo diventa il Golem dell’esercito dei robot di Westworld, è l’Angelo Custode ombra, è deputata a conservare il benessere della sua specie. Questa conservazione parte dalla necessità di conservare su figlia, e conservare il suo status di madre».
Midge, la Creatrice-Guida
Miriam “Midge” Maisel (Rachel Brosnahan) è la protagonista di The Marvelous Mrs. Maisel, serie di Amazon Prime Video partita nel 2017. Il suo archetipo è quello della Creatrice Guida. Miriam “Midge” Maisel è una moglie, una madre e una casalinga. Alla fine degli anni Cinquanta, conduce l’esistenza di una donna bianca e ricca a New York. Ma quando suo marito la lascia per la segretaria, reagisce, e avendo imparato da lui, aspirante comico, come funziona la stand-up comedy, una sera si esibisce e ha un grande successo.
«Quando guardo Midge vedo una donna straordinaria, un personaggio con tantissimo privilegio: riesce a fare quello che fa grazie al fatto che siede poco in basso rispetto al costrutto apicale, l’umo bianco eterosessuale abile» spiega l’autrice. «È una donna bellissima, molto intelligente, che può dire tutto, può viaggiare, che può permettersi di lasciare i suoi bambini a genitori e tate, può lasciare il marito. Ha ogni chance di imprimere un marchio nel mondo empirico. Non tutte le donne hanno questa fortuna». «Midge è la creatrice perfetta» continua Marina Pierri. «Ciò non toglie che sia un personaggio straordinario perché ci parla della necessità femminile di trovare la propria voce. È la Sirenetta di Andersen al contrario: una donna che dall’avere una coda di pesce, da essere molto stanziale, da essere ferma nel suo neighbourhood ricchissimo newyorchese, perde la coda e va alla ricerca. Ma, al contrario della Sirenetta, non perde la voce, ma la guadagna. È la donna che, anziché trasformarsi per amore, fa il percorso inverso, trova l’amore per se stessa, e la voce è quella che vuole trovare per se stessa. Nel linguaggio patriarcale Midge è un’anti-eroina, è un’eroina estremamente ribelle. Ma quando usciamo da quel linguaggio patriarcale è un’eroina».
Prairie Johnson, La Maga-Guida
Un personaggio unico, come la serie di cui è protagonista, è Prairie Johnson (Brit Marling), protagonista di The O.A., serie Netflix partita nel 2016. È l’archetipo della Maga-Guida «È probabilmente il mio personaggio preferito, un grandissimo amore», svela Marina Pierri. «È scritto da una donna, Brit Marling, che è una filosofa, una sciamana contemporanea. Io credo che abbia raccontato in maniera straordinario l’eroina trascendente. Sono molto legata a queste eroine, sono cresciuta guardando Labyrinth, Il mago di Oz, le eroine che hanno la facoltà di entrare e uscire dai mondi fantastici. È dai tempi de Il mago di Oz che non vedevamo un’eroina così potente, Praire è una Dorothy, ma mentre il reame di Dorothy è un po’ psichedelico, allucinato, quello di The O.A. è un viaggio nell’inconscio. È una serie scritta nel linguaggio del sogno, il mondo straordinario di Brit Marling è questo mondo onirico che non mi pare di aver visto in tanti altri show».
Rue Bennett, La Saggia-Ombra
Euphoria, serie HBO andata in onda su Sky Atlantic dal 2019 è un racconto particolarissimo. Rue Bennett (Zendaya), la protagonista, soffre, sin da piccola, di diversi disturbi della personalità. E i medicinali come l’Oxycontin, lo Xanax e il Valium Rue sono la sua sicurezza e pace interiore. Si innamora di Jules, una ragazza trans che sembra comprenderla. «È un’eroina alla quale sono molto affezionata», spiega l’autrice. «Un personaggio molto coraggioso. Euphoria, nonostante i suoi difetti, è stata molto amata dalla comunità Lgbt. Quello che mi ha interessato è l’enorme urgenza che c’è nella serie, e quando guardiamo una serie che è così urgente non riusciamo a fare a meno di appassionarci a quello show, da spettatrici e spettatori ce ne accorgiamo. È una serie autoriale, che ci parla della poetica di una persona sola, Sam Levinson, che ha deciso di calarsi nei panni di una ragazza di 17 anni. Rue è l’autore, e questo rende la serie molto desolante e molto interessante. Lui è il principio ordinatore del mondo, Rue ha questa doppia funzione, esiste nel mondo diegetico e extradiegetico, è una narratrice onnisciente, e come tale porta con sé un coefficiente saggezza. La saggezza come archetipo ci parla della necessità di dare, di quanto è importante trasmettere quello che abbiamo imparato e compreso. Ma l’archetipo del saggio ci parla anche della comprensione, del capire, andare al di fuori del nostro punto di vista. Calarsi nei panni di altre persone. L’archetipo del saggio ci parla di distacco ed empatia».
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