NELLA CONVIVENZA FORZATA È AUMENTATA LA VIOLENZA SULLE DONNE
BeFree in aiuto delle donne. In alcuni alberghi romani posti dedicati a mamme e bambini, perché i centri antiviolenza non bastano
28 Aprile 2020
La violenza sulle donne non si ferma affatto con la pandemia. «Quando, nella prima fase del lockdown, molte associazioni hanno cominciato a dire che registravano un fortissimo calo di richieste da parte delle donne, noi siamo rimaste un po’ colpite dal fatto che subito si stesse facendo un “fotoromanzo” sull’argomento: si è cominciato a pensare che le donne non chiamassero perché, chiuse 24 ore al giorno in casa con compagni e mariti, diventasse per loro più difficile comunicare. Ma, indubbiamente, era aumentato il livello della violenza e, in poco tempo, si è registrata un’impennata delle richieste di aiuto da parte delle vittime di violenza», dice Oria Gargano, presidente di BeFree, cooperativa sociale che offre ospitalità, durante l’emergenza Covid-19, presso strutture alberghiere di Roma a nuclei mamma-bambino.
Aumentano le vittime di violenza
«Noi siamo sempre dell’idea di non standardizzare, di non giudicare, per non pensare alle donne che subiscono violenza come donne a una sola dimensione. Le versioni sono tante, sicuramente ci sarà stato anche il lockdown tra i motivi del calo di richieste iniziale, ma forse anche altri: la paura, la tensione, lo shock che tutti noi abbiamo subìto. Per quanto riguarda BeFree, il periodo di stallo è durato una settimana o anche meno, poi le donne hanno ricominciato a chiamare, usando maggiormente nuove modalità: WhatsApp, Messenger sulla pagina Facebook di BeFree, le mail. Diffondiamo il più possibile i nostri recapiti, per dare tutti gli strumenti alle donne per comunicare con noi. Il fatto che abbiano utilizzato questi strumenti, ci fa capire che sono emancipate, lavorano in smartworking e hanno professioni intellettuali, senza il marito che le controlla in continuazione, come invece spesso si sente dire quando si parla per stereotipi nella narrazione “tossica” delle donne che subiscono violenza».
Pochi posti nei Centri antiviolenza
«Le case rifugio e i centri antiviolenza sono aperti. Alza il telefono e chiama il 1522», è una delle frasi dello spot della Campagna di Comunicazione “Libera puoi” della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Giusta la campagna mirata a garantire alle donne in difficoltà il consueto supporto delle linee telefoniche dedicate e l’apertura dei centri antiviolenza. A causa anche della convivenza forzata, il numero delle vittime di violenza che si sono rivolte al 1522 è aumentato notevolmente. «Quando tutto il sistema italiano stava spingendo le donne a telefonare ai Centri antiviolenza, anche suggerendo loro di farlo quando andavano a buttare l’immondizia o quando il marito andava a comprare le sigarette, considerandole per l’ennesima volta “ebeti” e non in grado di ritagliarsi un attimo di tempo, noi avevamo già pensato che, se avessero chiamato in tante per essere aiutate, seguendo l’invito pressante degli spot, non avremmo saputo dove metterle. Non ci sono abbastanza posti. Noi di BeFree gestiamo quattro case rifugio, anzi cinque se consideriamo anche quella per le vittime della tratta. I posti nelle case rifugio sono drammaticamente carenti, non arriviamo neanche ad un decimo di quelli che sarebbe necessario avere, secondo gli algoritmi del Consiglio d’Europa».
Alberghi a Roma per donne e bambini
Viste le grandi necessità, soprattutto in questo periodo, la Cooperativa ha chiesto un piccolo finanziamento alla Fondazione Haiku Lugano, e con questo sta pagando posti in alberghi alle vittime diviolenza che devono allontanarsi dal contesto abituale domestico, grazie ad un contatto privilegiato con Federalberghi. «Abbiamo selezionato strutture che sono dotate di Covid protocol, ovvero che hanno fatto le sanificazioni necessarie e che usano tutti gli strumenti idonei (dall’ozono all’Amuchina, dai guanti alle mascherine), che garantiscono il distanziamento sociale e che ci stanno facendo dei piccoli sconti. Abbiamo attualmente otto nuclei di donne e bambine o bambini, in diversi alberghi: non diciamo quali sono neanche sotto tortura, perché le donne devono essere assolutamente irreperibili. Le donne hanno tutto il supporto di operatrici, educatrici, psicologhe, legali, che le seguono con tutte le misure di sicurezza sanitaria richieste in questo momento (distanziamento sociale, dispositivi di protezione individuale)», spiega Oria Gargano. «Vanno lì per mettere insieme il progetto di fuoruscita dalla violenza, come se stessero nelle case rifugio tradizionali che gestiamo»
Tutte le case rifugio di BeFree sono rimaste sempre aperte e sono state sanificate, le operatrici ci si recano a lavorare normalmente, per coprire tutti i turni 7 giorni su 7, 24 ore su 24. I centri antiviolenza sono reperibili, via telefono, mail, WhatsApp per dare consulenze e, quando c’è necessità le operatrici incontrano le donne.
La storia di BeFree
BeFree è una cooperativa che da più di dieci anni si occupa di contrasto alla violenza di genere e contro la tratta. Nasce nel 2007, da un gruppo di operatrici uscite da un’altra organizzazione, che si occupava sempre di queste tematiche; il nome per intero di BeFree è “BeFree Cooperativa sociale contro tratta, violenze e discriminazioni”. «È nata dopo una lunga esperienza di militanza e attivismo. Io personalmente ero stata la responsabile del Centro antiviolenza della provincia di Roma, e poi nella seconda metà degli anni ’90 avevo incontrato la tratta degli esseri umani. A quell’epoca le ragazze che la polizia trovava venivano portate nelle case rifugio, non esistevano ancora le case specifiche per le vittime della tratta. Feci un progetto per aprire un centro per le vittime di tratta, di cui sono stata responsabile fino al 2007. Con BeFree abbiamo fatto moltissima strada, all’inizio non è stato facilissimo, non avevamo il “curriculum organizzativo”, ma grazie alle competenze di tutte le mie colleghe (ormai abbiamo circa 50 lavoratrici, delle quali 25 socie), attualmente gestiamo centri antiviolenza e case rifugio nel Lazio, in Abruzzo, in Molise, li abbiamo gestiti a Napoli, abbiamo molti progetti europei, lavoriamo sul Grant specifico delle Nazioni Unite.
L’empowerment delle donne
La metodologia di BeFree è volta essenzialmente all’empowerment delle donne seguite, e anche delle donne che lavorano con la Cooperativa. «Rifiutiamo il volontariato, lo sfruttamento del buon cuore e della motivazione: le nostre operatrici sono contrattualizzate. Pensiamo sia impossibile fare empowerment rispetto a delle situazioni di donne che vengono a chiedere di fare progetti insieme a noi, se non siamo sufficientemente empowerizzate e riconosciute professionalmente noi stesse: per questo siamo una cooperativa sociale. Abbiamo un’ottica molto vasta nel tema della violenza, in particolare di quella che si chiama “intimate partner violence”, la violenza nella relazione di coppia. Sappiamo bene come è affastellato il contesto tra amore (almeno alla base, all’origine di una storia), speranza che l’uomo cambi, aspettativa, proiezione di immaginari comuni che ci appartengono: il tutto in un sistema fortemente basato sullo squilibrio di opportunità tra uomini e donne. Cerchiamo di partire dal presupposto che non bisogna standardizzare le storie che le donne ci raccontano, che ogni storia è unica, non facciamo dei progetti sulle donne e neanche per le donne, ma con le donne. Siamo molto felici di come il nostro lavoro appaia trasformativo rispetto alla dimensione sociale e culturale».
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