NOI+: I VOLONTARI ITALIANI OLTRE IL MORDI E FUGGI
È quanto emerge dall'indagine NOI+, promossa da Forum Terzo Settore e Caritas Italiana con Roma Tre: si fa volontariato per un cambiamento duraturo nella comunità
23 Dicembre 2024
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Si dice spesso, ironizzando, che quando finisce l’emergenza si ritorna all’anormalità. Nel caso dei volontari: tornano all’anonimato. Del resto, i media si accorgono di loro soltanto quando ci sono le catastrofi – alluvioni, terremoti, conflitti –, nelle giornate delle commemorazioni, come quella del 5 dicembre, l’International Volunteer Day istituita dalle Nazioni Unite, o quando è necessario sensibilizzare su tematiche specifiche. È nel quotidiano, però, che il volontario fa davvero la differenza donando tempo e competenze, sopperendo spesso alle lacune istituzionali e rafforzando la coesione delle comunità di riferimento. Provate a immaginare una società già disgregata, iniqua e sempre più classista senza il terzo settore a fare da collante. Anche per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, questa è «l’Italia che ricuce e che ridà fiducia».
NOI +: l’impegno volontario comincia a rifiutare l’intervento spot
Nell’indagine NOI +. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa da Forum Terzo Settore e Caritas Italiana, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione di Roma Tre, emerge con chiarezza come i volontari italiani vogliano essere agenti del cambiamento sociale. Il loro impegno, infatti, comincia lentamente ma progressivamente a rifiutare l’idea dell’intervento spot (anche se i dati più recenti parlano di tendenza in crescita) per favorire continuità a lungo termine. Fare volontariato aiuta gli altri e anche sé stessi: il 54% del campione, ad esempio, è convinto che la propria azione contribuisca a rendere migliori le relazioni, la cultura collettiva, l’organizzazione dei servizi e anche i modelli sociali di riferimento e il 76% si dichiara convinto che fare volontariato abbia cambiato «profondamente» il proprio modo di pensare. Ma quanti sono i volontari nel nostro Paese? Poco più di 4,6 milioni secondo il Censimento Istat del 2021, con più uomini (58,3%) che donne. Gli esperti lo definiscono “il volontariato organizzato”, è quello cioè che si fa presso le organizzazioni non profit, che sono in tutto 360 mila; inevitabilmente, resta fuori dalla statistica tutto quell’impegno occasionale che, viceversa, non è strutturato ma comunque risponde a necessità specifiche della società. Al nord c’è più consapevolezza: in Trentino Alto-Adige una persona su cinque è coinvolta a vario titolo in attività di volontariato. Ma ci sono regioni-modello anche altrove: in Sardegna e in Basilicata, ad esempio, si registrano dati superiori rispetto a quelli della media nazionale del 7,8%.
Gli under 18 sono solo il 3% dei volontari italiani
Certamente gli enti del terzo settore non possono sottovalutare la “crisi delle vocazioni”. Rispetto all’ultima rilevazione del 2015, il numero di volontari nel Paese è diminuito infatti di 900 mila unità. Riguardo le differenze di genere, il numero di donne è decresciuto in modo meno consistente (-15,2%) rispetto a quello degli uomini (-17,4%). Le differenze sono soprattutto settoriali: ci sono più uomini impegnati nelle azioni ricreative e di socializzazione, nello sport, nell’arte, nei sindacati, nell’ambiente e nell’attività politica, mentre le donne sono più concentrate sugli aspetti religiosi, sulla filantropia, sulla cooperazione e solidarietà internazionale, sull’istruzione e sulla ricerca. Come ha già spiegato Chiara Tommasini, presidente di Csvnet, «le donne hanno minore disponibilità di tempo perché sono maggiormente assorbite dai carichi familiari sia nei confronti dei figli sia dei genitori». Non a caso, fino ai 18 anni i due generi sono ugualmente presenti nei vari settori e, anzi, nelle regioni del centro e del nord le ragazze fanno più volontariato e sono più dei ragazzi anche tra la popolazione studentesca universitaria. Lo squilibrio evidente, semmai, è il gap generazionale a tutto tondo tra giovani e adulti, con gli Under 18 che rappresentano solo il 3% della “forza volontaria” in Italia. Un numero che sale al 13% tra i 19 e i 29 anni, al 38% dai 30 ai 54 e che torna a scendere tra i 55 e i 64 (24%) e oltre i 65 (22%).
I giovani chiedono competenze utili nel lavoro
Tornando alla ricerca “NOI+”, dai dati emerge come la motivazione principale che spinge a fare volontariato sia il voler dare un contributo alla propria comunità (lo pensa il 63,7% degli intervistati); solo il 7,3% lo fa per aderire alla causa sostenuta dal proprio gruppo. Agendo a favore degli altri, dicevamo, inevitabilmente si finisce sempre di più per fare i conti con i propri pensieri e le proprie prospettive di vita. Rispetto all’ultima rilevazione sono cresciuti del 18% i giovani che ritengono di avere, grazie al volontariato, la possibilità di esplorare i propri punti di forza e mettersi alla prova e del 17,4% anche quelli che vedono nella donazione del proprio tempo un’opportunità di arricchimento professionale. Da quest’ultimo aspetto può nascere lo spunto per una maggiore collaborazione tra profit e non profit: se i giovani chiedono competenze da spendere poi nel mondo del lavoro, è inevitabile avviare un dialogo proficuo tra due mondi che si sono spesso affacciati al confronto con un approccio diffidente. È meno percepita che in passato, viceversa, l’urgenza di rimboccarsi le maniche per far fronte ai bisogni del momento: questa risposta è stata scelta dall’8,4% del campione, il 10,6% in meno dell’anno scorso, proprio a dimostrazione del fatto che le emergenze fanno sempre meno leva sulle motivazioni. Gli angeli del fango fanno sempre notizia, ma le persone ormai hanno bisogno di convinzioni profonde per aderire a una causa. Questo, dopotutto, non è per forza di cose un male: porta a utilizzare meno la pancia e più il cervello, a compiere meno azioni disorganizzate e a sentirsi più fidelizzati.
In copertina: Foto © Marinella Zonta, progetto Tanti per Tutti – CSVnet-FIAF