CONGO: A LUCA NON BASTA UN SORRISO
L’11 marzo l’associazione Non basta un sorriso propone un evento di raccolta fondi con Luca Barbarossa e Neri Marcorè. Perché ci sono nuovi progetti e un sorriso ai bambini in Congo non basta
18 Febbraio 2022
Non Basta Un Sorriso, come dice il nome dell’associazione di promozione sociale che da dieci anni opera nella Repubblica Democratica del Congo, all’estrema periferia di Kinshasa. Non basta, perché la situazione, in quel lembo dell’Africa, è davvero seria.
È come se fosse una zona di guerra, senza esserlo. Non basta un sorriso allora, servono azioni concrete. Lucia Della Bartola, che dieci anni fa ha fondato l’associazione, ha dedicato la sua vita a rendere migliori altre vite, quelli dei bambini del posto, con una serie di interventi reali e concatenati tra loro. Un orfanotrofio, La casa del sorriso, un progetto di scolarizzazione che comprende l’asilo nido, la scuola materna, la scuola elementare e la scuola media, un’iniziativa per fornire ai bambini, tutti i giorni, a scuola, la prima colazione, che spesso per loro è l’unico pasto della giornata. Ora è il momento di dare vita a un nuovo progetto: quello di un panificio che, contemporaneamente, assicuri il pasto ai bambini e dia anche una possibilità di lavoro alle donne e alle madri del luogo.
Per raccogliere fondi per il progetto, e festeggiare i dieci anni di Non Basta Un Sorriso, l’appuntamento è venerdì 11 marzo 2022 alle 20 per una cena di beneficenza presso le Scuderie San Carlo, in via Portuense, 959, a Roma.
Per partecipare occorre prenotare chiamando il numero +393316005671.
Gli ospiti speciali della serata saranno Luca Barbarossa e Neri Marcorè, due artisti che non hanno bisogno di presentazioni, che collaborano con Non Basta Uno Sorriso da tempo. «Nella vita abbiamo due possibilità di fronte a questo tipo di tematiche» ci ha spiegato Barbarossa. «O uno va dritto per la sua strada, voltandosi dall’altra parte, e pensando agli affari propri, oppure può andare a toccare con mano, cercare di capire. Ci sono queste due possibilità, lo ha ricordato persino il Papa. Nel momento in cui un essere vagamente umano decide di non voltarsi dall’altra parte e di cercare di capire cosa sta succedendo, soprattutto ai bambini, in moltissime parti del mondo, una volta che capisci in che stato di degrado, abbandono, violenza subita vivano è un punto di non ritorno. Non credo che si possa rimanere insensibili. E ti lasci giustamente coinvolgere. Cerchi in qualche modo di mettere dei cerotti a queste ferite, a questa sospensione di umanità, di umana pietà degli esseri più indifesi che ci sono al mondo».
Un bambino di nome Luca
In questi anni Luca Barbarossa ha avuto modo di conoscere molto bene la realtà dei sobborghi di Kinshasa, nel Congo. «Ci sono bambini, neonati, che vengono abbandonati per strada» ci racconta. “Una volta era usanza anche dalle nostre parti lasciare il neonato sulla scalinata di una chiesa, o nella famosa rota degli esposti. Lì c’è qualcosa di molto peggio, spesso trovi bambini che hanno due o tre anni e hanno già subito delle violenze, degli abusi, che sono stati trattati come dei pupazzetti di plastica».
Dei tanti bambini che ha conosciuto, ce n’è uno che Barbarossa ricorda con piacere. «Ricordo questo bambino che era stato abbandonato e trovato per strada, con questi occhioni enormi, denutrito e in sofferenza, che fu accolto e adottato dagli operatori e gli altri bambini di Non Basta Un Sorriso, all’interno dell’asilo», ci racconta. «Era un momento in cui avevo iniziato, con una certa continuità, a dare una mano. Questo bambino, gli altri bambini dell’orfanotrofio, decisero di chiamarlo Luca, di dargli il mio nome. C’è un rapporto bellissimo con questi ragazzi, Lucia ha portato i mei dischi, mi mandano cori e danze sulle mie canzoni, mi fanno gli auguri per il compleanno, mi chiamano papa Luca. Questo ragazzino cresce forte, sano e intelligente. E particolarmente simpatico. È diventato una sorta di mascotte».
Il mal d’Africa è il mal delle persone d’Africa
La storia di Lucia Dalla Bartola, presidente di Non Basta Un Sorriso è appassionante. È la storia di una scelta di vita e, come spesso accade, è nato tutto per caso.
«Stavo con una persona che aveva avuto un’offerta di lavoro in Congo, e mi disse “ti va di venire con me, magari puoi fare volontariato?”», ricorda. «Ho mollato tutto, ho fatto sei mesi in una foresta, in un villaggio, come uno se lo immagina, con le capanne di fango. E insegnavo in una scuola ricavata da un pollaio. È qualcosa che mi ha sconvolto la vita. Mi sono innamorata di quelle persone. Il mal d’Africa esiste, ma esiste il mal delle persone d’Africa. È qualcosa che entra dentro e ti sconvolge la vita. Non riuscivo più a staccarmi da lì. Così ho deciso di fondare la mia associazione, Non Basta Un Sorriso. Mi sono ritrovata col cuore a pezzi, mi sono smontata e ho ricostruito di sana pianta. Sono rinata in Congo: ho perso tutti i fardelli che mi portavo dietro, mi sono messa a nudo. Ho fatto un viaggio dentro me stessa, ho capito i miei limiti».
Congo: una zona di guerra, pur non essendo in guerra
L’idea di creare Non Basta Un Sorriso nasce da un moto interiore fortissimo, dall’aver toccato con mano una situazione a cui oggi si stenta a credere. Forse perché se ne parla meno di un tempo, forse perché a volte si sentono notizie in cui l’Africa sembra aver fatto dei passi avanti. Ma non è così ovunque.
«Siamo in un comune all’estrema periferia di Kinshasa» ci racconta Lucia Dalla Bartola. «È un territorio completamente disastrato, sembra di essere in una zona di guerra, pur non essendo in guerra. Non c’è luce, non c’è acqua, non ci sono fognature. Manca tutto, si vive nell’immondizia. È capitato anche di trovare dei morti per strada. Ho girato in molte zone dell’Africa, ma non ho mai visto un paese come il Congo».
Una cosa che sconvolge, dai racconti dei volontari, è che nella Repubblica Democratica del Congo i bambini mangiano sempre dopo gli adulti, e se ce n’è. «Il concetto di famiglia non c’è», ci spiega Lucia Dalla Bartola. «Le donne rimangono incinte e i bambini nascono, e spesso le madri non hanno nemmeno l’istinto materno. I bambini vengono abbandonati a loro stessi. Ho dei bambini che vengono a scuola, a tre anni, e non sanno sorridere, non sanno parlare, perché nessuno ha rivolto mai loro la parola. È qualcosa di allucinante, non è ammissibile che tu non rivolga la parola a tuo figlio». «I bambini mangiano spesso gli avanzi, se ci sono, e vengono tenuti ai margini» continua. «È una ruota che gira. I bambini ricevono quello che hanno ricevuto i genitori da piccoli. All’inizio quando vedevamo i bambini morire eravamo noi a soffrire, io, mio marito Massimo, i volontari. E i genitori niente, erano quasi anestetizzati al dolore. Negli ultimi anni hanno iniziato a soffrire, vuol dire che qualcosa siamo riusciti a fare. Riusciamo a tirar fuori l’amore. L’amore c’è».
Tra i corsi per gli adulti ci sono anche quelli di lingua francese, per cercare di emancipare le donne. «Lì dipendono molto dagli uomini, cercano gli uomini che le possano mantenere, com’era qui da noi sessanta- settanta anni fa», ci spiega.
Un Pronto Soccorso per duemila bambini
I progetti di Non Basta Un Sorriso prevedono anche una serie di aiuti a livello di sanità. È stato fondato un Pronto Soccorso pediatrico e delle cure per bambini con malattie rare. Nella Repubblica Democratica del Congo la sanità è a pagamento, e non è avvicinabile per la maggior parte della popolazione.
«La gente muore fuori dagli ospedali» ci racconta Lucia. «La prima cosa che fai, quando arrivi in ospedale, è riempire una scheda, paghi cinque o sette dollari e hai accesso. Ma lì devi pagare tutto, il letto, il lenzuolo, la siringa. Se non hai i soldi per quello non vieni assolutamente curato». «Nei vari comuni ci sono dei piccoli dispensari che hanno delle tariffe» continua. «Ci sono quelli più economici, dove, per fare una trasfusione, non analizzano neanche il sangue. Tre anni fa abbiamo aperto il nostro Pronto Soccorso pediatrico. È stata una soddisfazione, perché la mortalità è scesa. Curiamo non solo i nostri bambini adottati a distanza, ma anche i fratelli, i cugini. Abbiamo un giro di duemila bambini. È fondamentale, e avviene grazie alle persone che credono in noi».
Quello che l’associazione fa in Congo è una serie di interventi capillari e coordinati: il pasto, il Pronto Soccorso, la scuola, la casa famiglia. Sono interventi a 360 gradi, e anche più, se possibile. Ma con al centro il discorso dell’umanità, dell’affettività. «Ci rivolgiamo soprattutto ai genitori che non sono abituati a fare i genitori», ci spiega la presidente. «Quando un bambino sta male viene portato dai nostri insegnanti al Pronto Soccorso, non dai genitori. Se la situazione è grave – noi non facciamo operazioni – in ospedale li portiamo noi. I genitori non sono capaci. E i bambini recepiscono questo».
Adozioni senza distanza
Le chiamano, giustamente, adozioni senza distanza. Perché si basano su un sistema che ce permette di instaurare un rapporto reale tra chi adotta e il bambino, attraverso lo scambio di lettere, video e telefonate. In questo modo le distanze si annullano. «Si crea un rapporto tra il bambino e la persona che l’ha adottato» spiega Lucia Dalla Bartola. «Il bambino ha bisogno di essere stimolato, incoraggiato, ha bisogno di amore. Quando un bambino non viene a scuola per qualche giorno, io contatto il genitore a distanza, e gli dico: ho bisogno che mi mandi un video in cui lo sproni e questa persona mi manda il video, la responsabile lo fa vedere al bambino che risponde. Alcuni si mettono a piangere perché ci tengono tanto. A volte mandano dei messaggi alle persone che vivono qua. Le videochiamate sono qualcosa di emozionante. La distanza c’è se la mettiamo noi».
Spesso le persone riescono anche a conoscersi dal vivo, anche se non è facile oggi andare in Congo, c’è bisogno di un grande spirito di adattamento. Spesso ci sono sommosse e può essere rischioso». La serata dell’11 marzo sarà l’occasione per raccontare tutto questo, e anche per raccogliere fondi per un nuovo progetto, ancora una volta coerente con il resto dell’impegno in Congo. «Vogliamo realizzare una panetteria», ci svela Lucia. «Adesso in Congo ci sono le maman che vanno a vendere il pane per strada. Noi diamo ai bambini a scuola i panini dolci. Vogliamo diventare autonomi anche in questo, e in più dare lavoro alle mamme, riuscire a creare una rete di mamme che vanno a vendere il pane e rendere autonomo l’orfanotrofio. Se una donna è tranquilla non abbandona il figlio. Se gli dai un lavoro vedi cambiare le persone, vedi i lineamenti del volto cambiare, rilassarsi».
Luca Barbarossa: è una piccola associazione, è come una famiglia
Lucia Dalla Bartola ci racconterà tutto questo nella serata dell’11 marzo, dove Luca Barbarossa e Neri Marcorè ci regaleranno anche musica, canzoni e qualche sorriso. «Io e Neri Marcorè, che è molto attivo da quando gli ho fatto conoscere l’associazione, in questo tipo di serate siamo l’esca, la parte un po’ ludica», ci racconta l’artista «Diciamo: “venite, ci facciamo due risate, ci facciamo due canzoni”. La parte di comunicazione la curano gli operatori, Lucia che, tornata dal Congo, ci racconta cosa succede, com’è cresciuta la struttura. I donatori sono già perfettamente informati, sanno cosa fanno. È una piccola associazione, che per questo è più diretta, più immediata, più familiare: non perdi mai il contatto diretto con quello che stai sottoscrivendo. Ci sono enormi strutture che si occupano queste cose, dove forse, invece, il contatto si perde. Qui diventa una sorta di adozione vera, di coinvolgimento diretto, i bambini li vedi crescere, tocchi con mano i loro progressi, vieni aggiornato continuamente sulla loro vita».
«I ragazzi sono commoventi», continua. «La prima volta che hanno cantato le mie canzoni, come Luce, o Le cose da salvare, è stato fantastico. Vederli ballare e cantare la mia musica a Kinshasa, sorridenti, felici, grati di questa opportunità è qualcosa di unico».
Luca Barbarossa: a noi va il compito di alleggerire
La presenza di Luca Barbarossa e Neri Marcorè può dare quel tocco di leggerezza e di ironia, che, nel comunicare certi temi, può aiutare.
«Ci sono nobili esempi da questo punto di vista» riflette Barbarossa. «Credo che appesantire i messaggi serva sempre a poco. Il grosso carico in termini di impegno umano, in termini di dolore umano, è sulle spalle degli operatori locali reclutati e istruiti sul posto, e quelli che da qui hanno iniziato questa avventura come Lucia Della Bartola. A noi va il compito di alleggerire, di fare da richiamo tra una canzone, un sorriso e un racconto, per poter permettere in questo tipo di incontri a Lucia di spiegare bene la situazione e quali sono gli obiettivi. Perché ogni volta c’è un obiettivo nuovo».