NON DIRMI CHE HAI PAURA: VINCIAMO QUANDO COMBATTIAMO, CE LO INSEGNA SAMIA
Non dirmi che hai paura, al cinema dal 5 dicembre 2024, è la trasposizione del romanzo di Giuseppe Catozzella: «Spero che ci sia, nel romanzo e nel film, un discorso universale, il fatto che Samia ha avuto il coraggio di diventare se stessa»
09 Dicembre 2024
8 MINUTI di lettura
Samia corre, così forte che sembra volare. Sin da piccola, è quella che va più veloce di tutti. Correre è la sua vita, il suo talento, il suo sogno. Sulla sua t-shirt, quando è ancora una bambina, c’è una scritta, Girl On A Mission. È proprio così. Samia è stata una ragazza in missione. Per tutte le altre che come lei inseguono un sogno. E non smettono di correre. Non dirmi che hai paura, di Yasemin Şamdereli, in collaborazione con Deka Mohamed Osman, al cinema dal 5 dicembre 2024, è la trasposizione dell’omonimo bestseller di Giuseppe Catozzella (edito in Italia da Feltrinelli). La storia, probabilmente, la conoscete, ed è una storia vera. Samia Yusuf Omar, all’età di 9 anni, scopre di avere un grande talento: corre più veloce di tutti gli altri. Con l’aiuto del suo migliore amico Ali, Samia trasforma questo talento in un sogno: rappresentare la Somalia ai Giochi Olimpici di Pechino nel 2008. Arriva ultima nella gara dei 200m femminili, ma il mondo intero ha fatto il tifo per lei in un momento davvero magico. Al ritorno in Somalia, diventa bersaglio delle rappresaglie degli estremisti al potere perché ha corso senza velo, un peccato mortale imperdonabile. Rischiando la vita, la ragazza decide di intraprendere il viaggio per raggiungere l’Europa.
Non dirmi che hai paura ha ribaltato il nostro punto di vista
Quel viaggio, “Il viaggio”, come lo chiamano, ci sembra sempre lo stesso. Eppure è ogni volta diverso perché diversa è la storia di chi lo compie. E Giuseppe Catozzella in quella storia ci è entrato benissimo. Per chi ha amato il suo libro vederlo trasportato in immagini è emozionante. È come se prendesse vita un film che avevamo già visto, quello che abbiamo visualizzato nella nostra testa mentre leggevamo, quelle immagini così vivide. In seguito alla pubblicazione del libro, Giuseppe Catozzella è stato nominato dalle Nazioni Unite Ambasciatore di buona volontà per UNHCR, per «aver fatto conoscere in tutto il mondo la storia di una migrante, e attraverso di lei di tutti i migranti». «Quello che voleva dire l’ONU è che il romanzo trasforma in qualità quello che siamo abituati a conoscere, attraverso i mezzi di informazione, come quantità» ci spiega Catozzella. «Che poi è il modo in cui i mezzi di informazione trattano tutto. Quello che fa la letteratura è l’opposto, è raccontare una vita e, attraverso i suoi strumenti, farla diventare universale. Credo che l’ONU si riferisse a questo: avere ribaltato completamente il punto di vista attraverso il quale siamo abituati a vedere queste cose». Non dirmi che hai paura è stata una delle prime volte, se non la prima in assoluto, in cui abbiamo conosciuto davvero una di queste storie. E abbiamo aperto tutti gli occhi. «Quando ho iniziato a scrivere il romanzo nel 2012 sul tema c’era talmente poco che per raccontare il viaggio di Samia ho incontrato una trentina di ragazzi che avevano fatto quei viaggi. Allora era tutto avvolto da una sorta di foschia. Il romanzo è stata una delle primissime volte in cui tutto questo veniva raccontato. La mia scelta poi è stata quella di raccontarlo in prima persona».
Un incontro fortuito
L’incontro di Giuseppe Catozzella con la storia di Samia Yusuf Omar è stato fortuito. Una coincidenza. «Ero proprio lì, al confine tra Somalia e Kenya e stavo lavorando a un libro su un ex combattente Al-Shabaab, il gruppo fondamentalista armato islamico, che aveva cambiato vita e lavorava in una Ong di Nairobi» racconta lo scrittore. «Mentre ero lì, nella sala colazioni dell’ostello, c’era la tv accesa su un servizio di Al Jazeera English in cui intervistavano il portavoce del Comitato olimpico somalo a margine delle Olimpiadi di Londra. Si chiedeva che fine avesse fatto Samia Yusuf Omar. Ha raccontato la sua storia, dalle olimpiadi di Pechino al sogno di Londra. Ha raccontato che era partita per raggiungere l’Italia, e in Italia non ci è mai arrivata». «In quel momento ho saputo che avrei raccontato la sua storia» spiega. «In me sono scattati dei cortocircuiti: il fatto che io fossi arrivato lì in aereo, comodamente, e che lei avesse cercato di arrivare a casa mia e non ci fosse riuscita. E poi la Somalia, il colonialismo italiano, mio nonno che aveva combattuto. Immediatamente tutto questo mi ha risvegliato una fiamma vitale, ho subito immaginato questa ragazza mossa da una forza vitalistica infinita. Così ho iniziato a scrivere».
La partecipazione alle Olimpiadi amplifica l’assurdo
Mentre leggendo il libro avevamo immaginato, qui vediamo tutto e tutto è più evidente, e più crudele. Si vedono quei Giochi Olimpici di Pechino 2008, ricostruiti alla perfezione. E allora la vedi Samia in pista, la vedi che ce l’aveva quasi fatta. È ancora più crudele aver assaggiato la libertà, i sogni, ed essere stata costretta a tornare all’inferno. È incredibile che un’atleta che merita le Olimpiadi debba fare questo percorso. «Il fatto che sia andata alle Olimpiadi e poi abbia dovuto affrontare tutto quello che ha fatto è l’ennesima dimostrazione che l’idealismo hegeliano è puro idealismo» riflette Catozzella. «Il razionale non è mai reale. Ciò che dovrebbe essere raramente accade davvero. Ci aspettiamo che un’atleta che va alle Olimpiadi, sotto gli occhi di tutti, sia per lo meno protetta. E poi scopriamo che così non è. Oggi è nata una squadra olimpica di rifugiati grazie a Unhcr. Ma è una cosa diversa. Noi ci saremmo aspettati che un’atleta che è stata sotto gli occhi del mondo potesse accedere a dei documenti per prendersi un biglietto aereo. E non fare il viaggio che comunque centinaia di migliaia di persone ha fatto. Il fatto che fosse già andata alle Olimpiadi amplifica l’assurdo».
La criminalizzazione delle Ong
E, a vederlo in un film, è anche più crudele il finale, quel 30 marzo 2012, quel tragico destino che è di troppi rifugiati. «Nel 2012 era in vigore la legge Bossi Fini che vietava i salvataggi in mare. Il Mediterraneo è il più grande cimitero del mondo: l’OIM stima che negli ultimi anni 30mila persone siano morte in fondo al Mediterraneo, ed è una stima per difetto, i numeri sono molto maggiori. Quello che accade ce lo abbiamo sotto gli occhi. È la criminalizzazione delle Ong che salvano la gente in mare. Ancora, il razionale sta diventando sempre più irreale e tutto ciò che ci sembra assurdo si sta verificando. Criminalizzare le Ong in mare sarebbe come criminalizzare le ambulanze. Queste sono persone che noi facciamo morire perché non vogliamo che vengano in Europa». Da quel 2012, dalla storia di Samia e da Non dirmi che hai paura sono passati più di dieci anni. E le cose sono ulteriormente peggiorate. C’è stato un momento in cui tutto è andato precipitando. E Giuseppe Catozzella lo ha ben chiaro. «C’è stato un momento chiave, preso sottogamba da tutti» ci spiega. «È stato quando al governo c’era Minniti, ch ha rinsaldato gli accordi nostri con la Libia per bloccare le partenze. Ma c’è stata una cosa gravissima che ha cambiato tutto. C’è stato un PM, Carmelo Zuccaro, della procura di Catania che, senza avvisi di garanzia, senza alcun mandato di un GIP, ha emesso un comunicato stampa in cui ha cominciato a sparare contro le Ong. È stato il primo a dire che ci sarebbero stati rapporti, su cui stava indagando, tra una Ong e dei trafficanti di esseri umani. Ha cominciato a spargere dubbi. Tutti i mezzi di informazione massimalisti all’unisono per settimane non hanno fatto che parlare di questa cosa. Quell’indagine non aveva avuto l’avvallo del GIP, si è conclusa nel nulla. Ma nell’opinione pubblica ha cominciato a serpeggiare il dubbio, ed è stata macchiata per sempre l’immagine delle Ong».
Non dirmi che hai paura: Samia ha avuto il coraggio di diventare se stessa
Il film è fedele al libro. E, come nel romanzo, coglie il senso del racconto archetipico e della figura universale di Samia: un simbolo che incita ognuno di noi a correre e a difendere i propri sogni. «Ho da subito capito che eravamo in sintonia con Yasemin, che ha scritto il film con la sorella e la mia collaborazione» spiega l’autore. «La cosa che ha aperto la mia fiducia è stato che il film, dalla scrittura in poi, rispecchia e rispetta l’anima del romanzo». «Spero che ci sia, nel romanzo e nel film, un discorso universale» conclude. «Il fatto che Samia, nonostante abbia perso, in realtà sia una vincente. È vero che ha perso, ma ha combattuto. Noi vinciamo nel momento in cui combattiamo, non nel momento in cui davvero vinciamo. Samia ci ricorda che siamo vivi. Che ognuno di noi, come lei, possiede quella fiammella di vita. Samia ha avuto il coraggio di diventare se stessa».