ODIARE TI COSTA: COME COMBATTERE L’ODIO IN RETE
Anche on line, diffamare e rovinare la reputazione causa un danno, e va risarcito. L'iniziativa dell'associazione Pensare Sociale: denunciare è facile
06 Aprile 2020
Le parole sono importanti, diceva in un film Nanni Moretti. E ne stiamo leggendo di tutti i colori, da qualche anno, e in questo ultimo mese ancora di più sul web. Incitazioni all’odio, fake news costruite ad arte per spingere ulteriormente le persone a odiare il prossimo, a scagliarsi contro qualcuno. Sono parole che pesano, e il fatto che siano in rete non le rende più volatili e leggere, anzi.
Perché si sia tutti consapevoli di questo, e perché chi è responsabile di certi atti paghi per le sue azioni, è nata Odiare Ti Costa, un’iniziativa dell’avvocata Cathy La Torre e dell’associazione Pensare Sociale, pensata come sostegno, supporto e aiuto alle vittime di odio in Rete. Odiare ti costa orienta chi ha subito incitamento all’odio e in generale hate speech anche sotto forma di diffamazione, cyberbullismo, revenge porn, minacce, violenza, offese alla propria reputazione e/o immagine sul web verso strumenti di tutela concreti. E vuole anche promuovere una cultura delle parole e del linguaggio scevre da odio, pregiudizi e stereotipi, per un utilizzo più consapevole dei social e del web. Il punto è, come spiega Cathy La Torre, che i social non sono un videogame, un mondo virtuale o l’iperuranio. I social sono il mondo reale: in un’altra forma, ma sono il mondo reale. E anche qui, come in ogni altro spazio della nostra vita, le parole sono importanti.
Cathy La Torre, lei è avvocato e attivista. Qual è l’attività che è iniziata prima? o si sono sviluppate in parallelo?
«È difficile, se non impossibile, scindere queste due parti di me. E credo che una tenga per mano l’altra. Da attivista, e dacché io ricordi lo sono sempre stata, almeno da quando ho sentito di avere una coscienza sociale, mi batto per i diritti. E da avvocato, allo stesso modo, tutelo i diritti. Nel mondo e nel nostro Paese c’è bisogno di difendere ogni giorno la possibilità per tutti di vedersi e sentirsi uguali agli altri, di poter godere di quelle opportunità e conquiste di cui godono tutti. La chiave sta nel far capire che concedere un diritto a chi oggi non ce l’ha, non significa toglierlo a qualcun altro. E invece i detrattori dell’estensione dei diritti a tutti giocano proprio su questo fraintendimento: far credere alla gente che per far stare bene qualcuno bisogna penalizzare qualcun altro. E invece i diritti hanno questo di bello: sono inesauribili. Per questo mi sono sempre battuta per loro. Da attivista e da legale».
Come è nata e di che cosa si occupa l’associazione Pensare Sociale? E il progetto Odiare ti costa in cosa consiste?
«Pensare Sociale e Odiare ti Costa sono due progetti venuti alla luce assieme. E sono nati dall’esigenza di colmare un vuoto enorme, che si era creato nel mondo online: la mancata tutela della dignità delle persone, quotidianamente, costantemente e impunemente violata. Io e Maura Gancitano, come del resto chiunque di noi, ci siamo accorte che un’onda d’odio in Rete stava giorno dopo giorno travolgendo la vita di ognuno di noi. Leggevamo non insulti o offese, ma veri e propri orrori, minacce, violenza verbale inaudita. Ogni secondo, ogni secondo. Valanghe d’odio ovunque. E ci siamo chieste come fosse possibile che accadesse tutto così, alla luce del sole, senza che nessuno intervenisse. Abbiamo capito che questa gente, nascosta dietro le proprie tastiere, agisce così perché si sente onnipotente e impunita, libera di sfogare le proprie frustrazioni su chiunque, certa di poterlo fare senza pagare dazio. E ci siamo dette che invece di un dazio ci fosse bisogno. Che odiare, o meglio, esplicitare quelle manifestazioni d’odio che stavano devastando la vita online e onlife di tante persone, dovesse essere sanzionato. Perché sì, c’è sacrosanto diritto alla libera espressione. Ma c’è anche il sacrosanto diritto alla tutela della propria immagine, dignità e reputazione. E quando la libertà di espressione intacca questo diritto, allora non parliamo più di libertà di parola. Ma di altro. E di questo altro si stava ormai sistematicamente abusando».
C’è stato un caso in particolare che ha fatto nascere l’idea del progetto, o è stato qualcosa che è nato gradualmente, man mano che ci si è resi conto di cosa stava succedendo on line?
«Un po’ le due cose assieme. Perché se da un lato c’era un innegabile e crescente uso dell’odio in Rete, allo stesso tempo questo processo ha subìto una spaventosa accelerazione nel nostro Paese nell’ultimo anno, rispetto a quando a luglio abbiamo fondato Odiare Ti Costa. Gli odiatori, inutile nasconderlo, si sono sentiti come legittimati da certa politica, da un certo linguaggio di certa politica. L’uso di certi temi, di certi argomenti ha dato loro sempre più spazio e sempre più benzina al loro odio. Che hanno iniziato a sfogare in maniera sempre più sistematica e sempre più atroce».
Il nome non è un caso: si vuole far capire che odiare “costa” nel senso letterale della parola, in senso economico. È così?
«Sì esatto. Attenzione però. Come ho già detto prima, l’obiettivo non è colpire l’odio come sentimento. Provare dei sentimenti è legittimo, non è quindi, come ha cercato di far credere qualcuno, un attacco alla libertà di odiare o di esprimersi. Quando parliamo di odio parliamo di diffamazione, di calunnia, di ingiuria, parliamo di bullismo e cyberbullismo, parliamo di una forma di manifestazione dell’odio, quella online, che il legislatore non ha nemmeno ancora ben codificato. Ecco, è di questo che parliamo quando parliamo di Odiare ti Costa. Fatta questa premessa sì, quando parliamo di costo intendiamo proprio quello economico. Il nostro ragionamento è semplice: applicare il meccanismo del danno e del risarcimento anche all’odio in Rete. Tu danneggi la mia immagine e reputazione diffamandomi sul web? Adesso risarcisci il danno che mi hai arrecato. Perché vedi, molta gente di beccarsi la querela e magari una condanna penale a pochi mesi, che poi nemmeno sconta, per diffamazione è anche orgogliosa. Se ne vanta. Ma se tocchi questa gente nel portafogli allora la cosa cambia. Lì ci pensano due volte. Anzi, più di due. Se lo sfogo di un minuto, se la scrittura di un insulto rischia di costarti migliaia di euro, magari ti rendi conto che non ne vale poi così tanto la pena».
Al progetto è legata anche una petizione che chiede una legge contro l’odio in rete. Che caratteristiche dovrebbe avere una legge di questo tipo?
«Molto semplicemente deve definire l’hate speech, dare un perimetro legislativo e una definizione ai discorsi d’odio. Sebbene si tratti di un’espressione diffusa, non esiste una definizione univoca di hate speech (o discorsi d’odio), e questo perché in tutto il mondo è ancora in corso un dibattito giuridico, ma anche politico-filosofico su quali siano i confini della libertà di espressione. Una legge sull’hate speech deve trovare questi confini e poter permettere di individuare e quindi poter contrastare, con gli strumenti della giustizia, questa nuova forma di odio. Includendo, ovviamente, altre intollerabili forme di distorsione della realtà come le fake news e obbligando le varie piattaforme a rimuovere immediatamente i contenuti di cui stiamo parlando».
Nel video che lancia la petizione dici una cosa sacrosanta: quello che non è tollerato fuori dal web non deve essere tollerato neanche dentro il web. Ma perché, secondo te, accade questo?
«Accade perché molti utenti credono che i social siano un videogioco, un luogo nel quale nessuno ha un’identità e dove le leggi del mondo non esistono. Dove puoi fare e dire quello che ti pare, senza doverne poi rispondere. Odiare ti Costa ha l’obiettivo di ribadire a queste persone che no, non funziona così. I social sono il mondo reale. In un’altra forma, ma sono il mondo reale. È un po’ come la stampa: non è che se insulti qualcuno su un giornale poi non ne paghi le conseguenze sol perché lo hai fatto su un foglio di carta. Paghi eccome. Lo stesso per il web. Non è carta, è supporto digitale, ma è pur sempre vita reale. E se commetti un reato sul web paghi esattamente come se lo commettessi per strada o in un luogo pubblico».
Da dicembre è attivo un sito sul quale fare le proprie segnalazioni. Come funziona?
«Lo abbiamo reso il più semplice e veloce possibile. È sufficiente accedere, cliccare sulla voce “fai qui la tua segnalazione” e compilare il modulo inserendo i dati richiesti per poter valutare la manifestazione d’odio ricevuta, e nell’eventualità individuarne l’autore. Dopodiché tutto ciò che facciamo è suggerire all’utente ciò che potrebbe fare per tutelarsi.
Quali sono i casi di odio in Rete che vi hanno colpito di più in questi ultimi mesi? C’è qualcosa che vale la pena di raccontare perché non accada più?
«Guardi, parliamo di migliaia e migliaia di casi al mese. Ne abbiamo viste davvero, mi creda, di tutti i colori. Gli insulti più orribili, le minacce più spaventose, la violenza verbale più inaudita. E sì ci sono tanti casi che mi sono rimasti impressi, ma a nessuno vorrei dare la dignità della rilevanza. Posso solo dire i casi sono davvero, fino a oggi, decine di migliaia. Che la maggior parte degli odiatori che abbiamo individuato ha un’età molto alta, ben oltre i 60 anni e che, quando poi vengono contattati, piangono al telefono chiedendo scusa. Perché poi è anche questo il punto: si rendono conto di ciò che hanno fatto solo dopo che viene loro fatto presente, a freddo. Si scusano, tirano in ballo le situazioni famigliari difficili (tutti hanno la mamma malata), dicono di non sapere cosa sia loro successo e provano sempre a negare la paternità di quelle parole. Tutto questo è praticamente una costante».
Odiare ti costa offre anche strumenti di educazione digitale. In che cosa consistono? Ed è davvero possibile, oggi, un’educazione digitale?
«Diciamo che la stessa esistenza di Odiare Ti Costa è una specie di formazione a sé stante. Perché insegna a responsabilizzarsi, a rendersi conto che certi comportamenti, anche online, si pagano. Per il resto sì, siamo convinti che un’educazione digitale sia possibile. E anzi sia urgente e necessaria. C’è tanta gente che modifica i propri comportamenti quando viene spiegato loro quali sono le conseguenze, quando viene detto loro che dall’altra parte ci sono altre persone, altri esseri umani. E che la legge vige anche sulla vita online. Noi insisteremo molto su questo fronte, con progetti e idee su cui stiamo lavorando da tempo. La nostra speranza è di trovare sostegno e di raggiungere quante più persone possibile».
Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org