OGNI TUO RESPIRO: UNA STORIA DI FORZA, OLTRE LA GABBIA DELLA DISABILITÀ
Robin Cavendish, paralizzato dalla poliomelite, vuole una vita autonoma. Erano gli anni Sessanta, ma la sua determinazione ha ancora molto da dire
14 Novembre 2017
Ogni tuo respiro è la storia di Robin Cavendish. Era un giovane pieno di vita, e con tutta la vita davanti, come si suol dire. La vita che avrà davanti, però, non sarà affatto facile. Durante un viaggio in Africa Robin (Andrew Garfield) contrae la poliomelite e rimane paralizzato dal collo in giù. Alla moglie Diana (Claire Foy), che chiede ai dottori quanto durerà, questi rispondono: è irreversibile. Potrà continuare a vivere, secondo loro, ma per pochi mesi. La sua vita è letteralmente appesa a un filo, quello della corrente elettrica che fa funzionare un respiratore meccanico. Il suo futuro è quello di rimanere chiuso in un ospedale. Segue la depressione: il non voler vedere nessuno, “lasciatemi morire” le sole parole che riesce a pronunciare. Contro il parere di tutti, però, la moglie decide di far dimettere Robin e assisterlo a casa.
Hanno appena avuto un bambino, Joanathan. E, guardandolo spingere un passeggino, a Robin viene l’idea di mettere a punto una sedia a rotelle, che possa portare in giro lui e il suo respiratore. Jonathan Cavendish, il figlio di Robin, oggi è un produttore cinematografico. E ha voluto raccontare la storia avventurosa dei suoi genitori.
Ogni tuo respiro è una storia vera. È una storia di forza. Quella che ha permesso a Robin e Diana di trascendere la disabilità, di non restarne ingabbiati, di non diventare prigionieri della sofferenza. E di diventare un modello per gli altri.
Muoversi non è facile per un disabile oggi, figurarsi negli anni Sessanta. Robin Cavendish è riuscito a viaggiare, a prendere l’aereo. A creare le condizioni per migliorare la sua vita, e quella di molte altre persone.
Cavendish infatti decide di produrre su scala più larga una nuova versione della sua sedia a rotelle, e di liberare così tante altre persone. Decide di girare per farsi vedere, e far vedere agli altri come una vita normale, o quasi, sia possibile. «Nessuno credeva che fosse possibile vivere come te» gli dicono. Tutto questo diventa qualcosa di più quando Cavendish vola in Germania per presenziare a un convegno sulla disabilità dove, fa notare, oltre a lui non c’è nessun disabile.
Poco prima aveva visitato un centro all’avanguardia dove i pazienti come lui venivano tenuti in polmoni d’acciaio fissi e impilati come celle di un alveare. Un’idea antica, ma che vive ancora oggi: tenere i pazienti nascosti dalla società, non integrati nel mondo. «Quando mi guardate cosa vedete? Un uomo che fatica a vivere? Non voglio solo sopravvivere. Voglio vivere davvero. Dite ai vostri pazienti che anche loro possono vivere davvero» dice Cavendish al convegno.
LA DISABILITÀ COME COMPAGNA DI VITA. Il regista di Ogni tuo respiro è Andy Serkis, famoso attore di cui nessuno conosce il volto, perché è l’artista che, tramite la performance capture, ha dato vita a personaggi memorabili come il Gollum de Il Signore degli Anelli e il King Kong di Peter Jackson. Dietro alla maschera digitale di Serkis c’è evidentemente un uomo molto sensibile.
«Nella mia vita, sono sempre stato a stretto contatto con il mondo dei disabili», osserva. «Quando era giovane, mia madre insegnava a bambini disabili. Jonathan aveva visto e amato il film Sex & Drugs & Rock & Roll, in cui interpreto il cantante Ian Dury, che, come tutti sanno, era affetto dalla poliomielite. Mia sorella è malata di sclerosi multipla ed è costretta a vivere su una sedia a rotelle ormai da dieci anni. Mio padre era un medico, quindi sono cresciuto sentendo spesso parlare di malattie gravi.
Dagli allievi di mia madre ho imparato molto sulla poliomielite, la spina bifida, gli effetti della talidomide e tante altre patologie». «La mia riflessione è stata: è difficile ancora oggi per mia sorella andare in giro su una sedia a rotelle» continua. «Ma nel 1960, scegliere di firmare per farti dimettere da un ospedale con una possibilità di sopravvivenza equivalente a zero e immaginare un altro modo di vivere, inventare la tecnologia che ti permetta di restare in vita, scegliendo di trovarti in ogni istante a due minuti di distanza dalla morte, equivale a compiere una scalata epica. Sono anch’io uno che arrampica e apprezzo la sfida contenuta nell’idea di Robin di scalare l’Everest nel giardino di casa ogni giorno.
E poi tutte le persone che si sono strette attorno a lui, uscite dagli ospedali, ma comunque dipendenti dalla ventilazione assistita, furono chiamate responauts (“respinauti”). Mi piaceva molto il fatto che Robin e Diana non abbiano mai smesso di essere due innovatori».
RECITARE CON OCCHI E GUANCE. Robin è interpretato da un attore intelligente e sensibile, Andrew Garfield. «Ho fatto molte ricerche e avere Jonathan come referente principale è stato incredibilmente utile nel nostro lavoro di preparazione», riflette Garfield. «Claire e io ci siamo innamorati a tal punto della storia di Robin e Diana che non abbiamo desiderato altro che rendere giustizia alla vita che hanno vissuto. In questo senso, il miglior barometro per noi era Jonathan e ci rivolgevamo a lui in ogni momento, non soltanto per il loro percorso e la loro dimensione emotiva, ma anche per gli aspetti tecnici.
Come facevano all’atto pratico? Quando i polmoni di Robin venivano ventilati, lui come si sentiva? Che genere di facce faceva? Quale era la sua esperienza della sua condizione, della respirazione artificiale, della sedia a rotelle? Ecco perché sono state fondamentali la presenza e la collaborazione di Jonathan. Voleva che noi ci appropriassimo dei ruoli, ma noi volevamo che anche lui ne facesse parte».
Quella di Garfield è un’interpretazione intensa e difficile: l’attore riesce a esprimersi muovendo solo le sopracciglia, le guance, appena appena la bocca. E con un filo di voce. «È stata un’impresa appassionante impersonare tutte le fasi che attraversa il mio personaggio e nei panni di Robin ho potuto attingere a tutte le mie sensazioni ed emozioni, chiedendomi come comunicare, come riuscire a infilare una parola, come far capire agli altri quello di cui hai bisogno, come mantenere il controllo della tua realtà? Quando è rimasto paralizzato, Robin ha attraversato un periodo di depressione e ovviamente non è stato divertente girarlo»
Il regista Andy Serkis ha spiegato come il suo protagonista abbia affrontato il ruolo. «Sul set sceglieva di stare molto isolato dal resto della troupe e del cast. Se ne stava seduto in disparte o sdraiato sul letto» ha raccontato. «Andrew è un vero camaleonte e un autentico stacanovista. Ha dovuto studiare davvero molto. Aveva parecchio materiale filmato di Robin e del suo entourage e si è completamente calato nel ruolo durante l’intero periodo di preparazione e le riprese. Ha studiato il percorso che ha fatto Robin per riapprendere a parlare con il respiratore.
Robin ha passato tutta una serie di fasi transitorie diverse e Andrew le ha studiate come un pazzo per renderle in modo efficace. L’eloquio di Robin seguiva il ritmo della ventilazione artificiale e doveva fare delle pause per permettere al respiratore di resettarsi e questo rendeva molto interessante il suo modo di parlare». È curioso come una delle chiavi del film sia il movimento, il non potersi muovere, il cercare di andare oltre questo limite. E che a girarlo siano stati due artisti per cui il movimento ha significato molto. Andy Serkis, con il suo movimento facciale – e siamo sicuri che avrà dato molti consigli a Garfield in fatto di espressività – e quindi quello del corpo ha permesso, grazie alle moderne tecniche, di far muovere, e quindi recitare, dei personaggi creati da un computer.
Garfield è stato l’Uomo Ragno al cinema, un personaggio per cui il movimento è tutto. Ma è anche stato uno dei cloni nello struggente Non lasciarmi (tratto dal romanzo di Ishiguro), cioè una creatura che, con il suo corpo, serviva a curarne altri. C’è anche un gioco di corrispondenze in questo Ogni tuo respiro, che è uno di quei filmoni commoventi che si facevano una volta, che prova a dare leggerezza a una storia con momenti molto duri con una fotografia patinata e con una colonna sonora che prova a sollevare i suoi protagonisti tra note jazz e la Marcia trionfale dell’Aida di Verdi. È un film vecchio stile, ma le problematiche che tocca, dalla vita autonoma fino all’eutanasia, sono ancora attuali.