ORFANI BIANCHI: IN UN LIBRO IL DRAMMA DEI BAMBINI CHE NON POSSONO PIÙ ASPETTARE
L'ha scritto Antonio Manzini ed è la storia di una giovane moldava in Italia per lavorare e del figlio rimasto a casa. E ci racconta come siamo diventati
30 Novembre 2016
«I soldi, sempre loro. Sono cani arrabbiati che quando li hai per le mani ti mordono e li devi lasciare andare via subito. Sono molle che rimbalzano, sono l’incubo, Nina, l’incubo di questa vita». Farebbe a meno dei soldi, Mirta, che è ancora giovane e vuole costruirsi una vita solida e serena.
In fondo quello a cui aspira dovrebbe essere un diritto per tutti: vivere con il proprio figlio, Ilia, lavorando per una paga dignitosa. Ma Mirta è moldava e per vivere con il proprio figlio ci vogliono soldi che nel suo Paese non può trovare, e così è costretta ad abbandonarlo, il figlio, per venire in Italia, dove invece il lavoro c’è. Paradosso estremo – abbandonare i propri cari per venire ad occuparsi di quelli degli altri – ma è un paradosso che centinaia di migliaia di badanti vivono sulla propria pelle.
Che poi quei “cari” di cui Mirta si deve occupare, tanto cari non sono, almeno per i parenti che dovrebbero almeno un po’ farsene carico, e che invece cercano solo modi educati e politically correct per abbandonarli: a loro, i soldi hanno chiuso il cuore e l’hanno riempito di cinismo. Mirta, invece, ce l’ha ancora pieno di tenerezza e di nostalgia per Ilia. Anche di un po’ di rabbia, che però non la soffoca.
Mirta è la protagonista di Orfani bianchi, l’ultimo libro di Antonio Manzini, noto per i suoi gialli e, in queste settimane, per il successo del suo Commissario Schiavone, in onda su Rai2.
Gli orfani bianchi, un problema sociale
Orfani Bianchi non è un giallo. È un romanzo che, come spesso succede alle fiction, racconta con verità la società che siamo diventati. Sullo sfondo c’è il dramma di quei bambini che un genitore ce l’hanno: la mamma, in genere. Una mamma che vuole loro bene, ma che ha dovuto abbandonarli per andare lontano, lavorare e guadagnare abbastanza per potersi riunire. Quando va bene, i bambini restano con i nonni o con i parenti. Quando va male, c’è l’internat, l’orfanostrofio. A Mirta e suo figlio va male, e il bambino all’orfanotrofio proprio non riesce ad adattarsi.
Quella degli orfani bianchi è diventata una vera emergenza nei Paesi dell’Est (soprattutto Romania, Ucraina e Moldavia), segnati da una forte emigrazione femminile. Secondo alcune fonti sarebbero 750mila in Romania e 100mila in Moldavia. Tutti ragazzi che vivono l’esperienza dell’abbandono, anche quando riescono a mantenere un qualche rapporto con la madre o i genitori lontani. Porteranno per sempre questa cicatrice. E molti scivolano in depressione: tra di loro c’è alto numero di suicidi.
Anche Mirta si sente sola, in Italia. Soprattutto quando ha che fare con il cinismo, la diffidenza e il razzismo educato delle famiglie benestanti che le danno lavoro, ma anche quando si confronta con le altre straniere, appartenenti ad altre culture, con cui condivide stanze e fatiche, e con cui è davvero difficile capirsi.
L’attesa è insopportabile
Ma lei è adulta e può combattere: può attaccarsi al cellulare per mandare messaggi al figlio, può trovare altri immigrati del suo paese a cui appoggiarsi, può trovare dentro di sé la forza della speranza: l’obiettivo è chiamare il figlio in Italia, sarà dura, ma deve farcela.
Ilie, invece, può solo aspettare. E a volte aspettare è più difficile che lottare.
Bella, ricca e incapace di tenerezza, la signora Eleonora dice alla badante appena assunta: «Nella disperazione siamo uguali». Ma non è vero. La disperazione a parole non fa male. La disperazione che travolge il cuore fa molto male, a chi il cuore ancora ce l’ha.
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Antonio Manzini
Orfani bianchi
Ed. Chiarelettere 2016
pp. 260, € 16,00