OSCAR ROMERO, IL VESCOVO CHE CI INSEGNA VERITÀ E GIUSTIZIA

Sarà beatificato domani il martire salvadoregno, punto di riferimento per chi pensa che la Chiesa deve stare dalla parte dei poveri

di Paola Springhetti

Un segnale della Chiesa che cambia sarà evidente domani, 23 maggio, quando sarà beatificato a San Salvador Monsignor Oscar Arnulfo Romero, ucciso il 24 marzo 1980 mentre celebrava la Messa, colpito da un unico micidiale colpo sparato da un sicario  di Roberto D’Aubisson, allora leader del partito nazionalista conservatore Arena. Una beatificazione tardiva, che arriva dopo un percorso accidentato, dopo anni di silenzio sulla sua figura e a volte di denigrazione.
Nato nel 1917 da una famiglia povera, divenne vescovo di San Salvador nel 1977. Un periodo difficilissimo per il Salvador:, devastato dall’esercito e dagli squadroni della morte, assoldati dall’oligarchia per mantenere il potere e reprimere nel sangue i movimenti contadini. Una persecuzione sistematica – da cui sarebbe nata una vera e propria guerra civile – che dal maggio del ’77 si rivolse anche contro la Chiesa cattolica, o contro quella parte di essa che stava dalla parte popolo.

La verità e la giustizia

La casa editrice Emi ha recentemente pubblicato due libri: “La Chiesa non può stare Zitta“, che raccoglie scritti inediti del periodo in cui è stato vescovo, e “Romero, martire di Cristo e degli oppressi” di Jon Sobrino, esponente della teologia della liberazione e suo stretto collaboratore. Sobrino racconta come, avendo appreso della nomina di Mons. Romeo, fosse rimasto deluso: un vescovo moderato, influenzato dall’Opus Dei, in un certo senso innocuo. Invece dovette imparare a conoscere «un vescovo umile, che chiedeva aiuto» e che, soprattutto, schiererà la Chiesa salvadoregna dalla parte dei poveri, senza tentennamenti.
Uomo di grande fede, convinto che solo l’annuncio del Vangelo poteva portare speranza e liberazione, Romero fu profondamente scosso dall’assassinio di Padre Rutilio Grande, gesuita suo collaboratore e amico, che fu ucciso insieme a due catechisti un mese dopo la sua nomina. Certamente questo fu uno dei motivi del suo cambiamento, insieme al contatto diretto e all’empatia con il “suo popolo” sofferente.
«Monsignor Romero ha detto la verità. Ha difeso noi poveri, per questo lo hanno ucciso». Sobrino nel libro cita questa frase di un contadino, che sintetizza con efficacia il modo di operare del vescovo. L’amore per la verità lo impegnò in una costante e decisa opera di denuncia. Insisteva, durante le omelie in cattedrale e attraverso radio Ysak, a dire tutti i nomi dei contadini uccisi ma anche, quando aveva informazioni sufficienti, quelli degli assassini, specificando anche a quale corpo militare o paramilitare o della guerriglia appartenevano. Parlava dei famigliari sopravvissuti ed «esigeva la riparazione come obbligo di giustizia e condannava duramente l’impunità». Insomma, era «scrupoloso nel dire la verità», cosa evidentemente inaccettabile per un regime che sulla menzogna si reggeva.
Ugualmente netta fu scelta di stare dalla parte dei poveri: «Io denuncio soprattutto l’assolutizzazione della ricchezza. Questo è il grande male del Salvador : la ricchezza, la proprietà privata come assoluto intangibile», disse (12 agosto 1979). Aiutò i poveri in tutti i modi che poteva, dall’andare a raccogliere cadaveri al potenziare il servizio legale della diocesi. Così viva il suo ruolo episcopale: «tocca a me andare a raccogliere prevaricazioni, cadaveri e tutto ciò che lascia la prevaricazione conto la Chiesa».

La solitudine, anche ecclesiale

Queste scelte gli misero contro, ovviamente, le oligarchie militari ed economiche, ma quello che lo fece soffrire di più, racconta Sobrino, fu scoprire «i limiti, gli intrighi e le meschinità dell’istituzione ecclesiale. Gli era difficile capire come fosse possibile che mentre il Paese era in fiamme e perfino i sacerdoti venivano assassinati, lui non trovasse appoggio ma opposizione; come fosse possibile che mentre era in gioco il Regno di Dio, i vescovi salvadoregni si preoccupassero che non accadesse nulla all’istituzione».
Romero si trovò isolato nel Salvador come a Roma, dove il suo rapporto con Paolo VI e con Giovanni Paolo II furono difficili e inficiati dalle accuse gli venivano mosse, di essere “comunista” e troppo legato alla teologia della liberazione.
La sua beatificazione, ora, costringe tutta la Chiesa a confrontarsi con la sua idea di fede, di giustizia, di uomini «felici di correre come Gesù gli stessi rischi, per identificarci con la causa dei derelitti».

Romero sobrinoJon Sobrino
“Romero Martire di Cristo e degli oppressi”
Emi 2015
pp. 288, € 17,00

 

 

 

 

 

romero 1Oscar Arnulfo Romero
“La Chiesa non può stare zitta”
Emi 2015
pp. 144, €14,00

OSCAR ROMERO, IL VESCOVO CHE CI INSEGNA VERITÀ E GIUSTIZIA

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