OSTIA, IL MARE DI ROMA DEVE TORNARE AD ESSERE MARE PER TUTTI
Concessioni irregolari, spiagge spartite tra privati, clan mafiosi hanno tolto il mare di Ostia ai cittadini. Ne parliamo con Agostino Biondo, Comitato Mare per Tutti
di Rosa Ferraro
10 Luglio 2019
Ostia è una città di mare, o forse no, o almeno non per tutti. Nel senso che il mare è reso invisibile da un lungo muro, le spiagge sono suddivise tra privati e ci sono intrecci complessi tra la criminalità organizzata e la gestione delle spiagge.
A questa situazione cercano di opporsi, ormai da tempo, associazioni, comitati e gruppi di cittadini. Tra questi c’è il Comitato Mare Per Tutti, nato dalla volontà di realtà politiche, civiche, associazionistiche e di singoli cittadini di unirsi per raggiungere un importante obiettivo comune: “liberare” il Mare di Roma dal dominio di chi lo ha reso una proprietà privata e restituirlo alla cittadinanza.
Abbiamo incontrato Agostino Biondo, 27 anni, membro e fondatore del Comitato, che ci ha raccontato il suo impegno, che è l’impegno di molti che, mossi dal senso civico e dalla volontà di reagire al degrado ed alla gestione delle nostre coste, mettono a disposizione professionalità, tempo e molto altro, a sostegno di una battaglia che si inserisce bene nel vuoto politico e normativo.
Raccontaci la storia del comitato e gli obiettivi che vi siete prefissati nel medio e lungo periodo.
«Il Comitato nasce ad aprile del 2018 dall’unione di intenti di alcune realtà politiche e associative del territorio, che condividevano l’esigenza di “liberare” il mare di Roma. Ci sono state alcune prime iniziative simboliche per chiedere, ad esempio, la decadenza delle concessioni in cui erano presenti delle irregolarità manifeste, l’abbattimento delle barriere fisiche, l’accessibilità sia per i varchi, sia per la demolizione delle barriere architettoniche e la creazione di percorsi guidati per l’accesso di persone con ogni tipo di disabilità. Abbiamo organizzato due o tre sit-in ogni mese, per denunciare le ipotesi più eclatanti di irregolarità. Le manifestazioni più importanti sono state “La presa della Battigia”, proprio il 14 luglio: siamo andati ad occupare con ombrelloni e asciugamani una porzione di spiaggia abusivamente occupata dallo stabilimento Battistini al centro di Ostia.
L’inverno scorso, invece, con la “Scalata del mare”, simbolicamente vestiti con i passamontagna, abbiamo scalato il muro con delle scale per superarlo ed accedere al mare.
Ultimamente ci siamo organizzati in azioni coordinate con altri comitati in giro per l’Italia, per far partire diffide e ricorsi contro l’ulteriore proroga delle concessioni approvata con l’ultima legge di bilancio. Oltre a questo, seguiamo, insieme all’associazione Mare Libero, che è la spina dorsale del Comitato, tutta la vicenda dell’erosione costiera e quindi della tutela della costa e anche del fiume, che è un importante bacino di sedimenti per quanto riguarda la ricostituzione del litorale».
Che importanza riveste per te la spinta civica e dell’associazionismo in battaglie come questa?
«Oggettivamente è sotto gli occhi di tutti che le forze politiche hanno perso il contatto con il territorio ed anche la capacità di fare un’analisi critica delle problematiche territoriali. In questo modo le associazioni, il civismo, la società civile hanno messo un po’ le toppe a questa situazione. L’associazione Mare Libero infatti nasce nel 2014, contemporaneamente al bando che assegnava la gestione delle attività di una spiaggia sequestrata al clan Fasciani a Libera e di un’altra a UISP, capofila del bando. Io penso che, visto l’arretramento della politica sui territori, c’è bisogno delle realtà civiche per far riacquisire alla politica un po’ di percezione dei veri problemi dei territori, ad esempio – in questo caso specifico – della libera fruizione che, ci tengo a dirlo, non si deve esaurire lì, ma è solo un primo passo, perché la politica deve anche tornare ad avvalersi, direttamente o indirettamente, del lavoro delle associazioni, per creare una messa a sistema e dare l’indirizzo politico alla battaglia. C’è quindi bisogno che il lavoro sia complementare».
Questa vostra battaglia è anche e soprattutto una battaglia contro la criminalità organizzata, che ha molti interessi rispetto alla gestione degli stabilimenti.
«Si, la battaglia contro la criminalità organizzata sta alla base del nostro lavoro. Su Ostia c’è una spartizione (tacita?) tra imprenditoria balneare e clan. Non a caso le spiagge libere sono concentrate nella zona di Ostia Ponente, proprio perché i clan hanno sempre gestito i chioschi ovvero le spiagge libere attrezzate, più che le concessioni balneari. È successo alcune volte – come nel caso de “L’orsa maggiore”, quello denunciato da Federica Angeli – che un esponente del clan Spada sia entrato in maniera fittizia nella gestione di uno stabilimento, in combutta con il direttore dell’Ufficio Tecnico. Prima, peraltro i Fasciani erano riusciti ad ottenere lo stabilimento Village. Il dato interessante però è che tutti i clan di Ostia hanno iniziato ad essere attenzionati dalla magistratura, dalla stampa e dai media esattamente nel momento in cui hanno messo le mani sulle concessioni degli stabilimenti come se ci fosse una sorta di meccanismo automatico che impedisca a qualcuno, persino alla mafia, di mettere le mani sul vero oro del mare di Roma».
Negli ultimi tempi c’è stata un’attenzione particolare dei giovani rispetto al tema dell’ambiente e della tutela del territorio. È importante l’apporto dei giovani come te in battaglie come questa?
«La tutela dell’ambiente ed il problema dell’inquinamento sono punti centrali della nostra battaglia. Ci sono gravi problematiche di impatto ambientale, ad esempio, legate alla posizione del porto, costruito fronte mare alla foce del Tevere, o alla cementificazione aggressiva che distrugge l’ecosistema sia vegetale che faunistico (le dune, la flora e la fauna, che costituivano una forte difesa del suolo). Oltre a questo c’è il problema della produzione importante di rifiuti degli stabilimenti. Su Ostia si è attivato, nella scorsa primavera, un gruppo informale di ragazzi che ha raggiunto le 100 presenze e che almeno una volta a settimana ha organizzato la pulizia delle spiagge. Ecco, tengo a dire che per quanto ci si possa organizzare in forme civiche e azioni di pulizia di questo genere, non è neanche lontanamente possibile risolvere il problema. Queste azioni però hanno un grande valore di sensibilizzazione rispetto alla gravità della situazione delle nostre spiagge e servono per richiamare all’azione, alla gestione, al controllo e alla tutela del territorio le autorità competenti per minimizzare l’impatto ambientale».