UCRAINA. IL CORAGGIO DI CREDERE NEL FUTURO È SCESO IN PIAZZA
Le storie e le parole di chi ieri ha manifestato, a Roma, per chiedere la pace in Ucraina. Con tanto dolore, ma continuando a sperare
27 Febbraio 2022
La guerra è qui. Anche se dista duemila chilometri. È negli occhi di Romanov, 8 anni, che l’ha vista solamente nei tg eppure la sente dentro, perché in televisione ha riconosciuto i suoi luoghi, quelli della spensieratezza e dei giochi. Romanov ha gettato via i giocattoli per prendere in mano un cartello: «Sono un bambino di Kyiv. Voglio rivedere i miei amichetti». Non ci sono lacrime nel suo sguardo severo e profondo. Senza dire nemmeno una parola, Romanov ci sta accusando di avergli rubato l’infanzia.
È un messaggio forte quello che arriva da Piazza Santi Apostoli, a Roma, in un sabato freddo come l’inverno più duro: migliaia di persone hanno manifestato “Contro la guerra, per un’Europa di pace”, perla pace in Ucraina, riunite da Cgil, Cisl e Uil e da 40 associazioni con oltre cento sigle aderenti, tra cui CSV Lazio.
Un minuto di silenzio per le vittime del conflitto, il ricordo di Gino Strada e tanti appelli da parte di chi è salito sul palco, affinché la diplomazia torni a giocare un ruolo decisivo in questa vicenda e vengano deposte le armi.
Olga per la pace in Ucraina
La piazza è popolata da persone di ogni età. Ci sono i bambini, gli studenti e gli adulti. Una delegazione di docenti fa una proposta: «diamo ai ragazzi poesie contro la guerra per donare una speranza, parliamone nelle scuole per tenere acceso un faro». Italiani, ucraini, russi, serbi, polacchi e bielorussi si schierano apertamente: la piazza è una Torre di Babele in cui le lingue, anziché confondersi, si uniscono in un solo abbraccio.
Olga lo dice senza mezzi termini: «o sei contro la guerra, o sei un criminale. Non c’è via di mezzo». Lei, bielorussa, vive a Roma e insegna musica nelle scuole. A casa non torna da tanto tempo. «Mi manca» dice con gli occhi lucidi. Avendo sempre espresso forti prese di posizioni nei confronti del presidente Lukashenko, teme che un viaggio verso Minsk possa mettere in pericolo la sua famiglia: «Siamo vicini al popolo ucraino perché noi viviamo già sotto occupazione russa, a causa della complicità di un dittatore. Ho tanti amici in Ucraina, sono preoccupata per loro. Una mia collega sta facendo cantare i bambini sotto la metro. E nei media russi non puoi nemmeno chiamarla “guerra”, altrimenti vieni considerato un nemico dello Stato».
Tania
Le truppe di Putin sono entrate anche a Kharkiv, seconda città del Paese. Si combatte per le strade e le bombe cadono dal cielo. «Tutta la mia famiglia è lì e io mi sento senza forze perché non posso fare niente» spiega Tania, che studia in Italia da 5 anni. «Mio padre, mia madre, i miei nonni e i miei fratelli si stanno nascondendo nei rifugi, la notte è peggio del giorno perché i russi bombardano quando è buio. Dormono con i vestiti addosso e con le valigie pronte per scappare da un momento all’altro. Vorrei che gli italiani sapessero cosa sta succedendo». Il suo racconto è un pugno nello stomaco. «Ho paura che possano prendere in mano i fucili e andare a combattere anche loro, temo che prima o poi succederà, perché i militari non possono farcela da soli. Vi prego, non abbandonateci».
Le bandiere della pace sono ovunque e sventolano insieme a quelle di Emergency, dell’Associazione Nazionale dei Partigiani, dei comunisti e dei sindacati. Tanti gli striscioni e i cartelli di protesta contro Putin. Uno invita letteralmente il Cremlino “ad andare a farsi fottere”, citando le ultime parole pronunciate dai 13 soldati ucraini morti sull’isola del Serpente, 300 km a ovest della Crimea.
Natalia
Natalia, nata e cresciuta a Mosca, lo scrive e lo urla: «Questa non è la mia guerra, non è la guerra del mio popolo». «Condanniamo l’aggressione di Putin a una nazione sovrana, per i diritti umani, per esprimere la solidarietà del mondo del lavoro al popolo ucraino e alla sua comunità in Italia. Le ostilità vanno immediatamente fermate», ha detto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, durante la manifestazione per la pace in Ucraina. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha aggiunto: «Considerare la guerra uno strumento normale di regolazione dei conflitti e dei rapporti tra Stati e popolazioni è ciò che l’Europa deve evitare».
In piazza ci sono anche i ministri Orlando e Speranza. I politici parlano di dialogo, condannano gli attacchi, ma gli appelli più forti arrivano dalla disperazione di è legato emotivamente a quella terra. Tutte le altre rischiano di diventare parole vuote e retoriche.
Viera
Quattro ucraini del Donbass hanno completamente perso i contatti con i loro familiari. «Non rispondono più al telefono, non sappiamo se sono ancora vivi», dice Irina. Noemi ha i suoi parenti a Kiev e «per il momento stanno tutti bene, ma ieri mentre parlavo con loro al telefono sentivo gli spari. Non riesco più a dormire». Viera, di Dnipropetrovsk, racconta un’altra faccia del conflitto: «molte persone in Ucraina hanno i conti correnti bloccati. Non possono ritirare i soldi e quando finiranno i contanti non potranno nemmeno andare a fare la spesa».
Franco e Francesca
Franco, nato e cresciuto a Roma, non si sarebbe mai aspettato «una guerra in Europa, dopo una pandemia che ha causato 6 milioni di morti in tutto il mondo. È inaccettabile». Ha i capelli bianchi e le rughe sul volto, ma non ha alcun legame con l’Ucraina. Eppure è in piazza, anche lui. Come Francesca, commessa di professione e madre di quattro figli. «Oggi bisogna dimostrare da che parte si sta» spiega. «E stare a casa secondo me è la parte sbagliata. Scendo in piazza per esprimere la mia posizione per la pace in Ucraina e per dire ai miei figli che la mia generazione ha fallito: non abbiamo cambiato questo mondo, spero ci riescano almeno loro».
Due ragazze italiane, non ancora maggiorenni, cercano di farsi largo tra la folla con un cartello, mentre dagli altoparlanti parte “Give Peace a Chance” dei Beatles. Con i pennarelli giallo e blu hanno scritto “La storia siamo noi, fermiamo la guerra”. La speranza c’è e cammina sulle gambe di chi ha ancora il coraggio di credere nel futuro, nonostante la sofferenza e la paura.
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