PARALIMPIADI 2024. «IL SITTING VOLLEY MI HA AIUTATA AD AFFRONTARE LA SCLEROSI MULTIPLA»
Giulia Aringhieri è una delle atlete della squadra italiana di sitting volley alle Paralimpiadi di Parigi 2024. Ci racconta delle sue emozioni, della passione per lo sport, del suo più grande tifoso e di AISM, che le ha fatto conoscere suo marito
30 Agosto 2024
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«È la nostra seconda Paralimpiade come squadra, dopo Tokyo del 2021. Quella di tre anni fa è stata la prima qualificazione a una Paralimpiade, fino a 10 anni fa non esisteva la squadra italiana di sitting volley. Stavolta siamo a casa nostra (in Europa), senza il Covid, con un animo più leggero da un punto di vista, e dall’altro più consapevole. Sicuramente la mia famiglia è di grande sostegno. Ci verranno a trovare i nostri familiari e i nostri amici, sono coinvolte tante persone». A parlare è un’emozionata Giulia Aringhieri, 37 anni, atleta di sitting volley pronta a scendere in campo alle Paralimpiadi, in corso a Parigi dal 28 agosto all’8 settembre.
Vi siete qualificate con un bellissimo risultato?
«Sì, con l’oro che abbiamo vinto all’ultimo Europeo ci siamo riqualificate. Sono molto emozionata di partecipare a queste Paralimpiadi. Siamo contente di aver fatto bene fino a qui e ora vogliamo continuare a fare bene a Parigi».
Come si è avvicinata a questo sport?
«Vengo dal mondo della pallavolo, sin da bambina. È stato l’unico sport della mia vita. Non conoscevo la pallavolo paralimpica, mi ci sono avvicinata negli anni 2015-2016 grazie a due ex compagne di squadra toscane, che hanno portato a Pisa questo sport. I primi anni non avevo raccontato della mia diagnosi di sclerosi multipla. Quando ho iniziato a parlarne, mi hanno iniziato a coinvolgere in questa disciplina. Da lì è iniziata la chiamata in Nazionale e tutto il resto».
Vuole parlarci della sua diagnosi?
«Ho scoperto nel 2008 di avere la sclerosi multipla. I primi anni ho continuato a giocare a pallavolo, con più fatica e dovendo riequilibrare la situazione. A livello personale, la pallavolo è stata la mia “medicina per la mente”. Ovviamente, con questo non voglio dire che le medicine per curare la mia malattia non siano fondamentali, lo sono. Ma la pallavolo mi è servita come cura personale, oltre alle terapie. Mi ha aiutato tantissimo».
Quali sono stati i primi sintomi della malattia?
«I primi anni ho avuto problemi al nervo ottico, poi problemi di sensibilità e di gestione della fatica, anche quando faccio sport. Ma a me lo sport fa stare bene, mi ha aiutato anche ad ascoltare meglio il mio corpo».
Com’è la vita insieme alle sue compagne di squadra?
«Siamo tutte alla pari, con e senza disabilità, questo è il senso della squadra. Certamente capiamo aspetti di un momento difficile della propria vita perché ci siamo passate tutte. Magari chi ci è nato (con disabilità di un arto e la mancanza di una mano) ha un tipo di percorso ma ha affrontato situazioni difficili e ostacoli da superare, soprattutto nell’infanzia. Chi come me ha avuto a che fare con la malattia durante la sua vita, ha un altro tipo di percorso. Ma abbiamo tutte storie importanti, sicuramente abbiamo una sensibilità tra di noi che ci aiuta. I risultati che, in questi anni, abbiamo ottenuto sono stati realizzati grazie anche al gruppo che abbiamo creato: la convivenza non è semplice, come in tutte le famiglie ci sono momenti di litigi, di chiarimenti. Ma riusciamo anche a darci una forza incredibile, soprattutto abbiamo creduto in questo sport che non esisteva, non c’era una storia, non c’era curriculum di un passato. Da zero ci siamo messe a sviluppare e a migliorarci continuamente per far crescere questo sport».
Lei è testimonial di Aism, Associazione italiana sclerosi multipla. Può parlarci della sua vicinanza ad Aism?
«Grazie ad Aism ho conosciuto mio marito Marco Voleri (cantante lirico, anche lui testimonial di Aism, ndr). Abbiamo una storia alle spalle che ci tiene molto vicini all’associazione. I primi anni non parlavo della mia diagnosi con nessuno. Poi grazie alla sezione di Livorno di Aism ho iniziato a seguire dei convegni nazionali dell’associazione, ad uno di questi Marco presentava il suo libro “Sintomi di felicità”, aveva fatto outing nel suo mondo riguardo alla sclerosi multipla. Aism mi ha aiutato a sentirmi compresa e supportata, quando si ha una diagnosi come la mia ci si sente soli al mondo».
E l’incontro con suo marito?
«In quell’occasione io sono rimasta colpita dalla storia: ero nella fase in cui non raccontavo nulla a nessuno. Vedere una persona come lui che aveva scritto un libro in cui raccontava la sua storia è stato molto ispirante. Ci siamo conosciuti a Roma, essendo entrambi di Livorno ci siamo frequentati e dopo l’amicizia si è andati oltre… Marco è stato ed è il mio braccio destro e sinistro. È stata una figura importante per aiutarmi a superare quello “scalino” che mi ha permesso di aprirmi e di affrontare la malattia a viso aperto. Prima mi nascondevo. Lui è stato quel dettaglio che mi ci voleva per farmi comprendere questo percorso. Da lì sono rinata, mi sono sentita libera di poter parlare e la nostra storia è andata per il meglio perché forse anche io ero pronta in quel momento. Noi abbiamo capito che, nonostante due diagnosi importanti, eravamo una forza insieme. Marco mi ha cambiato la vita nel vero senso della parola».
Voi avete un bimbo.
«Sì, di nove anni, ho avuto una gravidanza meravigliosa, un bimbo meraviglioso. Che è cresciuto con quest’avventura del sitting volley. Viene a vedermi, fa un grande tifo. Viene a vedere le partite a Parigi, ha fatto i cartelloni, gli ho dato la mia maglia. È un momento importante anche per lui. In questi anni è stato tutto molto bello, ma sono stati anche anni di sacrifici. Il tempo che ho tolto, facendo sport, l’ho tolto a lui. Da mamma non è stato semplice questo percorso».
La visibilità delle Paralimpiadi (che saranno trasmesse interamente da Raidue) quanto è importante?
«È fondamentale. Quando avevo 21 anni e ho avuto la diagnosi, giocavo, ero una super sportiva ma non conoscevo assolutamente il mondo paralimpico. Se avessi avuto la possibilità di accedere alle informazioni che ci sono ora, magari avrei iniziato subito a praticare il sitting volley. Non sarei stata anni a soffrire dentro. Giocavo a pallavolo, ma soffrivo per il fatto di non voler dire della mia malattia. Magari se avessi trovato le informazioni giuste al momento giusto, avrei approcciato uno sport paralimpico e questo mi avrebbe agevolato il percorso. Avere oggi questa possibilità, poter trovare nello sport un motivo per andare avanti o anche solo l’ispirazione, è importante. Può essere anche solo un pensiero di poter cambiare qualcosa della propria vita. È quello che non ho avuto io, oggi se posso comunicare e far conoscere a qualcuno la mia disciplina sono felice perché rivedo la Giulia di 16 anni fa, neo diagnosticata».
Sarebbe bello se anche solo una persona con disabilità, vedendo in tv le Paralimpiadi, decidesse di provare a praticare qualche disciplina.
«Mi è successo. Una ragazza con sclerosi multipla, vedendomi giocare a sitting volley, ha deciso di provare e ora continua a giocare. È un grande orgoglio per me».
I premi in denaro per gli atleti paralimpici medagliati sono inferiori rispetto agli atleti olimpici che vincono l’oro, l’argento e il bronzo, pur essendoci stati degli aumenti rispetto a Tokyo. Cosa vuole dirci, in proposito?
«È un percorso. Quest’anno abbiamo ottenuto un grande risultato: i permessi lavorativi. Possiamo chiedere un permesso sportivo e andare in ritiro e affrontare le competizioni, con il datore di lavoro che è supportato economicamente nelle nostre ore di assenza. Ci siamo arrivati nel 2024. Stiamo avviando da vari punti di vista un percorso più ampio: lavorativo, economico e non solo. Noi siamo tutti atleti lavoratori, io sono infermiera e lavoro in un centro di Medicina dello sport. Bisogna lavorare sempre di più per arrivare ad una parità, a una situazione in cui non si parla più di atleta olimpico e paralimpico. Ma di atleta e basta».