ROMA. PER LA GESTIONE DEI PARCHI E DEL VERDE, SERVE UN NUOVO MODELLO
Le aree verdi crescono, i soldi diminuiscono. Le soluzioni? Secondo ForumAmbientalista, ci vuole impresa sociale e azionariato popolare
29 Maggio 2017
«Non so perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba», cantava nel 1966 a Sanremo Adriano Celentano nel “Ragazzo della via Gluck”, che poi sarebbe diventato un evergreen internazionale. Quello della cementificazione e della sopravvivenza e gestione del verde pubblico è un tema ancora attuale, probabilmente oggi ancora di più. Nel libro “La colata. Il partito del cemento che sta cancellando l’Italia e il suo futuro “ (Chiarelettere, 2010), il giornalista Ferruccio Sansa, insieme ad altri suoi colleghi, racconta che, in Italia, dal cemento tra «il 1990 e il 2005 sono stati divorati 3,5 milioni di ettari, cioè una Regione più grande di Lazio e Abruzzo messi insieme». Numeri che a una prima analisi superficiale sembrerebbero in contrasto con la ricerca sulla gestione delle aree verdi e dei parchi del Comune di Roma di cui vogliamo parlarvi oggi.
Le autrici, Elisa Cavallari e Lucia Palmeri, sono due ragazze che stanno facendo il servizio civile con il Forumambientalista e, con la supervisione dell’Operatore Locale di Progetto Paolo Menichetti, hanno svolto una ricerca, affrontando il problema delle «crescenti superfici di aree verdi della Capitale e il diminutivo relativo capitolo di spesa nel bilancio comunale». Com’è possibile che il verde pubblico cresca?
A Roma le aree verdi crescono, i fondi no
Mentre negli anni ’70 il verde pubblico in carico al Comune di Roma corrispondeva alle principali ville storiche (villa Borghese, Pamphili e Ada), nel dopoguerra anche Roma, come altre città italiane ed europee, ha visto una profonda modificazione della propria struttura urbana. Dal 1970 al 2000 inoltre, è scritto nel rapporto, la città «acquisiva al catasto del verde diverse centinaia di ettari, provenienti dagli standard urbanistici del DM 1444 del 1968 e da altri strumenti previsti dal Piano regolatore di Roma, approvato nel 2003».
Oggi la città dispone di 3000 ettari in carico all’Unità Organizzativa Gestione del Verde Urbano, ai quali si prevede che presto possano aggiungersi ulteriori ettari di verde. Infatti, si legge nel rapporto, «il Piano Regolatore prevede l’acquisizione complessiva di 3.214 ettari di aree destinate a verde e servizi e l’esproprio di complessivi 679 ettari. Il risultato è la previsione di un nuovo sistema di verde urbano di 8.387 ettari pari a 30,4 mq per abitanti, calcolati sulla popolazione attuale, che sarà acquisito per la maggior parte per compensazione, senza alcun impegno finanziario da parte di Roma Capitale».
Nonostante l’aumento delle aree verdi, negli ultimi anni sono diminuiti gli operatori della Unità Organizzativa Gestione del Verde Urbano (ex Servizio Giardini), passati da 1200 addetti ai 350 attuali. A questo si aggiunge la disparità di aree verdi tra le varie zone della città: grazie alla presenza di ville storiche, aiuole, giardini, parchi, ecc., nel Centro storico si concentra la maggiore estensione di verde pubblico.
Una soluzione a questo problema, fornita dalle autrici del rapporto, può essere aprire da parte del Comune alla «collaborazione delle forze sociali ed economiche la gestione di spazi verdi pubblici», perché, spiegano, «è necessaria comunque una diffusione delle competenze e delle responsabilità in materia» e per raggiungere tale risultato «è necessario individuare un ambito di imprese, di interesse diffuso, realtà capaci di coniugare la sostenibilità economica con la qualità dell’intervento».
I limiti del volontariato
Le autrici della ricerca hanno studiato la gestione di 17 aree verdi comunali allo scopo di fornire informazioni sulle pratiche messe in atto per la cura del verde. È emerso «l’eccessivo ricorso al volontariato per la gestione degli spazi verdi», che se da un lato porta risparmio alle casse comunali, dall’altro «non consente una programmazione a lungo termine della gestione dell’area, impedisce miglioramenti sostanziali alle strutture di fruizione e non sempre fornisce servizi a chi le frequenta».
Solo le aree inserite nel programma Punti Verdi di Qualità – lo strumento gestionale pubblico-privato pensato negli anni ’90 per offrire ai cittadini spazi verdi qualificati, a costo zero per Comune di Roma – sono riuscite a coniugare sostenibilità economica e qualità del servizio.
Punti Verdi di Qualità: esempi di gestioni positive
La gestione dei Punti Verdi di Qualità non può essere demandata ai soli volontari, che probabilmente non riuscirebbero sempre a trovare i necessari fondi e quindi renderebbero l’intervento sul bene pubblico frammentato. È da preferire la gestione da parte di imprese che presentano finalità sociali.
Nella ricerca come Punti Verdi di Qualità gestiti da imprese sono citati i parchi Happy Family (ubicato a via Cortina d’Ampezzo) e Stardust (tra i quartieri di Decima e Torrino), che per le autrici rappresentano esempi efficienti di gestione del verde, poiché «oltre a essere ben curati offrono diversi servizi, fatto questo che permette alle persone di fruirne». Altro esempio citato è quello di Piazza della Libertà, gestita dalla S.S. Lazio Atletica Leggera A.S.D, che «garantisce la pulizia e lo sfalcio dell’area verde».
Le aree verdi laboratori di buone pratiche
Come detto poc’anzi, la ricerca ha individuato delle buone pratiche di gestione del verde pubblico, in alcuni casi già realizzate. In chiave di sostenibilità ambientale sarebbe auspicabile organizzare momenti formativi per bambini ragazzi, realizzare colture diverse ispirate all’agricoltura biologica, curare il paesaggio attraverso la scelta di diverse specie arboree, puntare sul compostaggio di comunità e soprattutto puntare a tutelare la biodiversità. L’area di cui ci si prende cura, sottolineano le autrici, deve essere concepita «come un laboratorio», sia dagli adulti che dai ragazzi, che devono avere un approccio aperto a «migliorare le proprie conoscenze e metterle a disposizione dell’intera collettività». In generale dallo studio delle 17 aree emerge la volontà dell’aggregazione sociale e della riqualificazione ambientale, mentre all’educazione ambientale, all’agricoltura biologica e alla tutela della biodiversità è data meno attenzione. Interessante è la gestione delle aree adibite ad orti urbani, che «costituiscono da un lato un importante punto di aggregazione per gli ortisti mentre dall’altro risultano aree ben curate ed esteticamente piacevoli alla vista». Inoltre sono un’occasione per coltivare «rapporti di amicizia tra gli ortisti, motivo in più per vivere l’area verde».
Per parchi e giardi serve l’azionariato popolare
La cura del verde e dei parchi pubblici, è scritto nella ricerca, può consentire la tutela della biodiversità, la costruzione di momenti formativi per i giovani, l’opportunità di impegnarsi nella raccolta differenziata attraverso il compostaggio, l’implementazione di colture ispirate all’agricoltura biologica, e in generale la tutela del paesaggio. Per riuscire nella cura del verde pubblico il Comune dovrebbe però, come detto poc’anzi, coinvolgere forze sociali ed economiche esterne nella gestione di spazi verdi pubblici. È necessario, viene sottolineato nella ricerca, «individuare un ambito di imprese capaci di coniugare la sostenibilità economica con la qualità d’intervento». «In quest’ottica l’azionariato popolare può essere un valore aggiunto».