PER LE ASSOCIAZIONI SARÀ UN NATALE POVERO?
Si prevede un calo nelle raccolte fondi, ma le associazioni cercano di reagire. Ecco come
12 Novembre 2020
Oltre la metà del non profit sa già che per Natale non riuscirà a raccogliere tanti fondi quanto lo scorso anno. A rilevarlo un sondaggio a partecipazione libera, promosso dall’istituto Atlantis Company (ne parla “Vita” in questo articolo). Un’opinione condivisa in modo speciale dalle piccole associazioni, le più colpite da misure restrittive e crisi economica. Maggiore ottimismo trapela dalle onlus del settore sanitario. Tra gli strumenti preferiti, regali solidali e fundraising digitale, mentre diminuisce il ricorso a direct mailing e telemarketing. A essere contattati sono soprattutto i sostenitori già fidelizzati, più sensibili nell’aiutare enti già conosciuti. Anche a Roma e nel Lazio c’è chi non ha gettato la spugna e, nonostante lockdown e incertezze, conta di organizzare eventi per il mese clou della generosità, perché il prossimo non sia un Natale povero.
Un posto a tavola
Con le norme che cambiano di settimana in settimana la Comunità di Sant’Egidio attende di capire se e come potrà essere realizzato il tradizionale pranzo natalizio.
«Quest’anno sarà diverso, ma con gli amici di sempre: i poveri di cui ci prendiamo cura tutto l’anno», così Massimiliano Signifredi, coordinatore cene itineranti. «Per le raccolte fondi utilizziamo molteplici canali, perché plurali sono i destinatari. A dicembre partirà la campagna di sms solidali, un mezzo che si aggiunge ai classici passaparola e conte corrente postale. Proseguiremo con il crowdfunding digitale: le raccolte social piacciono ai giovani, disposti a versare piccole somme per obiettivi molto precisi e a impegnarsi per farle diventare virali con la condivisione su Facebook. L’aumento della povertà non coincide automaticamente con la crisi della generosità, come dimostrano le tante persone pronte a dare il loro contributo».
Un amore oltre confine
Sebbene il coronavirus abbia messo in seria difficoltà i donatori, il volontariato regionale continua a sostenere progetti anche al di là dei confini nazionali.
«Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa», ha ricordato don Terenzio Pastore, presidente di Amici delle missioni. «Continuiamo a scommettere su mailing list e sulle riviste, oltre ovviamente alla sensibilizzazione nelle parrocchie. Coscienti che la carità passa attraverso vie che non possiamo definire a priori. Quest’anno i fondi verranno destinati all’ospedale dei Missionari del Preziosissimo Sangue di Itigi, in Tanzania, che con i suoi 320 posti letto serve anche i villaggi vicini nel raggio di 150 chilometri. La struttura è finanziata quasi interamente dalle offerte. Abbiamo scelto di proporre quest’unico progetto per non pesare troppo sui bilanci familiari. È chiaro che non abbandoneremo le comunità: i bisognosi necessitano di mangiare tutti i giorni, non solo a Natale».
La forza del territorio
Se la Capitale riesce comunque ad attrarre risorse economiche, nelle altre province il Terzo settore soffre maggiormente. «Oggi più che mai vale il nostro motto, “quello che vuoi, quello che puoi”», ha detto Bruno Mucci di Diaphorà.
«La differenza la fa il territorio: donazioni e surplus produttivi delle aziende della zona verranno messi in palio nella lotteria natalizia. Abbiamo attivato un servizio delivery per consegnare a casa le opere di ingegno prodotte da 51 ragazzi diversamente abili all’interno di 13 laboratori. Dovremo invece dire addio ai mercatini e ai pranzi sociali, almeno per il momento. La rete dei fedelissimi non ci ha mai fatto mancare il supporto durante la quarantena, in modo particolare quando si è resa necessaria la blindatura della sede, accessibile ora solo a volontari e partecipanti ai corsi. Il dimezzamento delle entrate si fa sentire: con il covid abbiamo ridotto il numero massimo di partecipanti ai corsi e aumentato i dispositivi di sicurezza. Ricavi minori per costi maggiori. Ci aspettavamo un supporto dalle istituzioni: associazioni che accolgono disabili svolgono prestazioni di sussidiarietà non possono restare sole. Se chiudiamo, il servizio sanitario nazionale andrà in sofferenza».
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