PER TUTELARE I MINORI PIÙ AFFIDO, MENO CASE FAMIGLIA
Le proposte emerse dal primo tavolo tematico all'interno del percorso partecipato per la redazione del piano sociale del Lazio
17 Giugno 2016
Nel Lazio ci sono circa 2.800 minori che vivono, per vari motivi, fuori famiglia: il 55% è in una struttura e il 45% in affido (ma sono solo 394 quelli in affido etero familiare). La durata dell’affido: nel 59% dei casi dura più di due anni, molto spesso (41%) arriva a superare i quattro, nonostante che la legge 194/2001 fissi il limite massimo a due anni. Più breve è invece la permanenza nei servizi residenziali: nella metà dei casi va dai 3 ai 24 mesi, solo per uno su cinque dura 4 anni e più. Il 40% dei bambini accolti è straniero.
Numeri importanti, tanto più che non comprendono i minori stranieri non accompagnati, anche se ci sono regioni in cui la percentuale di minori fuori famiglia è maggiore. Attorno a questi numeri, comunque, si attorcigliano molti problemi.
E probabilmente è per questo che a questo tema è stato dedicato il primo tavolo tematico del percorso di redazione partecipata del Piano sociale 2016-2018 della Regione Lazio. L’incontro si è volto il 16 giugno al Borgo Ragazzi Don Bosco e ha visto la partecipazione di associazioni ed enti di Terzo settore, ma anche di molti operatori dei servizi pubblici.
La discussione attorno al documento presentato dalla Regione (Piano regionale per l’appropriatezza degli interventi di allontanamento dei minori dalle famiglie di origine e la tutela dei minori) ha evidenziato un sostanziale accordo su alcuni punti importanti.
Affido e prossimità
Gli allontanamenti dalla famiglia, dunque, durano troppo e rischiano in troppi casi di diventare definitivi. Occorre quindi aprire altre strade, che permettano di diminuire il numero degli allontanamenti,
- attivando esperienze e strumenti di prossimità e prevenzione,
- sviluppando l’empowerment familiare.
Ben vengano quindi le nuove esperienze, come il progetto Semi del Borgo Ragazzi don Bosco, che punta sulla semiresidenzialità per prevenire l’allontanamento e sul potenziamento delle risorse con la famiglia, con la quale si concordano impegni e ruoli.
E ben vengano le diverse forme di solidarietà familiare, in cui i nuclei che si rendono disponibili prendono in carico la famiglia più fragile, senza smembrarla.
Ben vengano anche i percorsi di inclusione per neomaggiorenni, attraverso percorsi di semiautonomia che li accompagnino verso un pieno inserimento lavorativo e sociale.
Ben vengano inoltre le nuove forme di affido, ad esempio quelle che coinvolgono mamme e bambini insieme, senza spezzare il legame affettivo.
Grazie all’affido, in tutte le sue forme, può gradualmente diminuire il numero dei minori accolti nelle case famiglia: obiettivo auspicabile per il bene loro e dei nuclei familiari.
Non bisogna però dimenticare la necessità di sostenere anche le famiglie che si sono rese disponibili per prendere ragazzi in affido: c’è un 15% di fallimenti nelle adozioni e negli affidi, e questa percentuale si potrebbe ridurre se le famiglie non fossero lasciate sole.
In fondo, è questo lo spirito che anima la Campagna Donare futuro, nata per segnalare cinque misure urgenti alle Regioni del Centro Sud (che risultano più povere di politiche e di interventi rispetto a quelle del Nord):
- Sostegni alle famiglie difficili
- Polo regionale di accompagnamento all’autonomia dei neo maggiorenni
- Copertura spese per gli affidamenti familiari
- Favorire la diffusione dell’affidamento dei neonati
- Tavoli regionali sull’affido familiare, con anche associazioni.
È stato però anche ricordato che le politiche per la famiglia non possono prescindere da piani di intervento più ampi sulle politiche abitative e politiche del lavoro, entrambe carenti nel Lazio.
Troppe difformità sul territorio
Attualmente, all’interno della Regione, le risposte e le risorse dedicate a questi problemi sono molto diverse da territorio e territorio. In alcuni Comuni, ad esempio, alcuni servizi sono assenti t non è previsto sostegno economico per le famiglie che prendono ragazzi in affido.
Un altro grande problema è quello del sistema dei servizi. Gli assistenti sociali sono pochi e c’è molta discontinuità perché cambiano troppo spesso. Per esempio a Roma, nel V Municipio – un territorio vasto e complesso che va da Porta Maggiore alla Rustica, con una forte presenza di immigrati e situazioni economiche diversificate – ci sono 13 assistenti sociali per i minori, con 2500 nuclei familiari in carico, e una settantina di affidi. Che potrebbero essere molti di più.
La lunga permanenza nelle comunità spesso è dovuta al ritardo con cui arrivano le valutazioni sul bisogno dei minori e sulla situazione familiare. Di conseguenza anche il Tribunale per i minorenni di conseguenza ritarda. Ci sono casi in cui per un’adozione servono dai due ai 4 anni per avere il decreto.
È quindi necessario riorganizzare la governance sul territorio, fissando i livelli essenziali di assistenza, lavorando sull’integrazione socio sanitaria, avviando maggiori collaborazioni tra i Comuni, creando reti tra servizi, pubblica amministrazione e non profit e così via.
Ma il nodo resta la 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali): la legge ha ormai 16 anni, ma il Lazio non l’ha ancora recepita. L’assessore Rita Visini, presente all’incontro, ha detto che «avremo la legge entro la fine dell’anno, e allora tutti i Comuni saranno costretti a calendarizzare i servizi previsti».
Più risorse
Rivedere la governance, fare rete, potenziare i servizi, offrire formazione… tutto questo costa. Non c’è da illudersi: se l’affido familiare deve essere un intervento efficace nelle politiche per minori, bisogna investirci e quindi bisogna individuare un quadro di risorse.
Tutti concordi anche sul fatto che le rette per le case famiglia sono troppo basse, e che un maggiore sostegno alle famiglie affidatarie andrebbe riconosciuto. Servono fondi anche per potenziare gli interventi domiciliari (e quindi i progetti individuali, quelli per rafforzare la genitorialità, per avviare una più fattiva collaborazione con la scuola eccetera).
La percentuale delle spese che la Regione destina alle politiche familiari è molto basso, ha detto un operatore, ricordando che «secondo Terres Des Hommes, 1 dollaro investito sulla prima infanzia fa risparmiare 7 euro da adulto». E d’altra parte, come ha ricordato Rita Visini, il Fondo nazionale per le politiche familiari ammonta a 15 milioni, di cui metà è destinata a interventi statali, l’altra metà si suddivide tra le varie Regioni. E non sembrano esserci cambiamenti sostanziali all’orizzonte.
2 risposte a “PER TUTELARE I MINORI PIÙ AFFIDO, MENO CASE FAMIGLIA”
Sono un genitore affidatario e quindi ho letto con particolare interesse l’articolo. Sono d’accordo che in linea di principio bisognerebbe promuovere gli affidi , ma temo le generalizzazioni. Infatti le case famiglia hanno un ruolo fondamentale, non solo nei casi di urgenza, ma anche in tutte quelle situazioni che riguardano “bambini che nessuno vuole”. E’ evidente anche l’interesse dei comuni a promuovere l’affido perché in questo modo si risparmiano molti soldi, ma non è detto che questa sia sempre la soluzione migliore. Il fallimento di molti affidi e adozioni ne è un esempio.
Sono d’accordo con lei. Infatti l’idea emersa dal tavolo non è di chiudere le case famiglia, ma di cercare riposte personalizzate, caso per caso, ai minori. Valorizzando quindi maggiormente l’affido e le varie modalità di sostegno alle famiglia in difficoltà (ma anche alle famiglie affidatarie). Lasciando quindi la soluzione casa famiglia per i casi in cui è davvero necessaria.