POVERTÀ DELLE DONNE, UN PROBLEMA INSOPPORTABILE
Quasi il 13% della popolazione femminile vive in condizione di povertà. Colpa del precariato, delle discriminazioni, della violenze
15 Dicembre 2015
Un discorso sulla povertà delle donne oggi appare quasi come la rivelazione di un nuovo e recente fenomeno sociale. In realtà non è così. La povertà delle donne è sempre esistita, ma celata in generiche statistiche e all’interno dei nuclei familiari.
Nei Paesi industrializzati il fenomeno della povertà, e più nello specifico della povertà femminile, sta emergendo con una proporzione preoccupante. In riferimento all’Italia, circa il 10-13% della popolazione femminile vive in una condizione di povertà estrema, di cui il 40% è compresa in una fascia d’età tra i 19 ed i 24 anni. Un segmento, quindi, debole, per il quale l’accesso al mondo del lavoro è difficile, provocando una serie di privazioni materiali che conducono ad un processo di marginalità ed esclusione irreversibili.
La ricerca del Cilap
Di questo, e non solo, si è parlato ne “Il volto femminile della povertà”, il seminario che si è svolto lunedì 14 dicembre presso la sede del Cesv Lazio, a Roma. In questa occasione è stata presentata la ricerca di Cilap Eapn Italia (sezione italiana di European anti poverty network) ed Eapn Spagna sulla povertà femminile nei due Paesi, e su come e se la crisi economica abbia influito sulla vita delle donne. È dal 1992 che il Cilap promuove, diffonde e approfondisce le tematiche relative alle politiche europee di lotta alla povertà e contro l’esclusione sociale. E lo fa dedicando un’attenzione particolare ai programmi e ai fondi che l’Unione europea mette in campo a tali scopi, alle procedure per accedervi, al ruolo degli attori locali, pubblici e privati e all’attivazione di questi programmi nei territori di appartenenza.
Si sono confrontate sul tema Paola Capoleva‚ presidente del Cesv Lazio; Graciela Malgesini‚ ricercatrice di Eapn Spagna; Valentina Paris‚ deputata PD; Adriana Percopo‚ consigliera Pari opportunità del Comune di Avellino; Gemma Azuni, consigliera Città Mertropolitana; Ilaria Maria Vietina‚ vice sindaco di Lucca con delega alle Politiche sociali e di genere. Sono intervenute, inoltre, Oria Gargano, attivista di “Befree”‚ cooperativa sociale contro tratta‚ violenza e discriminazioni; e Francesca Koch, presidente della Casa internazionale delle donne. A coordinare il seminario Nicoletta Teodosi‚ presidente del Cilap Eapn Italia, e Letizia Cesarini Sforza‚ Cilap Eapn Italia.
La ricerca, basata su fonti istituzionali, è stata accompagnata da un questionario che, senza pretese di scientificità ma sicuramente con la validità data dalla pratica quotidiana sul campo, è utile per capire quanto la povertà ricade sulle spalle delle donne.
Lavoro part time, pensioni povere
La questione non è da sottovalutare. Basti pensare al fatto che il Parlamento europeo ha ribadito che “non sarà possibile centrare gli obiettivi contro la povertà di Europa 2020 se non si affronta il problema dell’uguaglianza di genere”.
Si è parlato, dunque, di donne. Di donne con contratti di lavoro atipici, con part-time involontari, con lavori spesso meno pagati e meno protetti. Delle signore delle pulizie, delle badanti, straniere e no, che lavorano spesso in nero, senza nessuna protezione. Di donne che si accontentano di lavori anche molto al di sotto delle loro qualifiche, che in questi anni di pesante disoccupazione maschile “tirano la carretta”, salvando la famiglia dallo spettro della povertà. Si calcola che dall’inizio della crisi le donne italiane dedite al lavoro domestico sono aumentate del 7%. E quelle in nero?
Si è data voce a quel 33% di donne che nel 2014 ha lasciato l’impiego per “incompatibilità tra lavoro e cura della prole”, a causa della “assenza di parenti di supporto”, del “mancato accoglimento al nido”, della “elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato”. A descrivere tutto ciò è la relazione annuale della direzione generale per l’attività ispettiva del ministero del Lavoro. L’essere madre, dunque, assume le sembianze di uno spettro per l’universo femminile. Si calcola che sono circa 800mila le donne in maternità che hanno subito ricatti. Tutti conosciamo l’orrendo escamotage delle “dimissioni in bianco”, che non permettono di percepire il sussidio di disoccupazione. E chi percepisce una pensione (52,9%) in media riceve 454 euro mensili in meno degli uomini, cioè 1.095 contro 1.549 euro (dati provvisori al 2014). Inoltre, nel 2013 la metà delle pensionate percepiva un reddito pensionistico annuo inferiore agli 11.851 euro e il 25% non raggiungeva un reddito pari a 7.015 euro, mentre il 25% superava i 18.413 euro.
Troppe discriminazioni
Si è dato ascolto a tutte quelle giovani donne che si laureano più velocemente e con voti migliori (rapporto AlmaLaurea, 2014), ma che dopo 5 anni guadagnano il 30% in meno degli ex compagni di studi anche perché chiedono il part-time, se ci sono figli o genitori da accudire.
E che dire dell’85% di quei 5 milioni di famiglie monoparentali guidate da donne in affanno tra povertà, problemi di conciliazione tra lavoro e cura dei figli, mancanza di servizi per l’infanzia, difficoltà a trovare un lavoro che garantisca un reddito sufficiente (Istat, 2014)? E di quelle donne che sostengono il peso dell’indebolimento del welfare, dovuto ai tagli nelle leggi finanziarie, con il carico del lavoro di cura di bambini e anziani, mentre in casa continuano a svolgere il 76% degli incarichi domestici?
E di quelle che hanno subito violenza? A tal proposito, in base al follow up dell’indagine nazionale sulle condizioni delle persone senza dimora, presentato lo scorso 10 dicembre, il 15% delle oltre 55mila persone senza dimora che vivono in Italia sono donne. Le cause? Dai dati presentati non si evidenziano cause diverse da quelle degli uomini, ma le ricerche Ue affermano che la violenza di genere e domestica è la causa principale per cui una donna diventa “homeless”. Il modello mediterraneo risulta, dunque, essere quello più degradante, se si pensa che le donne italiane dedicano 36 ore alla settimana ai lavori domestici e di cura, alla casa, ai figli e agli anziani, mentre gli uomini ne dedicano appena 14. Si tratta del divario maggiore tra tutti i Paesi dell’Ue.
C’è ancora moltissimo da fare per affrontare il problema della povertà delle donne e a ribadirlo sono state quelle donne che da anni sono impegnate nelle politiche di genere, con la speranza di poter avviare un tavolo di lavoro che su queste tematiche continui ad interrogarsi e cercare soluzioni, aiutando anche la rete europea (Eapn) a interrogarsi sulle politiche di genere e sulla povertà delle donne.