POVERTÀ, SOSTANTIVO FEMMINILE PLURALE

La situazione nel Lazio: ne parliamo con Don Cesare Chialastri della Caritas

di Chiara Castri

“Povertà, sostantivo femminile, singolare. Errata corrige. Povertà, sostantivo femminile, plurale”. Inizia così “Povertà plurali”, il Rapporto 2015 presentato da Caritas italiana ad Expo il 17 Ottobre scorso.

PovertàNel 2014 gli utenti dei centri di ascolto Caritas sono stati più di 170mila. Più della metà sono stranieri, ma sono aumentati di quattro punti percentuali gli italiani. Da cinque anni a questa parte in Italia un 130% di persone in più non possono contare stabilmente su un pasto. E mentre, seppur alte, le richieste di aiuti alimentari calano, crescono di oltre 6 punti quelle di sostegno economico per l’acquisto di farmaci o altri beni primari o per pagare le bollette, l’affitto, la mensa scolastica. Questi sono solo alcuni dei numeri della pluralità: delle persone in povertà, dei percorsi di presa in carico, delle cause, delle tendenze di mutamento del fenomeno. Il Lazio risulta nella media nazionale: delle pluralità nella regione abbiamo parlato con Don Cesare Chialastri, delegato regionale Caritas Lazio e direttore Caritas di Velletri-Segni.

A fronte del fenomeno nazionale, qual è la situazione nel Lazio?
«Nell’ultimo anno – anche se ci troviamo di fronte ad una tendenza che va rafforzandosi da quattro o cinque anni – nel Lazio si è radicalizzata la povertà assoluta. Allo stesso tempo è cresciuto il numero di persone in povertà relativa, in particolare italiane. Fino a qualche anno fa si rivolgevano a noi persone magari sfrattate, con un lavoro provvisorio e senza accesso ad alcuna forma di welfare, che, con la crisi, hanno visto rimarcata la loro situazione di esclusione, divenuta, nei fatti, normalità. Accanto a questa fetta di popolazione in povertà assoluta, nell’ultimo anno si sono avvicinate a Caritas persone, appartenenti a famiglie monoreddito, al limite tra povertà relativa ed assoluta: un maggior numero di cittadini italiani che, se finora avevano una vita tranquilla, con facilità sono entrati in povertà relativa.

Quali sono le richieste più frequenti? C’è un cambiamento nei servizi richiesti?
«Le tipologie di sostegno per cui si fa riferimento a Caritas nel Lazio sono aumentate. Prima la domanda era centrata molto sul sostegno alimentare, mentre negli ultimi tempi riscontriamo una tendenza a rinunciare anche alla spesa sanitaria o farmaceutica: o si rinuncia alle prestazioni sanitarie o si ricorre a quelle davvero necessarie, e anche in quest’ultimo caso ci viene comunque richiesto un aiuto. Un dato che mi ha colpito molto: le politiche sanitarie, tra liste di attesa troppo lunghe e costi delle prestazioni troppo elevati, non riescono più ad offrire risposte adeguate ai bisogni. Quindi anche se la Regione cerca di lanciare segnali positivi, il problema resta enorme. Un sostegno viene, poi, richiesto anche per affrontare le spese scolastiche – ad esempio la mensa – e quelle legate all’abitare – l’affitto o le bollette – oltre che per il microcredito, strumento che riteniamo fondamentale per creare circuiti virtuosi di ripartenza e reinclusione. Da questo punto di vista, lì dove ci sono le condizioni stiamo creando progetti sostenuti anche da banche locali. Rispetto al dato nazionale, comunque, siamo nella norma. Risultano un po’ più elevati i numeri di Roma, che, naturalmente, catalizza più elementi di disagio».

Il Lazio è caratterizzato dalla presenza forte di una città metropolitana contrapposta ad una maggior frammentazione nel resto della regione. In che modo questo influisce sul fenomeno?
«C’è una certa omogeneità di dati in tutta la regione. Certo, Roma, come dicevamo, fa da catalizzatore delle risorse, ma anche delle problematiche di povertà, sia assoluta che relativa, e deve fare i conti con il disagio delle periferie che si somma alle difficoltà legate ai flussi migratori che, nella realtà metropolitana romana, hanno un’incidenza più complessa. Un fenomeno che non è assente nel resto del territorio – ci sono, nella Regione, zone calde come Latina con i campi di lavoro nel territorio della bonifica o alcune parti della ciociaria, di Fiumicino o Civitavecchia – ma l’impatto che ne consegue è minore. Molti servizi sono rivolti sia alle persone in povertà assoluta, sia alle persone immigrate. Se si sceglie ad es. il quartiere di Tor Bella Monaca, che già è un quartiere a rischio, per aprire tre luoghi di accoglienza, è normale che, tra chi vive già situazioni di disagio, non ha una casa e non ce la fa ad arrivare a fine mese, nascano i confronti con i servizi dati agli stranieri e quindi problemi e ostilità».

A fronte di un approccio assistenziale riparativo basato su interventi tampone poco efficaci e dispendiosi, Caritas propone una “rivoluzione copernicana”, un modello di sviluppo del benessere umano e sociale, una forte regia pubblica e la valorizzazione del territorio. Come questo obiettivo può divenire realtà, in particolare nel Lazio?
Siamo l’unico Paese, insieme alla Grecia, a non avere uno strumento strutturale che aggredisca la povertà assoluta. Rispetto a realtà come la Germania o la Svezia, dove da tempo il welfare è impostato su una regia pubblica accanto ad un coinvolgimento di rete sui servizi locali, siamo cinquant’anni indietro. Il problema è che manca un approccio strutturale anche nei provvedimenti dell’ultimo governo. Le social card dei governi precedenti, gli 80 euro di quello attuale, i fondi nazionali previsti vanno tutti nella direzione delle risposte a pioggia e non affrontano il problema di fondo: reinserire la persona fuoriuscita dal circuito sociale-economico. Caritas propone il “reddito di inclusione sociale” e di passare, quindi, dalla logica del contributo esclusivamente economico a quella del servizio e dell’integrazione tra regia pubblica e ambito locale, così da rimettere la persona su un cammino di autonomia. Finora, infatti, con la logica dei contributi il servizio è rimasto frammentato: chi riceve il contributo ha un sostegno, ma non riesce ad attivarsi per uscire dalla sua situazione di disagio».

Il rapporto Censis- Unipol ”Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali osservatorio Lazio” presentato a Roma, ripropone il tema della lentezza nell’integrazione fra i vari strumenti di protezione sociale: pubblici, del non profit, privati, e si chiede, alla luce dei tagli, quale welfare potremo permetterci in futuro. Giro a lei questa domanda.
«Credo che l’unica strada sia un welfare misto, che già esiste in Paesi come Svezia o Belgio. Occorre far salire il livello culturale lavorando sulla sensibilizzazione prima ancora che concentrarsi sul contributo economico. Noi continueremo ad insistere sul reddito di inclusione sociale: c’è in progetto di lavorare ad una petizione popolare per una legge in questo senso perché non ci può rassegnare alla povertà, dobbiamo puntare ad una nuova formulazione del welfare che diventi strutturale».

POVERTÀ, SOSTANTIVO FEMMINILE PLURALE

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