POVERTY WATCH 2021. CONTRO LA POVERTÀ SERVE UN PATTO SOCIALE, NAZIONALE ED EUROPEO
Prevista per domani alle 17.00 la presentazione online del Poverty Watch 2021, a cura di Cilap Eapn Italia, con il sostegno di CSV Lazio. Ecco come partecipare
09 Dicembre 2021
Il Poverty Watch L’abc della povertà in Europa e in Italia 2021 è arrivato alla quarta edizione. Nasce come idea all’interno del confronto tra le 31 reti nazionali di Eapn (European Anti Poverty Network) di cui Cilap è la sezione italiana.
Si terrà domani 10 dicembre dalle 17.00 alle 18.30 la presentazione online del Poverty Watch 2021, organizzata con il supporto di CSV Lazio. Per partecipare basta collegarsi a questo link: https://global.gotomeeting.com/join/657767949
Sin dalla sua costituzione nel 1990 EAPN è un luogo di scambio di idee, pratiche, esperienze di chi lavora direttamente con e per le persone in povertà o che ne sono a rischio: senza dimora, donne e uomini soli, famiglie numerose, migranti, persone emarginate, disoccupati, lavoratori poveri, disabili, che, attraverso un lavoro di informazione, sensibilizzazione ed empowerment, ed una forte dose di buona volontà, si sono fatte aiutare dalle associazioni, molto spesso di volontariato.
Nel corso di oltre trent’anni le reti sociali nazionali ed europee (oltre ad Eapn, ricordiamo anche ATD Quarto Mondo, Feantsa, Picum, Babelea, solo per citarne alcune) con le organizzazioni associate e con i singoli volontari hanno perseguito la creazione di un modello sociale europeo, che, a causa delle recenti crisi economiche (2007-2011), la crisi pandemica dal 2020, le scelte politiche di austerità – nessuna delle quali di responsabilità delle persone in povertà -, non ha mai visto la luce, anche se in questi anni ci siamo sentiti dentro ad un processo europeo di costruzione sociale, pur appartenendo a sistemi e culture diverse.
Del modello sociale europeo – non unico certamente, perché quando parliamo di Unione europea non abbiamo di fronte una singola entità – sono stati mantenuti i sistemi di protezione sociale nei singoli Stati membri: l’accesso alle cure sanitarie, i servizi sociali gratuiti per chi ha una bassa soglia di reddito, un reddito minimo per chi non può lavorare, il sistema pensionistico.
Nonostante ciò, i principi comuni su cui si fonda l’Europa unita non rendono i cittadini uguali nei diritti perché precarietà sociale e disuguaglianze non si sono ridotte: bassi salari, lavoro di bassa qualità, lavoro a bassa intensità, difficile uso delle nuove tecnologie per chi ha scarse competenze informatiche e digitali, differenze tra chi vive in aree metropolitane e chi vive in aree rurali e periferiche. Le opportunità offerte dallo sviluppo economico restano distanti per milioni di persone in Europa e in Italia.
Gli uffici statistici riportano una disoccupazione in Italia oltre il 9% a fronte della media dei paesi euro del 7%. Le donne in Italia continuano ad essere penalizzate con un tasso di occupazione inferiore al 50% rispetto al quasi 68% degli uomini. Paradossalmente se il lavoro casalingo fosse considerato un lavoro vero e proprio probabilmente l’occupazione femminile sarebbe molto più alta. È pretendere troppo?
I Poverty Watch redatti in questi anni, sia quello italiano, ma anche quelli degli altri Paesi, hanno le stesse caratteristiche: sono lo sguardo da vicino di coloro che ogni giorno lavorano sui territori, con le associazioni, negli enti locali, nel volontariato. Dopo una prima parte aggiornata sull’andamento della povertà – nel 2018 le famiglie in povertà assoluta erano l’8,4% del totale delle famiglie, nel 2019 erano il 6,4%, nel 2020 il 7,7%, per cui, nonostante una leggera riduzione, si tratta sempre di circa 2 milioni di famiglie -, seguono interviste alle persone in povertà o ai più vulnerabili; il quadro europeo e poi le conclusioni e le raccomandazioni per i policy maker.
Nel 2018 la crisi migratoria nel Mediterraneo era molto sentita, a livello europeo è stato chiesto un impegno maggiore nel creare corridoi umanitari che permettessero alle persone di migrare in sicurezza; la creazione di sistemi di accoglienza che non fomentassero tensioni nei territori e di considerare l’Africa un partner anche economico oltre che sociale indivisibile dall’Unione europea. Sono passati tre anni da queste priorità, se ne è parlato in ogni luogo e contesto, ma le politiche di accoglienza, di distribuzione dei migranti sono peggiorate. E nel frattempo il Mediterraneo continua ad essere un cimitero per centinaia di migranti.
Ora, è di questi mesi l’apertura di un nuovo fronte tra Bielorussia e Polonia, oltre a quello dei Balcani occidentali. E le cause non vengono affrontate, o se lo sono senza risultati.
Poverty Watch 2021: domani la presentazione online
Nel 2019 con le interviste a testimoni privilegiati – lo sono anche e soprattutto le persone che vivono situazioni di povertà, esclusione sociale, disagio e vulnerabilità – si è compreso quanto le misure di contrasto alla povertà, dal SIA al Reddito di Cittadinanza sono un aiuto non la soluzione ai problemi: è difficile affrancarsi dall’assistenza economica, comprendere cosa significa attivarsi per trovare una occupazione se si è in grado di lavorare.
Cosa significa attivazione, alias inclusione attiva, è difficile da far capire anche ai decisori politici di tutti gli schieramenti: chi è beneficiario di misure di contrasto alla povertà molto spesso è un vinto dalla vita, e questo non si riesce a comprenderlo. Non è vittimismo. Anche l’opinione pubblica ha un’idea del beneficiario come di uno sfruttatore delle politiche pubbliche. Ascoltare, conoscere, avere esperienza diretta di condizioni di vita difficile, spesso non volute, sarebbe già un passo avanti nel non considerare i beneficiari come i furbetti sdraiati sul divano. Certo emergono anche casi di opportunismo che vanno individuati, ma non si può e non si deve criminalizzare chi è costretto a vivere di assistenza pubblica. Negli anni abbiamo denunciato la criminalizzazione della povertà e dei poveri così come la trappola della povertà in cui spesso si cade. È sempre colpa di chi non riesce ad adeguarsi allo stile di vita imperante; è sempre colpa di chi è vittima. Le testimonianze raccolte dimostrano esattamente il contrario.
Il Poverty Watch 2021 osserva quanto è accaduto dall’anno della pandemia, offrendo anche uno sguardo alle politiche europee e nazionali con le quali sono stati affrontati i danni, oltreché sanitari, anche sociali ed economici dovuti al Covid 19 che ha aumentato l’accesso ai benefici pubblici di quei lavoratori che mai vi si erano rivolti. Nel 2020 in particolare, con il lockdown, hanno perso il lavoro chi era impegnato nel commercio, nei servizi non pubblici, chi non si è mai sentito povero. La pandemia ha dimostrato quanto sia fragile la globalizzazione: ricordiamo la mancanza dei presidi di protezione sanitaria come le mascherine che nessuna azienda in Europa produceva più e il conseguente blocco delle attività dai paesi produttori.
Le disuguaglianze in Italia sono emerse nella loro drammaticità: persistono lavoratori di serie A (tutti coloro che sono garantiti da contratti pubblici o dalla contrattazione collettiva) e lavoratori di serie B (tutto o quasi il mercato privato: piccolo commercio, ristorazione, parrucchieri, gli autonomi); così come studenti che con tutte le difficoltà della DAD hanno potuto seguire i corsi scolastici e chi non ha nemmeno i collegamenti online adatti o perché non hanno spazi sufficienti per studiare.
“I cittadini si sono aggrappati allo Stato come ad un salvagente in un mare in tempesta” non solo in Italia, ma in tutta Europa è accaduto lo stesso, il che ci fa dire non lo Stato prima di tutto, ma uno Stato per tutti.
Sul sito CSV Lazio è possibile scaricare il Rapporto in italiano e in inglese, a questo link.