PROFIT E NON PROFIT: NON È PIÙ TEMPO DI STECCATI

Così Cristina De Luca, Presidente CSV Lazio, al 49mo Italian Pro Bono Roundtable, organizzato da Pro Bono Italia ETS, nel seminario ESG e Terzo Settore su come profit e non profit oggi abbiano sempre più bisogno l’uno dell’altro

di Maurizio Ermisino

Il mondo delle aziende e il mondo del non profit fino a qualche anno fa sembravano rette parallele destinate a non incontrarsi. Oggi invece sono sempre più vicine. Le aziende oggi non si occupano solo di prodotti, ma anche di temi intangibili come i valori. Devono dire qualcos’altro, qualcosa che vada al di là dell’argomento economico. E per questo hanno bisogno del mondo del Terzo Settore. Di questo si è parlato ieri a Roma, al 49mo Italian Pro Bono Roundtable, il primo appuntamento del nuovo anno di Pro Bono Italia ETS, in particolare nel seminario ESG e Terzo Settore. L’acronimo ESG si riferisce a tre aree principali, precisamente Environmental (ambiente), Social (società) e Governance. Ogni pilastro fa riferimento a un insieme specifico di criteri come l’impegno ambientale, il rispetto dei valori aziendali e se un’azienda agisce con accuratezza e trasparenza o meno.

Aziende e non profit: nuovi talenti, decisioni strategiche, innovazione

profit e non profit

È stato Carlo Alberto Pratesi, Professore di Marketing, innovazione e sostenibilità dell’Università degli Studi Roma Tre a spiegare perché oggi profit e non profit sono più vicini, in tre punti. Il primo sta nel fatto che, se un’azienda non si occupa di questi argomenti, ha difficoltà ad assumere gente di talento, perché i ragazzi dopo il 2000 quando scelgono un’azienda vogliono anche sapere che valori sposa. Il secondo deriva dal fatto che oggi le aziende si trovano a dover prendere decisioni strategiche, a dover sciogliere dei dilemmi. Pensiamo al risparmio dell’acqua; un litro di vino comporta l’utilizzo di litri e litri d’acqua, mentre la Coca Cola consuma un litro d’acqua per ogni litro di bevanda. E ogni azienda, a ogni scelta, deve decidere che valori mettere davanti agli altri. Il terzo aspetto ha a che fare con la capacità di innovazione: secondo l’Università di Stanford la palestra migliore per sviluppare capacità di innovazione nei manager sono i problemi sociali. Per questo il mondo delle aziende guarda al sociale in modo diverso, che non ha niente a che vedere con la filantropia. Non è un argomento etico o morale, è un argomento di business. La responsabilità di azienda è una sola, sopravvivere. E per sopravvivere oggi deve guardare al sociale.

Il Terzo Settore e il profit: sopravvivere attraverso strumenti economici

Ma guardiamo l’altro lato della Luna. Anche il non profit si sta avvicinando al profit. In ballo, in questo caso, c’è la necessità di sopravvivere attraverso strumenti economici: il non profit non sopravvive più se non ha i soldi, e oggi ha difficoltà a vivere solo di lasciti, benemerenza, donazioni a fondo perduto. Deve produrre valore. Oggi enti come il WWF producono reddito fornendo servizi alle imprese, aiutandole nel loro percorso verso la sostenibilità. Le realtà del non profit devono dire alle aziende come risolvere i loro problemi, come dire certe cose. Pensiamo al caso dell’olio di palma, ingrediente abbandonato da tante aziende (ma le alternative si sono rivelate ancora meno sostenibili). E pensiamo a Mulino Bianco, la cui famiglia tradizionale, base della comunicazione del brand per anni, per motivi che nulla hanno a che fare con il prodotto, è diventata una criticità su cui ragionare. O a Ferrero, che acquista nocciole da tutto il mondo, ma soprattutto dalla Turchia, dove vengono raccolte a mano, da famiglie curde e anche dai bambini. Ferrero le può comprare? Non può. Ma queste controversie si risolvono anche con non profit come Save The Children.

Costruire insieme, condividere portando qualcosa della propria esperienza

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Cristina De Luca: «Quello di un CSV è il ruolo di chi favorisce la relazione tra profit e non profit e permette di costruire rapporti che diano valore. Il ruolo di chi accompagna percorsi complessi, che permette di portare un contributo necessario a temi importanti come il PNRR e l’amministrazione condivisa»

«Non è più il tempo degli steccati. È il tempo di costruire insieme, di condividere portando ognuno qualcosa della propria esperienza», ha sottolineato Cristina De Luca, Presidente CSV Lazio e consigliera CSVnet riguardo il ruolo dei CSV su questo terreno. «Un Centro Servizi al Volontariato come quello del Lazio offre duemila consulenze l’anno, oltre alla formazione. Il ruolo di un CSV non sta solo nel mantenere lo status quo, ma anche nell’interpretare il presente guardando al futuro. È il ruolo di chi favorisce la relazione tra profit e non profit e permette la costruzione di rapporti che diano valore. Il ruolo di chi sta sopra e accompagna percorsi complessi, struttura con una capacità che a volte le associazioni non hanno e che permette di portare saperi e un contributo necessario a tematiche importanti come il PNRR e l’amministrazione condivisa». Così come, ha spiegato la Presidente, ruolo dei CSV è lo scambio di competenze. «Oggi profit e il non profit hanno bisogno di sedersi a un tavolo e capire quali competenze, quali modalità d’azione possono essere messe a disposizione l’uno dell’altro. Essere volontari non basta: le associazioni hanno difficoltà a trovare ragazzi che facciano volontariato, perché i ragazzi sono interessati quando è un volontariato d’impatto. Se è governato da persone con sistemi vecchi non si avvicinano. Il volontariato ha bisogno di acquisire competenze dal mondo profit, il profit ha bisogno quei valori aggiunti che il volontariato ha».

Si chiede al volontariato di essere qualcosa di diverso, di nuovo

Ma si tratta anche di continuare un percorso, già avviato, per accrescere la cultura del volontariato nel mondo dell’impresa. «Il mondo in cui abbiamo iniziato a fare volontariato era diverso da quello di oggi», ha continuato De Luca. «Si chiede al volontariato di essere qualcosa di diverso, di nuovo. E far crescere il volontariato d’impresa serve a tutti e due. Da un lato, per aiutare le aziende verso la sostenibilità. Dall’altro, per far apprendere al volontariato in maniera informale un modello organizzativo, saper valutare l’efficacia delle proprie azioni. Non c’è futuro per il volontariato se non apprende le capacità organizzative: farsi conoscere, comunicare in una certa maniera, lavorare in rete. Siamo pieni di piccole realtà che nel loro territorio fanno cose importanti, ma non hanno futuro perché non c’è ricambio generazionale, non c’è capacità di organizzarsi. Il rapporto con il profit è essenziale: la commistione ci può aiutare ad andare verso qualcosa di diverso.  Il nostro futuro di gioca sull’essere con – e non accanto – al mondo profit». Tutto questo si lega al tema delle risorse. «Non bastano i lasciti» ha affermato la Presidente CSV. «Serve giocare con competenza in un mondo in cui, per fare cose, devi sapere dove trovare le risorse per farle. Avere in un’associazione una persona capace di fare un progetto è fondamentale. Per questo tra profit e non profit c’è la necessità di un raccordo sempre più stretto».

La finalità è l’impatto, non se il soggetto è profit o non profit

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Mauro Del Barba: «Se la finalità è l’impatto ed io sono interessato a misurarlo, è irrilevante che il soggetto sia profit o non profit»

Anche per questo, dal 2016, in Italia sono nate le Società Benefit, aziende che, nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse. Per Mauro Del Barba, Presidente di Assobenefit, l’associazione che le riunisce, «siamo in una fase in cui gli steccati sono stati abbattuti». Ma perché, ha continuato, «li abbiamo creati, visto che oggi diciamo di doverli abbattere? Il non profit è legato al fatto che si tratta di attività di volontariato. Ma nelle mie associazioni ho sempre pagato tutti molto bene. Oppure la distinzione è data dal fatto che in certe realtà non tiro fuori il profitto, non remunero il capitale? Penso che la transizione di cui stiamo parlando richiederà un ricambio di paradigma». Pensiamo, suggerisce il Presidente Assobenefit, a un’attività di volontariato come le giornate ecologiche in cui pulire un parco o una montagna. «Oggi è possibile dare vita a una Srl che fa la stessa cosa e porta a casa utile. È un problema? Direi di no, ma dipende dalla finalità. Se la finalità è l’impatto sociale, ambientale, economico ed io sono interessato a misurarlo, è abbastanza irrilevante che il soggetto sia profit o non profit. L’impatto è l’impatto. Per questo ci sono strumenti che le istituzioni stanno immaginando per costringere i soggetti profit a occuparsi dell’impatto e iniziare a misurarlo». Altro esempio di questo nuovo modo di concepire il sociale è un’azienda profit che regala pullmini ai Comuni per il traporto dei disabili e lo fa guadagnando, perché ha raccolto sponsor sul territorio. «L’importante», insiste Del Barba, «è l’impatto. Ed è meglio che sia una Srl benefit, perché, in quanto tale, è riuscita a fare prima queste cose».

La misurazione va fatta dalle comunità, dalle persone

profit e non profit
Il volontariato ha bisogno di acquisire competenze dal mondo profit, il profit ha bisogno quei valori aggiunti che il volontariato ha

“Impatto” è dunque una delle parole chiave quando si parla di attività di questo tipo. E parlare di impatto vuol dire parlare della necessità di misurarlo. Ma, si chiede Augusto Liani, Referente No Profit ed Enti Ecclesiastici di Unicredit, «il sociale si deve misurare dall’alto, dagli euroburocrati, o dal basso, dalle persone, dalle comunità? Sono queste che devono dire se l’azione ha avuto impatto. Dobbiamo ascoltare quelli che il sociale lo fanno da sempre. E chi ha capacità giuridiche ed economiche per insegnare loro come si fa». Secondo Liani oggi esiste quello che potremo chiamare il Quarto Settore. Un esempio è l’Albergo Etico, nato da imprenditori che hanno alberghi a 4 stelle e hanno deciso di costituire un nuovo albergo, dove ci sono persone con disabilità e abili che insieme riescono a dare un servizio a 4 stelle. «Questa è inclusione vera» riflette Liani. Che conclude: «Dobbiamo partire dalle comunità, dalle persone».

Costruire progetti che rispondano a reali necessità

È proprio quello che fa la Fondazione The Human Safety Net, iniziativa del Gruppo Generali diffusa in tutti i paesi dove Generali opera, come ha spiegato Maria Teresa Ricciardi, General Counsel della Fondazione. Che coopera con organizzazioni non profit piccole e medie, per essere vicina alla comunità e costruire i progetti che rispondano a reali necessità. «Il focus è sue due aree, i programmi per le famiglie e i rifugiati», racconta Ricciardi. «Supportare i genitori e dare una seconda chance ai rifugiati, provenienti dall’Ucraina, dall’Afghanistan e della Siria, in modo che possano riconvertirsi e trovare qui percorsi, attività imprenditoriali».

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