QUANTO COSTA LA MATERNITÀ? TANTO, SE TI FA LASCIARE IL LAVORO
In un anno 36mila donne hanno lasciato il lavoro per la maternità. E con l'emergenza la situazione peggiorerà
di Paola Fabi
13 Maggio 2020
Mentre i social si sono riempiti di foto, fiocchetti e cuoricini per la festa della mamma, nella vita reale sono oltre 36mila le donne costrette a lasciare il lavoro dopo la nascita del pargoletto. Il motivo è noto: mancano i servizi e gli aiuti. E l’arrivo della pandemia di Covid-19 non aiuterà sicuramente il rientro al lavoro di molte. Una situazione già nota, ma che la ricerca “Quanto costa la maternità” di Federcasalinche e Fondazione Moressa hanno messo nero su bianco: le lavoratrici con figli in Italia hanno meno probabilità di lavorare ed è proprio la nascita della prole a determinare la fine della carriera.
I dati della ricerca si riferiscono al 2018 e confermano la tendenza: sono state 36mila le donne che hanno detto addio al posto di lavoro e di queste 20mila hanno fatto questa scelta per la difficoltà di conciliare la vita in ufficio con quella familiare. La maternità ricade sulla componente femminile: le donne occupate con figli che vivono in coppia sono solo il 57%, contro l’89% degli uomini a pari condizioni. La situazione occupazionale si avvicina molto tra i due generi in caso di single, con entrambi i tassi di occupazione oltre l’80%.
Italia fanalino di coda
In realtà, secondo i dati Eurostat, nel Vecchio Continente esiste un effetto maternità in quasi tutti i Paesi, anche se la decisione di lasciare l’impiego arriva dal terzo figlio in poi. Il 75% delle donne tra i 25-49 anni con un figlio in Europa è occupato: si arriva all’87% in Svezia, all’80% in Germania, al 78% in Francia, mentre in Italia questa percentuale si abbassa al 59%. Nel caso di due figli, il tasso medio di occupazione europeo non varia molto (74,7%); in Svezia lavora l’86% delle donne con due figli, in Germania il 77%, in Francia l’80%; l’Italia continua a fare da fanalino di coda con il 56%.
Un terzo delle donne lavoratrici ha osservato un orario part-time nel 2018 (30%), quasi 4 volte il tasso degli uomini (8%) e questa tendenza è comune a tutti gli Stati membri. Su un campione di 35 Stati, la percentuale più alta di donne occupate che lavorano a tempo parziale è stata registrata nei Paesi Bassi (74%), Svizzera (63%) e Austria (47,6%), mentre le percentuali più basse sono state registrate in Bulgaria (2%), Macedonia (3,4%) e Montenegro (4%). In Italia sono il 32,4% le donne occupate con orario ridotto, a fronte di un 7,9% di uomini.
Una situazione, secondo Federcasalinghe, che porta uno scarso coinvolgimento della componente femminile nel mondo produttivo, che comporta la rinuncia, soprattutto dell’Italia, a una parte di forza lavoro, ma anche a quello che può essere un moltiplicatore economico: una donna che lavora crea a sua volta altro lavoro (es. lavanderie, ristoranti, baby sitter), generando un volano economico positivo., che potrebbe creare solidità all’economia e incentivare la natalità. I Paesi europei con un tasso di occupazione femminile elevato hanno anche un numero medio di figli per donna elevato.
Dopo la pandemia
E con la fase di ritorno al lavoro dopo la quarantena con scuole e asili chiusi? Molte famiglie si appoggeranno ai nonni, ma altre decideranno di sacrificare la retribuzione più bassa (generalmente quella femminile anche in caso di pari mansioni).
«Va rivista, in Italia, la politica rivolta alla famiglia ed alla maternità» ha detto la presidente della Federcasalinghe Federica Gasparrini – permettendo alla neo-madre, che ha un lavoro fuori casa, di godere di un periodo di almeno 8 mesi di maternità protetta. Dobbiamo riconoscere alle donne che si dedicano a tempo pieno alla crescita dei figli, i contributi pensionistici virtuali per la durata di due anni dalla nascita del figlio, ed un “bonus formazione” che permetta, volendolo, di rientrare nel mondo del lavoro retribuito, senza timore né complessi’».
Un’emergenza messa in evidenza anche durante il dibattito “Covid, donne, lavoro” sul canale YouTube Fisco Channel, che ha visto la partecipazione di Isa Maggi, coordinatrice e presidente degli Stati Generali delle donne: «Questa pandemia lascerà un segno su tutti, e aggraverà l’occupazione femminile». Più che un bonus baby sitter, «sarebbe più utile», ha spiegato Maggi, «la creazione di micro imprese femminili, che in collaborazione con il Comune e comitati di quartiere possano aiutare le donne con i figli; di sicuro comunque anche lo smart working dovrebbe essere stabilito su fasce orarie in accordo con i tempi di una famiglia. Il dibattito sulla parità di genere purtroppo non rientra ancora nelle agende politiche, e lo dimostrano anche le task force del governo con pochissime donne».
Nel corso del dibattito Roberta Bortolucci, presidente del Centro Studi Progetto Donna, ha tracciato un bilancio della vita lavorativa di una donna, spiegando che «le vite professionali uomo/donna sono molto diverse. Gli uomini solitamente hanno una linea dritta fino alla pensione, per la donna invece il processo è diverso, ci sono varie interruzioni, come la maternità- in alcuni casi non è neanche facile rientrare nel ruolo lasciato- o spesso in età adulta donne che sono costrette a lasciare il lavoro per seguire i genitori ormai anziani, con una perdita economica grandissima. Le aziende infatti le hanno formate per anni e al momento della massima competenza si butta via tutto».
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