QUESTIONE NIDI CONVENZIONATI A ROMA: È ANCORA EMERGENZA
Sono oltre 250 e sono a rischio. Oggi la proposta in Comune di una nuova delibera, ma manca un tavolo di discussione e una programmazione che guardi lontano
03 Marzo 2017
La bruma non sembra dissolversi intorno alla questione nidi convenzionati a Roma. Durante l’Assemblea per il Piano sociale dedicato alle politiche dell’Infanzia, dell’adolescenza, della scuola e del sistema educativo del 28 febbraio scorso in settimo municipio, presenti l’assessore Baldassarre e la sindaca Virginia Raggi, il Coordinamento Nidi Convenzionati Roma ha rinnovato la sua posizione contro la bozza di delibera già presentata in Commissione Scuola e che avrebbe dovuto essere approvata entro il 24 febbraio scorso. Il provvedimento renderebbe, di fatto, residuale la scelta di nidi convenzionati nel Comune di Roma, obbligando le famiglie ad indicare prioritariamente cinque strutture pubbliche e, solo in ultima istanza, una struttura privata in convenzione solo nel caso in cui non ci siano posti nel pubblico.
Sferrando in questo modo un colpo ferale alla gestione integrata tra pubblico e privato con cui, ormai da oltre un decennio, vengono gestiti i servizi per la prima infanzia a Roma. Una scelta legata principalmente ad una denatalità che non garantirebbe la copertura totale dei posti disponibili negli asili comunali. Insomma: nascono meno bambini, i posti nelle strutture pubbliche restano inutilizzati, il Comune rischia il danno erariale e quindi bisogna trovare una soluzione. Me è davvero così? Davvero c’è una denatalità tale a Roma da giustificare questo tipo di scelta? L’Assemblea si sarebbe conclusa con l’impegno dell’amministrazione a mantenere a Roma il sistema integrato pubblico/privato e a presentare nella giornata di oggi in Giunta una nuova delibera. Una promessa che il Coordinamento denuncia non accompagnata, tuttavia, da aperture circa un possibile tavolo comune di discussione e analisi della riduzione delle domande o da programmi di lungo periodo di rilancio delle politiche educative per l’infanzia. Per oggi alle 14.00 il Coordinamento ha indetto una mobilitazione in Campidoglio ribadendo le sue richieste, tra cui la semplificazione amministrativa per le iscrizioni con un coinvolgimento paritetico dei nidi convenzionati; una corretta informazione sul sistema integrato dei servizi all’infanzia; un serio contrasto all’abusivismo; la garanzia della libera scelta delle famiglie. Ne abbiamo discusso con Eugenio De Crescenzo del Coordinamento Nidi Convenzionati Roma.
Eugenio, cerchiamo di ricostruire la vicenda?
«Ad oggi i servizi all’infanzia sono gestiti da un servizio integrato pubblico privato. Una scelta di 15 anni fa legata alle difficoltà dell’amministrazione a far fronte alle liste d’attesa per i tempi farraginosi necessari a realizzare gli impianti per gli asili nido. I circa dieci soggetti privati di allora – diventati oggi 250 – hanno investito in proprio per l’affitto dei locali, i lavori per adeguare i locali alle richieste della legislazione regionale e del regolamento comunale, la burocrazia, per avere l’accreditamento dal Comune che permetteva di entrare nel servizio pubblico.
Quindi una famiglia che aveva bisogno di un asilo nido si rivolgeva al Municipio che aveva l’elenco dei nidi pubblici e dei privati convenzionati e sceglieva. Nel tempo si sono così creati 2mila posti di lavoro, quasi tutte donne, giovani, fortemente professionalizzate. Da due o tre anni, tuttavia, ci sono segnali di una effettiva riduzione di iscrizioni presso i nidi. Una situazione che abbiamo spesso sottoposto all’attenzione delle amministrazioni capitoline, tenendo anche conto che fino a qualche mese fa Roma era commissariata e che la giunta Marino aveva già avuto numerose difficoltà. Da più di cinque anni siamo in una situazione di approssimazione per un servizio delicato, che, invece, ha fortemente bisogno di una regia».
Una delle questioni da cui prende le mosse la bozza di delibera attuale è una denatalità che renderebbe inutilizzato un certo numero di posti nei nidi pubblici.
«Sicuramente la diminuzione delle nascite influisce sulle iscrizioni. Fino a quattro anni fa a Roma nascevano 80mila bambini, ora la curva è in diminuzione, ma resta che il 70% dei bambini non è iscritto al nido. Questo è il nodo: la giunta Marino ha quasi raddoppiato le tariffe senza alcuna progressività legata al reddito, mentre le famiglie sono provate da crisi, disoccupazione, cassa integrazione, un mercato che non decolla; il Comune continua ad accumulare ritardi nei pagamenti laddove un nido privato convenzionato ha, a 46 giorni, la fuoriuscita liquida del 75% del valore della produzione rappresentato dal costo del lavoro delle assistenze educative, tutte a tempo indeterminato; negli anni si è assistito ad una diffusione, mai indagata, di servizi all’infanzia domiciliari, informali, irregolari, oppure del tutto abusivi, servizi offerti ad un terzo del costo di chi rispetta le regole. Ancora, il Comune non si è mai organizzato in una pianificazione dell’accreditamento: la conseguenza è stata una concentrazione di strutture accreditate in alcune zone e una totale assenza in altre. Insomma la criticità c’è, ma è legata ad una sommatoria di fattori – aumento delle tariffe, mancata semplificazione amministrativa, mancato contrasto all’abusivismo educativo, mancata razionalizzazione – che non possono essere ridotte al decremento delle nascite».
La bozza di delibera renderebbe, di fatto, residuale la scelta di nidi privati convenzionati.
«È una non scelta. Non c’è stata una presa di posizione politica del M5S, nessun ordine del giorno, nessuna discussione in Giunta.
È stato dato incarico (e tutti lo negano) al Direttore del Dipartimento Servizi educativi e scolastici di scrivere una delibera che scarica tutta la responsabilità sui nidi convenzionati. Nessuna decisione politica, nessuna presa di responsabilità, una delibera senza padre. Semplicemente, un po’ d’arsenico tutti i giorni. Noi non ci crediamo. 250 persone, a volte intere famiglie, hanno messo in gioco i loro risparmi per fornire un servizio con tariffe amministrate a parità di quello pubblico. E ci hanno messo tutta la vita. Le persone che hanno assunto hanno comprato casa, creato famiglie, fatto bambini. Vogliamo essere rispettati come imprenditori, cittadini, professionisti dell’educazione. Se si vuole discutere di politiche per l’infanzia ci si mette intorno ad un tavolo, si chiamano gli esperti, si analizzano i problemi e si cercano soluzioni».
Oggi si discuterà di questo. Quali sarebbero le conseguenze di una sconfitta?
«Con l’attuale bozza di delibera diventiamo, di fatto, una sesta scelta. Questo può voler dire oltre 2mila licenziamenti; oltre 250 imprese, soprattutto femminili, in fallimento; conseguenze sulla libertà di scelta delle famiglie.
Almeno un 50% degli asili convenzionati esistenti sono fortemente a rischio chiusura. Anche perché il Comune, nell’acquisizione dell’accreditamento, non ha mai tenuto conto della tenuta minimale aziendale del soggetto: tutti i piccoli sono soggetti a fallimento più dei medi o dei grandi perché non hanno liquidità. E con i pagamenti siamo fermi a Novembre».
Il Coordinamento aveva già indirizzato una lettera alla sindaca Raggi e ha indetto la manifestazione di oggi non essendoci aperture su tavoli di discussione o una programmazione di lungo periodo. Quali sono i vostri auspici?
«La riduzione delle domande c’è. La criticità c’è. Ma come si affrontano le criticità? In una comunità adulta ci si mette intorno ad un tavolo e si cerca, ognuno con le proprie competenze ed i propri ruoli, di trovare soluzioni, innovare il processo e, solo in ultima analisi, dichiarare il fallimento insuperabile. Questo non è mai avvenuto. Crediamo che il servizio integrato sia fondamentale e ci battiamo perché tale rimanga. Perché pensiamo che è la pluralità delle voci educative in un territorio che ne fa la ricchezza. La prima cosa da fare è costituire un gruppo di lavoro e definire insieme un processo rispettoso di una storia che i rappresentanti politici non conoscono e dell’esperienza di chi all’interno dei processi ci è passato. La libera scelta va assolutamente rispettata, come in tutto il welfare che si occupa di servizi alla persona. Se devo fare delle analisi posso scegliere dove farle. Nell’assistenza domiciliare a scegliere è l’utente. Perché in questo caso dovrebbe essere diverso? Perché ora diventiamo dirigisti? Possibilità di azione ce ne sarebbero: perché non è mai stata fatta, ad esempio, una campagna di informazione rivolta alle famiglie sottolineando l’importanza della comunità-nido? La verità è che c’è una carenza culturale prima che politica attorno a questi processi».
In copertina un’immagine Flickr