QUO VADIS EUROPA? UN INCONTRO PER CAPIRE IL PROGETTO EUROPEO
Mercoledì 11 novembre alle 18:00 l'incontro on line con Pier Virgilio Dastoli, per ritrovare la voglia di Europa
10 Novembre 2020
Continuano gli incontri del percorso Futuro Prossimo: il nuovo appuntamento è mercoledì 11 novembre alle 18:00 con Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME), sul tema “Quo vadis Europa? Capire l’Unione europea: le conquiste‚ i nodi irrisolti‚ le prospettive”.
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Pubblichiamo qui un testo in cui Dastoli affronta quattro nodi fondamentali del progetto europeo, rispondendo ad altrettante domande.
Tre visioni e cinque elementi di costruzione
Il sogno di un’Europa (realmente) unita è ancora attuale, o possiamo realisticamente considerarlo come l’ultimo capitolo di una storia delle idee e delle utopie irrealizzate che, da Tommaso Moro in poi, ha accompagnato la vicenda della cultura moderna e contemporanea?
Le origini dell’idea (o del sogno) dell’unificazione del continente europeo risalgono al XIV secolo, epoca marcata dalla fine della concezione medioevale del mondo e caratterizzata da idee unitarie piuttosto dinastiche. Si attribuisce al giurista francese Pierre Dubois il primo progetto di creazione dell’unione politica dell’Europa (1305-1307) e dunque due secoli prima della narrazione de L’Utopia da parte di Tommaso Moro. Da allora e fino alla fine della prima guerra mondiale, ci sono stati ben centoottanta progetti di unione, che non riguardavano l’ingegneria istituzionale o costituzionale di tipo confederale o federale, ma piuttosto l’idea di un’organizzazione pacifica dell’Europa.
La prima guerra mondiale ha marcato la fine della potenza e della posizione predominante dell’Europa e la rottura ideologica con la Russia, divenuta nel 1917 l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La seconda guerra mondiale ha ulteriormente indebolito il ruolo economico e politico degli Stati europei, con la presa di coscienza che l’obiettivo dell’unione europea dovesse essere la conseguenza sia dell’esperienza della guerra che della debolezza dell’Europa di fronte alle due federazioni, che costituivano rispettivamente gli USA e l’URSS e più specificatamente di fronte all’egemonia statunitense e all’imperialismo sovietico.
A partire da quel momento si sono sviluppate tre visioni o vie differenti, con l’obiettivo di garantire una collaborazione pacifica fra i Paesi europei, offrendo ai loro popoli nello stesso tempo uno sviluppo armonioso, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta e un miglioramento del tenore di vita (art. 2 Trattato CEE):
- La via comunitaria, o meglio di un’unione sempre più stretta per consentire un graduale trasferimento di compiti dagli Stati nazionali alla Comunità nella prospettiva di realizzare la finalità federale dell’integrazione europea (Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 ispirata da Jean Monnet).
- La via confederale, o meglio una collaborazione permanente fra Stati sovrani, non solo nei settori economici e sociali ma anche in quelli della sicurezza e della difesa con l’obiettivo di garantire l’indipendenza dell’Europa prima occidentale e poi anche orientale (Charles de Gaulle)
- La via federalista, con la creazione di un’entità politica sovranazionale attraverso un processo democratico-costituente per attribuire al livello federale le sole competenze necessarie per realizzare dei compiti che non avrebbero potuto essere realizzati in modo soddisfacente dagli Stati membri presi isolatamente (Altiero Spinelli).
Contrariamente ad un’opinione diffusa, l’obiettivo principale di ciascuna di queste tre visioni era politico, prima che economico, e gli strumenti (o l’ingegneria) delle istituzioni era al servizio o meglio era strumentale al raggiungimento dell’obiettivo politico.
A partire da quel momento e fino ad oggi il processo di integrazione europea si è sviluppato usando ciascuna delle tre visioni, con una prevalenza per oltre cinquant’anni della via comunitaria, lasciando alla via confederale prevalentemente la dimensione della politica estera, della sicurezza e della difesa e scegliendo la via federale, quando il raggiungimento di un obiettivo non era possibile attraverso la via comunitaria o confederale, come nella dimensione del primato del diritto europeo (la Corte) della democrazia europea (il Parlamento) e della moneta (la BCE).
Durante tutti questi anni si sono andati consolidando cinque elementi essenziali e irreversibili della costruzione europea:
- La formazione progressiva della coscienza di far parte di una comunità di valori che ci distingue da altre comunità nel mondo.
- La realizzazione di un patrimonio giuridico comune (il cosiddetto acquis communautaire), che incide ormai sul 60-70% delle legislazioni nazionali sia direttamente attraverso i regolamenti che indirettamente attraverso le direttive.
- La formazione di quello che potremmo chiamare un “federalismo giudiziario”, con una crescente applicazione a livello nazionale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea come primaria fonte del diritto
- La ricerca costante di soluzioni europee a problemi comuni, anche se la scelta della via confederale ha mostrato ogni volta che il risultato di questa scelta è stato too late e too little.
- Last but not least il fatto che, dopo il Brexit, il numero delle cittadine e dei cittadini che considera come possibile o auspicabile l’uscita del suo Paese dall’Unione europea è drasticamente diminuito. Fra queste cittadine e questi cittadini, una parte prevalente appartiene alla generazione più giovane, per la quale la dimensione europea appartiene in modo naturale al loro modo di pensare.
Anche nella vicenda della lotta al coronavirus abbiamo inizialmente assistito al tentativo di dare la prevalenza alla via confederale, con la conseguenza che sono prevalsi egoismi e diffidenze progressivamente sostituiti da strumenti comunitari (SURE e BEI) o per ora confederali (MES) o infine federali (BCE), che hanno infine indotto il Consiglio europeo a dare mandato ad una istituzione comunitaria (la Commissione) e non ad un organismo confederale (l’Eurogruppo) di predisporre uno strumento comunitario (lo European Recovery Plan poi chiamato Next Generation EU), che sarà fondato su debito pubblico europeo e agganciato ad un bilancio comune più strumento pre-federale che comunitario.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’idea di un’Europa (realmente) unita non è stata un sogno e tantomeno un’utopia e appare molto difficile fare un paragone fra il viaggio immaginario nella fittizia isola-repubblica di Tommaso Moro nel 1516 con il percorso intrapreso da Altiero Spinelli sull’isola di Ventotene nel 1941.
Un modello di civiltà
Il fallimento (sin qui registrato) del progetto politico eurounitario è (principalmente) dovuto a motivi politici contingenti, o è la coerente conseguenza di una crisi culturale o di civiltà?
Il progetto euro-unitario non è fallito perché si è sviluppato nel corso degli anni in un patrimonio di realizzazioni (l’acquis communautaire) che garantiscono beni comuni non garantiti dagli Stati nazionali ciascuno per sé, da una Carta dei diritti fondamentali che – allo stato attuale – è il testo più avanzato a livello mondiale di protezione dei diritti, avendo superato nella sua applicazione giurisdizionale e nella sua interpretazione i limiti indicati nel suo articolo 51.
Le sfide a cui è chiamata l’Unione europea nel mondo globalizzato, i rischi geopolitici, la messa in discussione del multilateralismo, l’indebolimento dei valori della democrazia e del rispetto della persona umana in altre aree del pianeta hanno riaperto il dibattito sul futuro del progetto europeo e di un modello di civiltà, che appare ancora oggi il più avanzato a livello internazionale.
Il successo del progetto europeo, nel senso della realizzazione della sua finalità federale che Jean Monnet volle iscrivere nella Dichiarazione Schuman del 1950 sostituendola al concetto di sovranazionalità, non è garantito perché ogni costruzione umana può fallire. Il successo potrà essere garantito da alcuni atti essenziali che potrei qui sintetizzare in tre aspetti:
- La “riscoperta” da parte delle tre principali culture politiche europee (cristianesimo, socialismo e liberalismo) della loro dimensione transnazionale (universalismo, internazionalismo e cosmopolitismo).
- La consapevolezza da parte delle giovanissime generazioni (la post-millennium generation), che hanno scoperto i rischi del degrado del pianeta, che le loro proteste debbono tradursi in un impegno collettivo europeo.
- La rivendicazione da parte del Parlamento europeo del ruolo sostanzialmente costituente verso cui su spinto da Altiero Spinelli il 9 luglio 1980.
Un incontro tra popoli
Se è vero che l’incontro dei popoli ha per lo più avuto inizio attraverso l’organizzazione dello scambio commerciale e la creazione dei corrispondenti istituti giuridici, non vi sembra che in Europa (ormai da tempo stabilizzata ai limiti di quello stadio minimo) sia effettivamente mancata, nel disegno politico delle classi dirigenti, un’adeguata elaborazione di un ethos o di prassi pedagogiche e progressive (tipiche della mentalità utopistica) necessarie a dar vita a un’effettiva koiné culturale e politica oltre l’homo oeconomicus ?
L’incontro tra i popoli europei della prima comunità europea è avvenuto con la messa in comune della produzione del carbone e dell’acciaio, che erano state all’origine di due guerre mondiali; i trattati di Roma non avevano come solo obiettivo di creare un istituto giuridico per l’organizzazione di scambi commerciali, ma di instaurare un mercato comune che non si limitava a dare vita ad una comunità tariffaria, ad una comunità doganale e successivamente ad una unione doganale, ma ad una comunità caratterizzata dalla libera circolazione di persone (fin dall’inizio fu attuata la libera circolazione dei lavoratori dipendenti), di beni e di servizi.
Da allora in poi la Comunità prima e l’Unione poi non si è limitata a stabilizzare i limiti di uno stadio minimo, ma ha sviluppato nel corso dei decenni nuove politiche – al di là del mercato comune (diventato poi mercato unico) e della politica agricola comune e della politica dei trasporti – nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, del riavvicinamento delle legislazioni, della politica sociale (con l’obiettivo di dare applicazione al Pilastro Sociale di Göteborg), della protezione dei consumatori, della coesione economica, sociale e territoriale, della ricerca e dello sviluppo tecnologico e dell’ambiente.
Un ethos comune e una koinè culturale si sono sviluppate intorno alla comunità di diritto e la koinè politica si è sviluppata dal 1979 intorno alle elezioni europee e all’embrione dei partiti politici europei, insieme al dialogo con i parlamenti nazionali e all’estensione di una rete sempre più ampia di organizzazioni della società civile europea intorno alle politiche comuni e dunque al di là dell’homo oeconomicus, una dimensione che non può essere tuttavia un concetto astratto, ma deve essere arricchito a livello europeo da beni comuni che non possono essere (più) garantiti dagli Stati ciascuno per sé. Se homo oeconomicus vuol dire razionalità, la razionalità deve spingerlo a condividere la ragione della dimensione europea contro l’irrazionalità del nazionalismo.
La cultura dei diritti
Una più larga e diffusa penetrazione della cultura dei diritti della persona (oltre i limiti strutturali delle competenze proprie dell’Unione, e secondo il modello del Consiglio d’Europa e della Corte di Strasburgo), può ritenersi il possibile punto di partenza per la realizzazione di un rinnovato “esperanto” europeo, fondato sul riconoscimento della sovranità della “persona”, da cui muovere per una “ricostruzione” democratica delle sue istituzioni?
La cultura dei diritti della persona è parte integrante della Carta dei diritti fondamentali, con una collocazione sistemica della dignità umana che non è solo il primo articolo della Carta, ma è un intero capo che si compone di una disposizione di carattere generale e di quattro specifiche concretizzazioni.
La Carta, inoltre, ha abbandonato la tradizionale distinzione fra diritti civili, politici, economici e sociali ordinando le situazioni giuridiche soggettive (relative nella maggior parte dei casi alla persona umana e non solo alle cittadine e ai cittadini dell’Unione) intorno ai valori fondamentali “indivisibili e universali”: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.
Ciò naturalmente non basta, se non ci sarà una nuova partenza o non si avvierà una iniziativa – che noi federalisti riteniamo debba essere costituente – che abbia al centro quattro elementi:
- Una vera democrazia europea, con un governo dotato di poteri limitati, ma reali, davanti ad un Parlamento a cui riconoscere la pienezza dei poteri politici, legislativi e di bilancio insieme al trasferimento all’Unione europea di competenze che sfuggono alla capacità d’azione degli Stati membri
- L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali con un comune lavoro della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo
- La creazione di un ricorso specifico sui diritti fondamentali davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che si ispiri al recurso de amparo spagnolo e al Bundesverfassungsbeschwerde tedesco
- La modifica dell’art. 7 del Trattato di Lisbona sulla protezione del rule of Law, rafforzando il ruolo dell’Agenzia di Vienna dei diritti fondamentali, creando una commissione di esperti indipendenti come la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa (potremmo chiamarla Commissione di Treviri non perché vi è nato Karl Marx ma perché lì vi è la sede dell’Accademia del diritto europeo) e, soprattutto, sottraendo al giudizio politicamente arbitrario e unanime del Consiglio europeo il potere di decidere se uno Stato membro viola i valori fondamentali dell’Unione europea (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani compresi i diritti di persone appartenenti a minoranze) affidandolo alla Corte di Giustizia.