DIRITTI UMANI. RICOSTRUIREMO UN MONDO MIGLIORE? PER ORA NO…
Il Rapporto Amnesty 2022-2023 sui diritti umani nel mondo e le promesse non mantenute su economia, sostenibilità ambientale, solidarietà globale
29 Aprile 2023
«Slogan patinati del tipo “ricostruiremo un mondo migliore” sono diventati un mantra. Sono state anche ventilate belle promesse: di un “reset globale” dell’economia; di una “comune agenda” mondiale per arginare gli abusi delle multinazionali, di una ripresa sostenibile a livello ambientale, di una solidarietà globale per creare un grande cambiamento. Ma gli slogan lasciano il tempo che trovano, le promesse non sono state mantenute e sempre più persone sono state abbandonate a loro stesse, in più luoghi e con maggiore frequenza. Il 2021 doveva essere l’anno dei cambiamenti, dell’uguaglianza, del “ricostruiremo un mondo migliore”. Purtroppo, non è stato così». Inizia così, con queste precise parole, il Rapporto Amnesty International 2022-2023 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, con una sintesi che rappresenta bene quello che è oggi lo iato tra gli slogan detti tra noi, le speranze che in molti avevamo e la realtà. Quella di un mondo che sembra tornare indietro: guerre, negazioni dei diritti, abusi della libertà personale. Le promesse non sono state mantenute e sempre più persone sono state abbandonate a loro stesse, in ogni parte del mondo. Ne abbiamo parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Sicurezza internazionale: il sistema non funziona dal vertice
Invece di sradicare le politiche divisive, i leader del mondo si sono ritirati nelle loro caverne fatte di interessi nazionali. Invece di fornire maggiore sicurezza, ci hanno spinti sempre più verso l’abisso nell’insicurezza e, in alcuni casi, anche della guerra. «La guerra della Russia contro l’Ucraina ha solo reso più evidente l’incapacità del sistema internazionale di autogovernarsi» commenta Riccardo Noury. «L’ha resa più evidente ma non l’ha fatta nascere. Ci siamo lasciati alle spalle un decennio di conflitti, come la Siria, in cui 4 dei 5 stati membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno preso parte attiva al conflitto in un modo o nell’altro. Se guardiamo al decennio precedente è lo stesso. Oggi è solo più stridente il fatto che ci siano organi delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani che sono fortemente politicizzati, che un Paese come la Cina faccia il bello e il cattivo tempo, che l’Arabia Saudita usi un forte potere di interdizione, che capiti che la Russia debba presiedere il Consiglio di sicurezza pur avendo aggredito un altro Paese. È proprio a partire dal vertice, dall’organo che dovrebbe assicurare la pace e la sicurezza internazionale che il sistema non funziona».
Un’aggressione in atto alle conquiste delle donne
Il nuovo Rapporto Amnesty International 2022-2023 ci parla di violazioni dei diritti umani registrate in 154 paesi. Il 2021 è stato un anno difficile, in cui molti conflitti si sono aggravati e le disuguaglianze sono aumentate. Le conseguenze di queste scelte sono ricadute su persone innocenti: molte donne si sono viste negare i propri diritti: allo studio, alla libertà di espressione, perfino il diritto alla vita. «C’è quello che abbiamo definito un enorme problema di patriarcato» ci illustra Noury. «In Iran, in Afghanistan ci sono regimi misogini, oscurantisti, un’agenda che vede le donne come nemiche. In Iran questo accade da 44 anni, le proteste del settembre 2022 sono state solo le ultime scintille di questo sistema discriminatorio. In Afghanistan siamo tornati al periodo del primo dominio dei talebani che ora hanno la stessa, medesima agenda. Ma dobbiamo prendere in considerazione su un piano più globale l’attacco ai diritti delle donne: negli Stati Uniti 50 anni di garanzie federali sull’aborto sono state rese nulle dalla Corte Suprema; in Polonia e in Ungheria i diritti sessuali e riproduttivi sono sotto attacco. E anche dove ci sono, le leggi sono applicate malamente, anche in Italia. È un’aggressione alle conquiste delle donne quella che è in atto in tutto il mondo».
Diritti delle donne: lavorare sulla cultura, sugli stereotipi, sul patriarcato
In Italia la situazione delle donne non è migliore. C’è un dato, in particolare, che spaventa. In totale sono state uccise in casi di violenza domestica 102 donne, 70 delle quali da partner o ex partner. A dicembre, il governo ha approvato un disegno di legge che dovrebbe migliorare questa situazione. Se funzionerà è presto per dirlo. Ma è chiaro che c’è un antico retaggio che è difficile da estirpare. «Sul singolo provvedimento dobbiamo attendere un po’ di tempo per capire l’efficacia» ci spiega Noury. «Quello che è bene mettere in evidenza è che il sistema internazionale di protezione dei diritti delle donne si basa su tre criteri, le tre P: prevenzione, protezione e punizione. La tendenza degli Stati, compresa l’Italia, è lavorare sull’ultima, la punizione, la più visibile, quella che ti mostra duro nei confronti del crimine. Quando invece l’ultima P senza le altre due serve a poco o a nulla. Quando mancano finanziamenti ai sistemi di protezione, quando mancano misure di prevenzione, non è facile. E nella prevenzione c’è anche il cambiamento culturale, il cambiamento delle norme: penso alla battaglia che stiamo portando avanti per la modifica al codice penale in materia di stupro, dove vogliamo che ci sia una definizione basata sul criterio del consenso. Lavorare sulla prevenzione significa lavorare sulla cultura, sugli stereotipi, sul patriarcato, sulla discriminazione nei tempi, nel lavoro, nel reddito». È un lavoro lunghissimo e complicato da fare. Così i governi pensano intanto a lavorare sulle pene, un ambito più immediato ed evidente, che da solo non basta.
C’è un deficit di cultura dei diritti umani nelle istituzioni che è spaventoso
Dal punto di vista dei diritti umani, il passo indietro più evidente è stato quello dello scorso ottobre, quando il Senato ha bloccato un disegno di legge volto a combattere la discriminazione e la violenza basate su sesso/genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Il disegno di legge avrebbe esteso alle persone Lgbtqia+, alle donne e alle persone con disabilità le stesse tutele a disposizione delle vittime di incitamento all’odio e di crimini d’odio basati su moventi razzisti, religiosi, etnici e nazionalisti. «C’è un deficit di cultura dei diritti umani nelle istituzioni che è spaventoso» commenta Riccardo Noury. «Noi abbiamo uno scenario in cui c’è una parte della politica che è ostile ai diritti e porta avanti una narrazione falsa per cui se dai dei diritti a qualcuno li togli a qualcun altro. Dall’altro lato c’è una parte che è la parte delle occasioni perse, una parte timida che per calcoli di natura elettorale ha rinunciato a fare il suo lavoro. Il 2022 è l’anno esemplare: si esce da una legislatura molto timida sui diritti umani e si entra in una legislatura ostile ai diritti umani. Il risultato è che siamo indietro su questioni come la discriminazione, la cittadinanza, la politica in tema di immigrazione e asilo e altre ancora».
Le organizzazioni per i diritti umani sempre più sotto attacco
A proposito di diritti, tornando a vedere il problema a livello globale, come emerge dal Rapporto Amnesty International 2022-2023, in 77 dei 156 stati analizzati, sono state arrestate persone che difendono i diritti umani. Maltrattamenti, in molti casi assimilabili a tortura, si sono riscontrati in più della metà dei paesi. Una tendenza regressiva adottata nelle politiche dei governi è stata l’elaborazione e l’introduzione di nuove normative che hanno limitato i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Sulla base del Rapporto Amnesty International, è stato possibile accertare durante l’anno l’introduzione di norme di questo tipo in almeno 67 dei 154 paesi coperti dal presente rapporto, tra cui Cambogia, Egitto, Pakistan, Turchia e Usa. «Io farei due considerazioni» ragiona il portavoce di Amnesty International. «Il nostro mondo, quello delle organizzazioni per i diritti umani, è sempre più sotto attacco. Ovunque vengono chiuse organizzazioni con pretesti, vengono cancellati riconoscimenti dello status giuridico, ci sono aggressioni contro i difensori dei diritti umani, contro i difensori dell’ambiente. Questo nostro mondo è visto come un nemico, come un fastidio, invece che come un partner su cui i governi dovrebbero investire per promuovere il cambiamento. Dall’altro è proprio il diritto di usare lo spazio pubblico come spazio di protesta che è sotto attacco. Ci sono elementi che dicono quanto il diritto di protesta pacifica sia sotto attacco: l’uso indiscriminato della forza, la militarizzazione delle piazze, l’uso di proiettili veri sotto tutti indici di questa tendenza alla chiusura degli spazi libertà. È un problema: gli organismi per i diritti umani e l’attivismo di piazza sono i due motori del cambiamento. E gli Stati si aggrappano alla forza per non consentire questo cambiamento». Secondo il Rapporto Amnesty International, è stato fatto uso illegale della forza nei confronti dei manifestanti in 85 stati.
Il fallimento nella costruzione di una risposta mondiale alla pandemia
Tornando agli slogan del tipo “ricostruiremo un mondo migliore”, non si può non constatare il fallimento globale nella costruzione di una risposta mondiale alla pandemia. A settembre, è stato calcolato che alcuni Stati disponevano ancora di un surplus di oltre 500 milioni di dosi di vaccino. Mentre l’Ue aveva un tasso di vaccinazione di oltre il 70 per cento, molti paesi del sud del mondo erano ancora in attesa di accedere alla prima dose. A fine anno, era stato vaccinato con doppia dose meno dell’otto per cento degli 1,2 miliardi di abitanti dell’Africa. «Quello che è peggio è che questo processo di nazionalismo vaccinario è andato a termine, a tal punto che ci siamo completamente dimenticati di quella parte di mondo che non è vaccinata» spiega Noury. «Ci siamo concentrati in maniera miope sull’accaparramento di vaccini e poi sull’uscita del nostro mondo della pandemia che abbiamo pensato che la questione fosse risolta. Ora non si parla più, abbiamo imposto una narrazione post pandemica al nostro mondo, ma l’abbiamo imposta anche al resto del mondo. Tanto che non sappiamo dire se l’Africa è rimasta a quell’8%».
Il razzismo insito nella politica e nella pratica di gestione delle frontiere
Tornando a parlare di migrazioni, l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze russe ha provocato il più grande movimento di rifugiati in Europa dalla Seconda guerra mondiale. L’accoglienza è stata straordinaria, ma ha anche rivelato il razzismo insito nella politica e nella pratica di gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea. «La guerra contro l’Ucraina, tra i mille effetti, ha anche dimostrato una cosa: che un’altra accoglienza è possibile» ragiona Noury. «È stato bello vedere persone fuggite dall’Ucraina accolte nel rispetto della loro dignità e dei lori diritti. Va constatato che proprio quelle frontiera che si sono aperte agli ucraini sono le stesse su cui si è consumata una strage di migranti lungo le frontiere dell’Unione Europea con la Bielorussia, quindi Polonia e stati baltici: chi arriva da est e da sud non è stato accolto nello stesso modo. Le politiche di respingimento, di rimbalzo di esseri umani lungo le varie rotte che hanno prodotto mancanze di soccorsi e respingimenti in mare si sono acuite. C’è un doppio standard: selezionare il tipo accoglienza in base al tipo di persona che arriva alle tue frontiere».
Politiche di accoglienza che ancora considerano l’immigrazione emergenza
Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a metà del 2021 in tutto il mondo c’erano 26,6 milioni di rifugiati e 4,4 milioni di richiedenti asilo. La maggior parte viveva da anni ospitata in campi profughi, come ad esempio in Bangladesh, Giordania, Kenya, Turchia e Uganda, dove molti rimanevano nella costante paura di essere rimandati nei paesi dai quali erano fuggiti in cerca di sicurezza. In Italia almeno 300.000 migranti erano ancora senza documenti, circostanza che ha reso difficile per loro il godimento dei diritti e li ha lasciati esposti agli abusi. La misura di regolarizzazione avviata nel 2020, che mirava a garantire che le persone con status irregolare potessero ottenere permessi di soggiorno e di lavoro e accedere ai servizi sanitari durante la pandemia, ha raggiunto risultati limitati, secondo gli ultimi dati disponibili a fine anno. A partire da agosto circa 60.000 persone avevano ottenuto qualche documentazione, circa un quarto delle 230.000 che ne avrebbe diritto. «L’Europa non aiuta, ma è diventato un alibi storico per nascondere l’incapacità di gestire le cose» spiega il portavoce di Amnesty. «Noi abbiamo delle politiche di accoglienza che ancora considerano, dopo decenni, l’immigrazione come emergenza. Che rischiano di creare nuove illegalità e consegnare persone nelle mani della criminalità organizzata. Numeri ci dicono ancora che si tratta di organizzare anziché invocare emergenza. A proposito di Ucraina, abbiamo accolto in Italia 200mila persone, nessuno ha gridato al caos; per 30mila arrivate quest’anno si invoca l’emergenza. È ancora una volta un tema di narrazioni. È incredibile che in 12 anni non si sia fatto nulla di nuovo. Come nel 2011 sotto Berlusconi Maroni, oggi con Meloni Piantedosi Salvini si dichiara l’emergenza. Dal punto di vista politico elettorale tutto questo ha la funzione di rassicurare un proprio elettorato, c’è sempre una minaccia contro la quale agire, c’è sempre da mettere paura. La paura oggi è una potente arma di raccolta del consenso».
I progetti pilota per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati
A livello locale, è generalmente cresciuta la solidarietà per le persone in movimento, come si è visto in un sempre più esteso numero di paesi, attualmente 15, che hanno promosso progetti pilota di sponsorizzazione comunitaria per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati. Ma tale solidarietà si è tuttavia dimostrata troppo spesso tristemente carente a livello nazionale e internazionale. «Sicuramente sono iniziative positive ma non dovrebbero stare tra le varie ed eventuali, perché mi sembra che quello sia il loro posto» conclude Noury. «Dovrebbero stare ai primi posti di politiche serie, di rispetto dei diritti e così ancora non è. Non voglio dire che poco di niente è parente. Ma accontentarci che poco è meglio di niente no. Bisogna fare di più».