RAPPORTO ASTALLI: LE VITE SOSPESE DEGLI IMMIGRATI E LA DIS-INTEGRAZIONE
Dall'edizione 2020 del rapporto emerge la realtà dei processi di dis-integrazione, che hanno ricacciato nella precarietà anche chi si stava integrando
20 Maggio 2020
Nel nome della sicurezza, le politiche dell’immigrazione degli ultimi anni – il 2019 soprattutto – ci hanno reso tutti più insicuri, perché hanno creato precarietà e marginalità. Distruggendo anche molto di quello che – pur con molti limiti – era stato fatto precedentemente. Così oggi ci troviamo ad affrontare il fatto che un sistema di accoglienza pubblica inaccessibile e frammentato, da cui sono spariti tutti gli investimenti per l’integrazione, ha creato una serie di vite sospese, attorno alle quali «manca il lavoro continuo per l’integrazione: siamo di fronte a processi di dis-integrazione». Queste parole, ha pronunciato durante la presentazione del Rapporto Astalli 2020, padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro, offrono un’estrema sintesi della situazione che si è creata dopo i cosiddetti decreti sicurezza.
La vita di troppe persone è diventata precaria, perché, scrive Ripamonti nel rapporto, «abbiamo reso l’accesso alla protezione internazionale un tempo sospeso, come accade per esempio nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) in cui sono sparite le spese per l’integrazione. Vite precarie perché abbiamo reso l’accoglienza una concessione a tempo e non uno strumento che insieme all’integrazione possa trasformarsi in un progetto di vita. Vite precarie perché, costretti dalle circostanze, abbiamo scandito con tempi serrati i progetti nei centri di accoglienza SIPROIMI, sempre meno rispettosi dei tempi delle persone. Vite precarie perché abbiamo reso rigido legalmente e articolato burocraticamente il rinnovo del permesso di soggiorno che prima era umanitario».
Alla base c’è anche un problema legislativo: la legge sull’immigrazione è superata; i decreti sicurezza sono stati concepiti contro le persone immigrate, contro le Ong, contro tutto il mondo della solidarietà; il recente decreto volto a regolarizzare braccianti, colf e badanti – che tanto dibattito e tante critiche ha suscitato – è sì un passo avanti, ma non risolutivo. Occorre quindi ritrovare la volontà politica per affrontare il tema emigrazione in modo costruttivo, anche sul piano legislativo. Tra l’altro, già nel 2017 il Centro Astalli ha presentato una legge di iniziativa popolare sull’immigrazione, nell’ambito della Campagna “Ero straniero” .
I dati del centro Astalli
La precarizzazione dell’immigrazione si è riversata anche sul Centro Astalli e sui servizi che offre.
Nel corso del 2019 sono state 11mila le persone incontrate a Roma (20mila in tutta Italia) e gli accessi al Centro di Ascolto sono aumentati del 30%. È esploso il numero di coloro che non avevano documenti validi: quasi l’80% in più. È aumentata la richiesta di servizi di bassa soglia (mensa, docce, vestiario, ambulatorio): oltre 3.000 utenti hanno usufruito della mensa di Roma (il 35% dei quali è titolare di protezione internazionale). Sono state 835 le persone accolte, 349 quelle entrate nei percorsi di accompagnamento all’autonomia.
Circa due terzi di chi si è rivolto agli ambulatori non è iscritto al Sistema Sanitario Nazionale: effetto questo delle complicazioni derivate dalla decisione della questura che non riconosce più come residenza valida gli indirizzi fittizi, per i richiedenti asilo e per i titolari di protezione umanitaria. È aumentata la presenza di donne, molte delle quali in condizione di vulnerabilità ed escluse dai circuiti di accoglienza.
Quelli che non arrivano
Ma il Rapporto Astalli pone anche un altro problema: quello di chi in Italia non arriva. Nel 2019 meno di 11.500 migranti sono sbarcati sulle nostre coste (il 50% in meno rispetto al 2018 e il 90% in meno rispetto al 2017). Dietro a questo calo c’è la Guardia Costiera Libica, che ne ha riportati indietro quasi 8.500, ci sono le carceri, c’è la tortura e la violenza che molte di queste persone testimoniano in prima persona, con racconti terribili. Il 35% circa dei migranti che si sono rivolti al Centro SaMiFo (Salute Migranti Forzati) erano vittime di tortura o maltrattamenti, tratta, mutilazioni genitali femminili e si portavano addosso disturbi post-traumatici.
Una realtà che l’Europa e l’Italia non possono continuare ad ignorare.
Resistere non basta
Negli ultimi anni i mondi del volontariato, delle Ong, del Terzo settore, delle Chiese hanno messo in campo una sorta di resistenza alle scelte politiche e amministrative che tendevano a criminalizzare l’immigrazione e a strumentalizzarla per conquistsi il favore dell’opinione pubblica. Hanno continuato a fare quello in cui credevano, come potevano: accogliere, curare, insegnare l’italiano, trovare lavoro, affrontare la burocrazia, insomma integrare. Ma adesso, ha detto padre Ripamonti, «è evidente che resistere alla dis-integrazione non basta più. Bisogna essere creativi, occorre rigenerare, avere molta fantasia sociale». Da parte sua, il Centro Astalli ha messo in piedi nuovi progetti, lavorato con sistematicità nelle scuole, coinvolto intellettuali e giornalisti, insomma ha giocato un po’ su tutti i fronti possibili, sia sul piano culturale – quello della reale conoscenza dei problemi – sia sul fronte dei servizi da offrire.
Questo è quello che serve oggi: avere idee, visioni a lungo termine da una parte e sviluppare la capacità di realizzarle dall’altra.
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Il Rapporto Astalli 2020 si può scaricare dal sito, a questo link. Da vedere assolutamente l’inserto fotografico “Rifugiati, ai confini dell’Umanità“, con le immagini del fotografo Francesco Malavolta e testi di Alessandro Bergonzoni, Luciano Manicardi, Melania Mazzucco.
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