SE I POLITICI NON PARLASSERO COME AL BAR, L’IMMIGRAZIONE SAREBBE UNA RISORSA
Siamo il Paese più disinformato. Per questo non riusciamo ad occuparci del vero problema. Che non sono gli arrivi, ma l'integrazione
26 Ottobre 2018
Ormai sulle pagine di Reti Solidali non fa più notizia, ma ribadirlo forse può aiutare, come con gli slogan elettorali: in Italia non c’è nessuna invasione di migranti e oggi lo ribadisce anche il Rapporto idos. Sono 5,1 milioni i residenti stranieri nel Bel Paese (di cui 1,3 milioni di persone nate in Italia), numero più o meno stabile dal 2013, che equivale all’8,5% della popolazione complessiva. Meno di Germania (9,2 milioni – 11,2%) e Regno Unito (6,1 milioni – 9,2%) giusto per citare due esempi.
Lo ha ricordato il Dossier Statistico Immigrazione 2018, realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in partenariato con “Confronti” e con la collaborazione dell’Unar, presentato a Roma e in altre 28 città italiane giovedì 25 ottobre. Nel testo si specifica come nel 2017, a un forte aumento delle migrazioni a livello mondiale, sia corrisposto in Italia un calo sia degli attraversamenti irregolari delle frontiere (9 volte in meno rispetto al 2015) che delle richieste d’asilo presentate (-43,5% rispetto al 2016).
LA DISINFORMAZIONE. Eppure, secondo l’ultima relazione della Commissione parlamentare “Jo Cox”, sulla xenofobia e il razzismo siamo il Paese che nel mondo ha il più alto tasso di disinformazione sul tema immigrazione. Non sorprende quindi lo studio (Istituto Cattaneo) che descrive gli italiani come i cittadini europei con la percezione più distorta riguardo al numero di stranieri presenti nel Paese. Ne vediamo più del doppio di quelli effettivamente presenti.
Colpa della comunicazione? Certo, ma non solo. In questa errata conoscenza della realtà c’è anche una bella fetta di responsabilità della politica, che non solo ha trasformato l’immigrazione in un terreno di caccia per costruire consensi elettorali, ma ha pure reso più barbaro e feroce il linguaggio. «Le esternazioni della classe dirigente sono precipitate al livello dei commenti da bar», si legge nel rapporto IDOS, «sdoganando così parole e atteggiamenti brutali, legittimati dall’alto».
LE PARTENZE. Tra offese sul web, emergenze annunciate e mai dimostrate, psicosi collettive e rabbia diffusa ci pensano i numeri a mettere ordine: l’Italia non è il Paese europeo con il più alto numero di migranti e non è neppure quello che ospita più rifugiati e richiedenti asilo (354 mila contro l’1,4 milioni della Germania).
I dati del Ministero dell’Interno confermano che sono diminuiti anche gli sbarchi: dai 132 mila dei primi 9 mesi del 2016 (181 mila a fine anno) siamo scesi a 105 mila nel 2017 fino ad arrivare ai 21 mila registrati da gennaio a settembre 2018. Sono aumentate, invece, le partenze: nel 2017 ben 114mila italiani hanno lasciato il loro Paese aggiungendosi agli oltre 5 milioni che lo avevano già fatto negli anni precedenti. Un numero sicuramente sottodimensionato, perché non tutti quelli che lasciano l’Italia poi formalizzano la cancellazione anagrafica.
L’INTEGRAZIONE. nel Rapporto IDOS si nota subito come ci sia una sorta di “pareggio” tra le partenze dei nostri connazionali e il totale degli stranieri in Italia. «L’unica emergenza che vedo è quella demografica», ha dichiarato il presidente Luca Di Sciullo, «dato che 1 italiano su 4 ha più di 65 anni. Il tasto nevralgico sul tema immigrazione riguarda l’integrazione ed è ancora più dolente di quello dell’accoglienza. Argomenti espressamente cassati dall’agenda politica del governo che stanno scomparendo anche nell’ambito dell’Unione Europea».
Nascono proprio da un mancato “inserimento” nel tessuto sociale le problematiche relative alla sicurezza. «Più che chiudere i porti e le frontiere dovremmo permettere ai migranti di conoscere il Paese che li ospita, di interagire con i cittadini e vivere la comunità», ha aggiunto Di Sciullo.
IL CONTRIBUTO. Il 28° Rapporto IDOS prova a decostruire alcune narrazioni collegate all’immigrazione come l’aumento della delinquenza e delle malattie, la mancanza di lavoro per gli italiani e l’evasione delle tasse. Tutto smentito dai numeri: i 2,4 milioni di occupati non rubano il lavoro agli italiani, ma fanno i mestieri meno qualificati (l’assistenza agli anziani, l’edilizia, il lavoro nei campi, il facchinaggio e le pulizie negli uffici), contribuendo per 1/10 al Pil, cioè all’intera ricchezza prodotta dal Paese.
Con quanto assicurano – tra tasse, contributi previdenziali, spese per i rinnovi dei permessi di soggiorno – ripagano abbondantemente quanto lo Stato spende per loro (i famosi 35 euro al giorno sbandierati dalla politica…) con un avanzo netto a favore dell’erario che oscilla ogni anno tra 1,7 e 3 miliardi. Gli stranieri, inoltre, pagano ogni mese più di 650 mila pensioni italiane.
I numeri però non bastano più. Servono testimoni, esempi e buone prassi di integrazione per dimostrare che una strada percorribile c’è ed è sotto gli occhi di tutti. «Come il modello Riace», ha concluso Di Sciullo, «o come la Nazionale di pallavolo femminile che con delle italiane di seconda generazione ha vinto la medaglia d’argento ai Mondiali».
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