RAPPORTO IMMIGRAZIONE 2020. È ORA DI LAVORARE SULL’INTEGRAZIONE
L'emergenza ha impoverito le famiglie immigrate. Gli immigrati non portano il Covid e hanno diritto di accedere al mercato del lavoro
di Redazione
08 Ottobre 2020
Cominciamo con lo sfatare almeno tre dei più devastanti luoghi comuni che alimentano la paura contro gli immigrati: non è un’invasione, non c’è stato nei mesi dell’emergenza Covid 19 alcun allarme sanitario ricollegabile alle comunità straniere in Italia (la percentuale di casi positivi è analoga a quella della popolazione generale) e la maggior parte dei migranti è di religione cristiana (3 milioni di fedeli, per lo più ortodossi). È vero però che l’emergenza ha peggiorato la situazione di molti di loro e che la volontà di discriminarli è stata evidente.
È stato presentato il XXIX Rapporto Immigrazione 2020 di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes dal titolo: “Conoscere per comprendere”.
Qualche numero
Sono poco più di 5milioni e 300mila le persone che risiedono da tempo in Italia (l’8,8% della popolazione, che produce il 9% del PIl). Da qualche anno l’aumento della popolazione straniera è molto lento: dal 2018 al 2019 si sono registrati appena 47 mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più. Sono diminuite le nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019).
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi al 1° gennaio 2020 sono meno di 3.500.000, il 61,2% dei quali è stato rilasciato nel Nord Italia, il 24,2% nel Centro, il 10,8% nel Sud e il 3,9% nelle Isole. Non raggiungono il 6% i permessi collegati all’asilo e alla protezione internazionale, sono solo l’1,5% quelli per studio.
Nelle scuole gli alunni stranieri sono 860.000 alunni stranieri (il 10% del totale), il 64% dei quali nati in Italia, ma senza cittadinanza.
Nel Lazio sono residenti quasi 683mila stranieri, con una leggera prevalenza di donne (52%).Rappresentano il 13% degli stranieri residenti nel nostro paese e sono meno del 12% della popolazione totale della regione. Dal 2018 sono aumentati solo del 2%. I bambini stranieri nati nel Lazio sono il 16% del totale
La pandemia
Come riporta Redattore Sociale, il periodo di pandemia e le restrizioni imposte dal lockdown hanno penalizzato fortemente le famiglie immigrate, anche a causa di una situazione lavorativa e abitativa, già in partenza più debole di quella degli italiani.
Secondo l’Istat nel 2019 i non italiani in povertà assoluta sono quasi 1 milione e 400 mila, con un’incidenza pari al 26,9%, contro il 5,9% dei cittadini italiani. L’incidenza di povertà assoluta è pari al 22 per cento per le famiglie con almeno uno straniero (24,4% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri) e al 4,9% per le famiglie di soli italiani. Questi dati, diffusi dall’Istat nel mese di giugno, non tengono però conto dell’impatto socio-economico determinato dalla pandemia di Covid-19.
Dal monitoraggio realizzato nel mese di giugno 2020 e relativo al trimestre marzo-maggio tra 169 Caritas diocesane, emerge che in soli tre mesi la Caritas ha aiutato, in diverse forme, 445.585 persone (in media, 2.990 utenti per diocesi). Tra i 129.434 “nuovi poveri” che si sono rivolti alla Caritas nello stesso periodo, gli stranieri pesano in modo particolare (32,9%), pur se con valori di incidenza inferiori rispetto al dato riferito all’utenza in generale.
La volontà di discriminare
La condizione di debolezza degli stranieri nel corso della pandemia emerge in modo ancora più evidente dalle diverse Caritas del territorio che in tempo reale hanno monitorato quello che stava accadendo in Italia. «Gli stranieri hanno scontato più di altri le situazioni di povertà educativa e culturale che rendono difficile, per gli stessi autoctoni, l’orientamento nel nostro complesso sistema di welfare. In altri casi è, invece, rilevabile una precisa volontà di esclusione della platea straniera, dettata quasi sempre dalle istanze politicoideologiche degli amministratori locali”, sottolinea il rapporto, ricordando la questione del “Bonus spesa”, erogabile dai Comuni, derivante dall’implementazione dei Fondi comunali di solidarietà disposti dal “Cura Italia” e dal d.p.c.m. 28 marzo 2020.
La normativa non aveva distinto le categorie dei potenziali destinatari in base a specifici requisiti soggettivi, poiché l’obiettivo esclusivo era ed è l’erogazione di misure afferenti il basilare ed inviolabile diritto alimentare. «Molti Comuni hanno operato distinzioni o in base alla cittadinanza o alla residenza anagrafica o in relazione al possesso di uno specifico permesso di soggiorno, escludendo di fatto alcuni cittadini stranieri dalla possibilità di fruire del “Bonus”», spiegano Caritas e Migrantes. «Senza timore di smentite, possiamo affermare che la situazione di criticità che abbiamo vissuto inciderà sulla dimensione statistica della povertà nel nostro Paese, determinando un picco di criticità difficilmente comparabile con le serie storiche fin qui disponibili. Dal punto di vista, invece, del fenomeno povertà e della domanda sociale ad esso correlata, molto dipenderà dalla capacità delle misure pubbliche di respingere le tentazioni discriminatorie e adeguarsi in modo più dinamico alle caratteristiche particolari dell’utenza straniera, caratterizzata da evidenti livelli di debolezza sociale e da forti sperequazioni demografiche e culturali».
Ciò che conta è il lavoro
Secondo il Rapporto Immigrazione 2020, il decreto legge contenente disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, contenente modifiche dei cosiddetti decreti sicurezza (d.l. 113/2018 e 53/3019), recentemente approvato, è un passo avanti, ma non basta. «È importante favorire i percorsi di regolarità dei cittadini migranti nel nostro Paese, attraverso un ampio riconoscimento della convertibilità in motivi lavorativi del permesso di soggiorno detenuto ad altro titolo, al fine di invertire la tendenza all’approccio securitario da un lato, o assistenzialistico dall’altro. Auspichiamo dunque che i decisori politici proseguano in questo percorso di legalità e integrazione, sostenendolo, oltre che con l’importante processo di revisione delle norme, anche con politiche attive di supporto».
Una posizione, questa, condivisa da molte realtà del Terzo Settore e della Chiesa ( leggi qui e qui)
Restituire dignità
Il Segretario generale della Conferenza Episcopale (Cei), monsignor Stefano Russo, durante alla presentazione del Rapporto Immigrazione 2020 ha dichiarato che «Le incessanti statistiche che si sono susseguite negli ultimi mesi hanno reso evidente come nessuno possa essere considerato semplicemente un numero – lo abbiamo più volte ribadito – ma una persona con una dignità, dei legami affettivi, una storia e uno sguardo al futuro che talvolta rischia di rimanere inespresso o addirittura d’interrompersi precocemente. Questo è vero anche per le persone migranti, che alla propria storia personale aggiungono l’esperienza del viaggio e della permanenza in territori estranei, per cambiare la propria vita e spesso quelle dei propri cari». E ha ricordato che Papa Francesco nell’enciclica firmata pochi giorni fa ad Assisi, “Fratelli tutti”, «definisce l’immigrazione come un elemento fondante del futuro del mondo».