BAMBINI ROM: SI CHIAMA REYN LA RETE CHE DIFENDE I LORO DIRITTI
Dal 2016 è presente anche in Italia un network dedicato ai professionisti che lavorano per lo sviluppo della prima infanzia dei bambini rom
02 Ottobre 2019
In un mondo, come quello del Terzo Settore, dove fare rete è sempre più di importanza vitale, c’è una rete che si occupa di bambini rom: in Italia esiste da qualche anno, ma proprio in questi mesi si sta rinnovando e trovando una nuova forza. REYN Italia (Romani Early Years Network, cioè Network per la Prima Infanzia Rom) è nato a febbraio 2016 con l’obiettivo di implementare ed espandere in Italia il network REYN, formato da professionisti e para-professionisti, che lavorano a stretto contatto con le comunità rom nel campo dello sviluppo nella prima infanzia.
Il network si propone di supportare la professionalità di professionisti e para-professionisti attraverso l’erogazione di formazioni, la fornitura di materiali pratici e la condivisione di buone pratiche, e di svolgere attività di advocacy affinché vengano implementati sistemi educativi più inclusivi e non discriminatori, garantendo il diritto all’educazione a tutti i minori. «A livello internazionale REYN nasce nel 2012, perché c’era una domanda sempre maggiore di far aumentare le possibilità di sviluppo professionale per le persone rom, e anche per i non rom, ma che lavorassero nello sviluppo della prima infanzia con le persone rom e sinte», ci ha raccontato la coordinatrice di REYN Italia Francesca Petrucci di Associazione 21 luglio. «Nasce per impulso dell’Istituto Open Society Foundation in collaborazione con il Programma Early Childhood. In contemporanea sono stati istituiti dei REYN nazionali: adesso in tutto sono 11. Nel 2016 la rete viene istituita anche in Italia grazie all’attivazione dell’Associazione 21 luglio».
CHI C’È NELLA RETE. È un periodo di cambiamento per la rete, che fino a qualche tempo fa era organizzata in modo diverso. «All’inizio era formata anche da molti professionisti, professori e maestri, che nelle loro classi avevano bambini di famiglie Rom: c’erano 104 tra professionisti e istituzioni che lavoravano con le comunità Rom», racconta la coordinatrice. «Ora siamo in una fase di rifondazione: molti dei membri non erano attivi, era un’iscrizione puramente teorica. Oggi invece la rete riunisce cinque associazioni molto attive in Italia: Casa della Comunità Speranza a Mazara del Vallo, in Sicilia, ASAI di Torino, l’Associazione Articolo 34 di Pisa e l’Università di Tor Vergata, con il professor Pietro Vereni, che sta facilitando da anni gli incontri tra mamme italiane e straniere, rom e non rom”.
«Stiamo cercando di espandere questa rete, far sì che i membri effettivi siano attivi e partecipi, con lo scambio di buone pratiche, la condivisione di azioni nei propri contesti di appartenenza e con l’organizzazione di eventi nazionali», aggiunge.
UN NUOVO APPROCCIO. I beneficiari diretti del progetto sono i bambini rom nella fascia di età che va dalla nascita ai 10 anni di vita. Tra le attività previste ci sono una mappatura nazionale di organismi, enti, associazioni e singoli individui che lavorano nel campo della prima infanzia e l’organizzazione di training rivolti agli insegnanti della scuola primaria sul tema della pedagogia dei diritti e training rivolti a professionisti rom, per promuovere la loro rappresentanza nell’ambito della prima infanzia.
«Nei corsi di formazione nelle scuole portiamo prima di tutto la conoscenza del contesto storico della migrazione Rom in Italia, per capire un po’ di più da dove viene il bambino, e poi tutto un lavoro sulla conoscenza della pedagogia Rom che ha dominato l’Europa dal 1600», spiega la coordinatrice. «Tutti gli approcci pedagogici centrati sui Rom, in cui queste comunità diventano l’oggetto di interventi speciali, sono stati inefficaci. Con il nostro corso apriamo a una pedagogia che punti sui diritti di tutti, non solo sui diritti dei bambini Rom. Cerchiamo di allargare la visuale. Essendo le rete fatta di professionisti per la prima infanzia Rom diventa una sfida portare, nelle scuole, un corso che affronta il tema dell’inclusione dei bambini rom, sinti e caminanti per poi giungere alla conclusione che tale intervento deve essere per tutti i bambini, non soltanto per i bambini Rom».
«Gli approcci finora sono stati inefficaci soprattutto per il pregiudizio che c’era dietro il bambino Rom che, ad esempio, non avrebbe capacità di astrazione a causa di un retroterra culturale che non li abituerebbe allo sviluppo di queste abilità. Ancora oggi, nelle linee guida per l’integrazione degli alunni stranieri, divulgate dal Ministero dell’Istruzione agli insegnanti, ci sono dei tratti che ricordano gli antichi pregiudizi su cui noi cerchiamo di lavorare con l’advocacy».
LA VOGLIA DI CAPIRE MEGLIO QUESTO MONDO. Ma che terreno trovano queste formazioni? Tra gli insegnanti che si trovano a interagire con i bambini Rom c’è sempre diffidenza, o comincia ad esserci più apertura? «Diciamo che è un po’ entrambe le cose», risponde Francesca Petrucci. «Spesso si può riscontrare diffidenza, ci si può imbattere nei luoghi comuni, ma c’è anche la voglia di capire meglio questo mondo. Ci sono sempre più persone aperte e interessate alla parte storica, come al problema attuale dell’emergenza abitativa. Il luogo comune è sempre quello dei Rom che vivono nei campi, mentre ci sono Rom che vivono nelle case di cui nessuno sa niente. Noi proviamo a far capire anche, tramite gli studi fatti dall’Associazione 21 luglio, quali siano i danni che può avere un bambino per il fatto di vivere in un campo».
Ma il sostegno da parte della rete REYN è anche molto concreto, e fatto di piccole cose che però possono essere molto importanti. «Diverse associazioni hanno attivato dei sostegni per l’iscrizione a scuola», spiega la coordinatrice. «Abbiamo visto che la richiesta di aiuto è stata subito accolta: essendo persone che sono lontane da tutti i servizi, hanno difficoltà nel capire cosa fare e dove andare in certe situazioni. Poi c’è la difficoltà della quotidianità, quella di accompagnarli dove non c’è il pulmino, i problemi di logistica a cui noi cerchiamo di ovviare con la politica, a livello istituzionale, per far capire come la condizione sociale in cui vivono queste persone non permetta un riscatto.
LA BIBLIOTECA VIVENTE. La rete ha intenzione di crescere, anche se le realtà che si occupano di Rom e prima infanzia oggi in Italia non sono moltissime. «Ognuna delle realtà che compongono REYN ha preso il compito di cercare nella propria rete associazioni e individui interessati alla difesa dei diritti dei Rom e all’inclusione sociale», spiega Francesca Petrucci. «Da Mafia Capitale ci sembra che molte associazioni che prima avevano come target i Rom abbiano cambiato target, iniziando a rivolgersi ai migranti. Casa della Comunità Speranza ha deciso di portare la formazione non tanto nelle scuole quanto agli stessi operatori che operano a contatto con la comunità rom». La rete è attiva anche per iniziative molto belle. Il 14 ottobre sarà a Zagabria per incontrare le reti REYN di tutta Europa. E un’altra è in arrivo a novembre. «Stiamo organizzando la biblioteca vivente in occasione della giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza, che è il 20 novembre», anticipa la coordinatrice. «Vorremmo farla la domenica successiva, una biblioteca vivente di persone Rom o che abbiano avuto esperienze significative con loro, che diventino libri viventi e raccontino la loro storia. Sarà a Roma con persone, libri viventi, che vengono da tutta Italia. La Biblioteca Vivente è un ottimo modo per combattere i pregiudizi, grazie alla possibilità di entrare in contatto con l’altro e conoscere la sua storia».
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