RIAPRIAMO L’ESTATE AI BAMBINI DI CHERNOBYL

A 35 anni dal disastro nucleare, le famiglie italiane chiedono di togliere il blocco degli arrivi. «Possiamo organizzare tutto in sicurezza»

di Ilaria Dioguardi

Il quarto reattore di una centrale nucleare della centrale di Chernobyl esplose il 26 aprile 1986 in Ucraina, riversando il 70% di contenuto radioattivo in Bielorussia. I progetti di accoglienza dei “bambini di Chernobyl”, cioé dei minori provenienti dalle zone maggiormente contaminate sono bloccati da febbraio 2020. Questo blocco, riconfermato periodicamente sul sito ufficiale del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, che ha in carico le accoglienze nella Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, è motivato come conseguenza delle misure di contrasto alla pandemia, in accordo alla chiusura dei confini Schengen per i viaggi non essenziali da Paesi terzi verso l’Unione Europea, equiparando queste accoglienze a semplice turismo. «Occorre, invece, considerare che questi progetti terapeutici permettono di allontanare i bambini per tempi prolungati da zone ancora contaminate da elementi radioattivi», dice Roberta Caiffa di Roma, uno dei genitori accoglienti, fa parte dell’associazione Puer.

 

bambini di ChernobylTutto a carico delle famiglie

Roberta aspetta di poter riabbracciare la sua Liza da più di 15 mesi. «Anche se è il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che autorizza questi viaggi, tramite progetti realizzati dalle associazioni di tutta Italia, sullo Stato l’arrivo di questi bambini non grava neanche di un centesimo. L’intero costo di queste accoglienze è a carico delle famiglie italiane, stimato in circa 8.000 euro l’anno, tra viaggi aerei, abiti, visite mediche, giochi e altro. «Tutto ciò che noi chiediamo è solo il riconoscimento dell’importanza di questi viaggi e che possano essere ripresi al più presto per il bene di questi bambini».

Questi progetti di accoglienza sono nati dopo il disastro nucleare su impulso di alcune parrocchie, per far fare ai bambini dei periodi in tutta Italia. In 35 anni, migliaia di bambini di Chernobyl hanno beneficiato del risanamento fisico e psicologico offerto dalle famiglie italiane e, ancora oggi, questi progetti umanitari interessano circa ottomila minori l’anno (dati dell’ultimo report Minori Stranieri – Il fenomeno dell’accoglienza temporanea in Italia negli anni 2018 e 2019), fino al blocco causa Covid-19, deciso dal Ministero del lavoro e politiche sociali. «Il soggiorno dei minori, la cui durata massima è fissata per legge in 120 giorni nell’arco dell’anno solare, si concentra soprattutto nei mesi estivi e nel periodo natalizio e ha come obiettivo generale quello di rispondere ai problemi di disagio dei minori. Si tratta di soggiorni di “risanamento”, il cui obiettivo principale è quello di ospitare minori che provengono da aree a rischio, soprattutto da un punto di vista sanitario; sono altresì soggiorni di “socializzazione”, finalizzati a far conoscere ai minori una realtà diversa rispetto a quella in cui vivono, attraverso il contatto con altri loro coetanei e l’apertura a nuove esperienze», si legge nel report.

Amore a prima vista

«Ho conosciuto Liza alla fine del 2018, aveva 8 anni, l’ho accolta un mese per le vacanze di Natale: è stato amore a prima vista. Poi è tornata altre volte. Molti di questi bambini sono in case famiglia o in istituti. Oltre a essere le uniche vacanze che possono fare, qui hanno la possibilità di essere curati: Liza ha messo gli occhiali da vista, possono curare i denti, fare studi sulle tappe evolutive. La mia bambina non la vedo dal 12 gennaio 2020», racconta Roberta. «Ogni saluto era accompagnato dalle lacrime che chiamavamo “moscerino nell’occhio”. La ripartenza è un momento molto forte, un distacco grande, difficile per i bimbi e per gli adulti che li salutano. Si aspetta l’ultima loro immagine in partenza, quando ti fanno “ciao ciao” dopo il controllo documenti e il passaggio al metal-detector. Non puoi trattenere le lacrime, anche se devi fare di tutto per trattenerle. Ora manteniamo i contatti con le videochiamate, mandiamo loro dei giochi, ma i bambini hanno bisogno di attenzioni, di affetto, di stare con una famiglia, che è la loro unica opportunità. Interrompere una vita familiare diventa una problematica forte, che non riescono neanche ad esprimere. Liza è nella regione più a sud della Bielorussia, la zona più vicina alla centrale. Vive in una casa famiglia in tutela di una tutrice, una signora che ha figli grandi e nipoti. Questi bambini a 18 anni vengono mandati via dalle case famiglia, se le famiglie italiane accoglienti decidono di adottarli e se loro vogliono, possono venire a vivere in Italia. Su quei terreni ci sono tante scorie radioattive, quando sono andata lì ho chiesto un bicchiere d’acqua e si sono spaventati: non è possibile, devono bollire tutto. Venire in Italia permette di crearsi delle difese per il futuro, di sperare che nel tempo non si generino malattie; si verificano ancora dei casi di leucemia, problemi di tiroide e dermatologici».

Un protocollo sanitario è stato elaborato dallo stesso Ministero della Salute in collaborazione con il Comitato Tecnico Scientifico, per regolamentare una possibile entrata in sicurezza dei minori nel nostro territorio. «Siamo disposti a stare quindici giorni in quarantena, a fare tutti i tamponi del caso. Abbiamo attivato dei comuni, a Roma e alla regione Lazio è stata presentata una mozione, Firenze e Arezzo hanno approvato mozioni o atti di indirizzo, per il ripristino del programma di accoglienza temporanea nell’area di Chernobyl. Per le vie di Roma oggi sta girando un camion vela per sensibilizzare l’opinione pubblica, in occasione dell’anniversario».

 

bambini di ChernobylLa solidarietà dimenticata

«Da quasi 30 anni aiutiamo i minori bielorussi, non si può fermare tutto per più di un anno a causa del Covid-19. Dobbiamo trovare delle soluzioni. Non si capisce perché le strutture sportive e gli stadi riapriranno a giugno e 2.000 bambini con la massima sicurezza non possono venire. Due nostri delegati sono andati in Bielorussia: loro sono disponibili a riprendere i progetti con l’Italia con protocolli sanitari condivisi», racconta Sergio De Cicco, presidente dell’associazione Puer.

Nel 1992 l’associazione è nata a Roma, a Monteverde, appoggiata dai parroci di allora: il primo presidente fu Luigi Di Liegro. «Le associazioni che si occupano in Italia di accoglienza ai bambini di Chernobyl, dopo il disastro sono arrivate a circa 50.000 accoglienze l’anno. I minori che arrivano in Italia sono diminuiti, sia perché le esigenze rispetto alla problematica Chernobyl sono meno sentite nel tempo, sia per i problemi economici. Attualmente noi di Puer facciamo arrivare 1200 minori l’anno in Italia (300 a Roma). Abbiamo bisogno di nuove famiglie accoglienti e di donazioni, per portare avanti i nostri progetti. Questo dell’accoglienza è stato per tanti anni il fiore all’occhiello degli ambasciatori italiani in Bielorussia, improvvisamente si annulla tutta l’attenzione: non mi sembra all’altezza di uno Stato che vive sulla solidarietà. Questo ci fa più stare male».

RIAPRIAMO L’ESTATE AI BAMBINI DI CHERNOBYL

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