VINCOLI ALLA LIBERTÀ E BISOGNO DI SICUREZZA: COME CONCILIARLI?
Per il 53% degli italiani la sicurezza limita i diritti. Per le imprese troppi controlli limitano la creatività. Il punto di vista del Censis
24 Giugno 2016
Il 53% degli italiani afferma di percepire una restrizione dei propri diritti fondamentali, a causa della lotta al terrorismo e alla criminalità. È un dato, preso da una ricerca a livello europeo, che rappresenta bene il senso della ricerca del Censis, I vincoli alla libertà dei comportamenti, presentata il 21 Giugno 2016 a Roma nell’ambito dell’iniziativa “Un mese di sociale”, che vuole raccontare l’Italia di oggi e trovare degli spunti per un nuovo sviluppo del Paese. La ricerca del Censis ci dice delle cose che, sia guardandoci dentro che guardandoci attorno nei nostri spostamenti quotidiani, probabilmente già avevamo capito. Che le azioni di “enforcement” dovute alla crisi economica, il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle istituzioni pubbliche nel contrasto all’illegalità e alla corruzione, ma soprattutto gli strumenti di prevenzione e di lotta al terrorismo hanno prodotto un clima di maggiore percezione dei vincoli ai comportamenti individuali.
Più di un italiano su due percepisce una sensazione di restrizione alla propria libertà, mentre poco più di un terzo della popolazione afferma di non sentirla. Che il clima intorno e dentro di noi sia questo possiamo vederlo ogni giorno uscendo da una fermata della metropolitana e trovandovi le forze armate. «È un dato che viene da una survey di Eurobarometro, fatta nella primavera del 2015, in presenza di una serie di eventi che si erano verificati», ci ha spiegato Andrea Toma, curatore della ricerca del Censis. «È un dato collegato al fatto che, dal punto di vista individuale, c’è una percezione della restrizione delle libertà personali, che è qualcosa che possiamo anche accettare, pur di avere una serie di strumenti a contrasto a questi fenomeni. Abbiamo visto che era un dato interessante. Terrorismo e criminalità organizzata sono argomenti di grande impatto».
Una restrizione della libertà individuale è qualcosa che possiamo anche accettare. Ma fino a che punto la nostra sicurezza vale queste restrizioni? In fondo, questo è uno dei grandi dibattiti dell’Occidente che ci ha portato il nuovo millennio, da quell’11 settembre 2001, dal successivo Patriot Act negli Stati Uniti, e da una serie di cambiamenti che, seppur meno evidenti, sono in atto anche da noi. «Veniamo da una storia diversa», commenta Toma. «Da questo punto di vista posso dare una risposta indiretta. Dai dati analizzati riguardo la fiducia nei confronti delle istituzioni, gli italiani, e anche degli europei, riconoscono una soddisfacente efficacia nel lavoro delle forze dell’ordine in risposta a fenomeni come il terrorismo, il traffico d’armi e di esseri umani. Un po’ meno per quanto riguarda la corruzione. Questa fiducia nelle forze dell’ordine costituisce un’accettazione indiretta di certe limitazioni. Naturalmente non può essere confrontata in termini temporali con altri periodi. L’unicità del periodo che stiamo vivendo è evidente. Ma pensiamo a una cosa: sono visibili sulle camionette, sui mezzi blindati che si ritrovano in alcune zone chiave delle nostre città, la scritta “strade sicure”. Si tratta di iniziative risalenti a precedenti governi. C’è un bisogno di sicurezza latente che viene accettato, anche se crea restrizioni».
Imprese: il controllo frena la creatività?
«L’analisi l’abbiamo collegata anche alla percezione delle aziende, per le quali i sistemi dei controlli e della regolazione in Italia sono molto forti, rispetto agli standard internazionali», ci spiega Toma. «Pensiamo alla tutela della concorrenza, alle norme contro la corruzione e l’evasione fiscale, mali endemici del nostro paese. Queste regolazioni hanno però portato a risultati che le varie istituzioni stanno registrando. Possiamo vederlo nell’incremento dell’efficacia dell’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: ha registrato un volume di sanzioni in forte crescita rispetto agli anni dell’avvio dell’autorità».
I risultati si evincono da una serie di dati. Tra il 2015 e il primo semestre del 2016 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato sanzioni per 433 milioni di euro a fronte di intese e cartelli, mentre per quanto riguarda la tutela dei consumatori e contro pratiche commerciali scorrette l’importo delle sanzioni ha superato i 70 milioni. Nel Documento di Stabilità 2016, presentato dal Governo in Aprile, risulta che il contrasto all’evasione fiscale ha fruttato 14,9 miliardi di euro nel 2015, con un incremento del 4,9% rispetto all’anno precedente. Tra il 2010 e il 2015 si è registrato un maggiore introito di entrate tributarie per 78,5 miliardi, di cui 42 miliardi nel periodo 2013-2015. Il rischio è che tanti controlli, tanti regolamenti creino un clima che limita la creatività e quindi l’innovazione da parte delle imprese. Da un’indagine del Censis realizzata nel 2016 per il rapporto Cotec-Chebanca, si evince infatti che il 38,6% degli italiani individua nelle piccole aziende le vere protagoniste dell’innovazione, più di istituti di ricerca (35,6%) e grandi aziende (21%).
Solo il 12,8% degli italiani, invece, riconosce ai governi e alle amministrazioni un ruolo da protagonista in fatto di innovazione. Anche della percezione negativa delle amministrazioni non siamo sorpresi, visti i recenti eventi. «Abbiamo rilevato, anche con altre analisi», continua Toma, «che nella lista delle cose che frenano le attività delle imprese ci sono la pressione fiscale e gli oneri amministrativi, burocratici». «La semplificazione e la facilitazione sono un obiettivo, i tempi lunghi d’attesa creano ostacoli che impediscono la crescita. Pensiamo alle Startup: si è puntato su questi aspetti che facilitano la messa a regime di un’iniziativa imprenditoriale».
La sharing economy: c’è bisogno di regole
Il curatore della ricerca di parla anche dell’esempio della sharing economy, o economia collaborativa. «Oggi c’è la possibilità e l’opportunità di pagare meno un servizio perchè ci sono piattaforme che facilitano l’incontro tra domanda e offerta» ci spiega. «Non a caso in questi anni di crisi molti hanno cercato di integrare il proprio reddito entrando in nuovi settori. E l’economia collaborativa, che era un’evoluzione del baratto, è diventata un business. Da una parte ci sono i consumatori, dall’altra chi lavora su queste piattaforme, e dall’altra i classici fornitori di servizi. Ci deve essere però un punto di vista normativo.
È in agenda una regolamentazione, a livello europeo, che cerca di normare e di dare trasparenza su questo settore. È un banco di prova: si tratta di trovare un punto di equilibrio tra qualcosa di nuovo, creativo, e l’attività che già opera in questi ambiti. La legge deve garantire una competizione equa tra le imprese. E la tutela del consumatore. Se utilizzi servizi come Blablacar o Huber è naturale che tu come utente devi essere assicurato contro eventuali rischi».
Sicurezza e restrizioni della libertà sono dunque due lati di una stessa medaglia. Come conciliarli? «Il bisogno di sicurezza negli ultimi anni è cresciuto anche per eventi esterni molto importanti», ci risponde Toma. «L’accettazione delle restrizioni conseguenti da parte dell’individuo è anche in funzione di un risultato. La fiducia nelle forze dell’ordine sottintende anche un’attesa di risultato. È anche vero che non possiamo restare in una situazione permanente di ricerca della sicurezza. Se diventa permanente diventa un problema. L’altra cosa importante è adeguare i fenomeni di regolazione davanti a fenomeni che sono mutevoli. Non si può pensare di risolvere i problemi di sicurezza con un sistema prefissato, dato. Anche questo entra nella logica della qualità della regolazione. Questo se non parliamo di un’opinione pubblica che subisce chi alimenta la paura. Ma questo è un altro mondo, che dobbiamo studiare con altri elementi di analisi».
Immagine di copertina: “Treno (metro) Roma – Ostia” di Carlo Leonardini