RIFARSI UNA VITA. LE STORIE DI CHI CE L’HA FATTA, “NONOSTANTE” IL CARCERE

Abbiamo scelto come risposta all'esigenza di giustizia il carcere, che non riabilita. Altri tipi di pena sarebbero più costruttivi

di Paola Springhetti

Abbiamo bisogno di storie, che ci parlino non di problemi astratti o inventati, ma della vita delle persone, della realtà che vivono, vista dal di dentro, in modo da coglierne il senso.

“Rifarsi una vita. Storie oltre il carcere” (ed. Dehoniane 2018), curato da Paolo Beccegato e Renato Marinaro di Caritas Italiana, è un piccolo libro di grandi storie: grandi non perché riguardano personaggi famosi o  fatti eclatanti, ma perché raccontano persone comuni che però fanno una cosa eccezionale: prendono coscienza di sé e dei propri atti, scoprono che, nonostante gli errori, qualcuno si fida di loro e loro possono fidarsi di qualcuno, e cambiano. Persone finite in carcere per i più diversi motivi, spesso complici le difficili situazioni in cui vivevano, ma che grazie alle persone, ritrovano la strada giusta, riescono a rifarsi una vita.

 

vita in carcere
Immagine: Matthias Müller

IL CARCERE NON FUNZIONA. Sottolineo  grazie alle personenon al carcere. Perché le storie di queste persone sono interessanti in sè, ma anche in quanto ribadiscono un’idea di pena che oggi non è molto condivisa dall’opinione pubblica, ma che è indicata nel dettato costituzionale: la pena non solo come punizione, ma come percorso di rieducazione.

Emergono, da queste storie, due temi fondamentali, quando si parla di pena. Il primo è che per accompagnare le persone a rifarsi una vita è necessaria una pedagogia relazionale, che si attua attraverso il “farsi prossimo”, perché, come scrive nell’introduzione Andrea Soddu,  «è nella relazione con gli altri, nell’essere riconosciuti persone, pur nella consapevolezza delle proprie responsabilità, che può iniziare un percorso di rinascita».

Il secondo è che il Il carcere non porta a un cambiamento, perché non porta la persona a riflettere e a prendere coscienza di quello che ha fatto, anzi, spiega Alessandro Pedrotti nella post fazione, «chi oggi trascorre tutto il tempo della pena in carcere, in una condizione di sovraffollamento, in carceri fatiscenti, si vede come vittima e non come autore di reato».

 

IL RUOLO DEL VOLONTARIATO. Da queste due constatazioni, discende il ruolo del volontariato, che la Caritas ha ben chiaro.  Un ruolo che non è solo quello, pur indispensabile, di sostegno e aiuto concreto dentro e fuori dal carcere, per costruire percorsi di autonomia e integrazione. Ma è anche quello, altrettanto fondamentale, di «mettere in discussione la funzione del carcere stesso e il perché la nostra società abbia dato come risposta primaria all’esigenza di giustizia non la pena, ma il carcere, l’allontanamento dalla società» (Alessandro Pedrotti).

Il carcere, in fondo,  è il fallimento di un’idea di persona, di un’idea dei diritti, di un’idea di società.

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Rifarsi una vitaPaolo Beccegato, Renato Marinaro
Rifarsi una vita
EDB, 2018
pp. 142, € 10,00

 

 

 

 

 

 

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