ROMA, DA GRANDE BELLEZZA A GRANDE MONNEZZA
Il problema dei rifiuti a Roma non si risolve senza un piano di gestione integrata, che chiuda il ciclo della lavorazione
08 Luglio 2020
(L’autrice di questo articolo, Matilde Fedeli, sta facendo il servizio civile presso Il Forum Ambientalista)
Tra le varie e sempre nuove problematiche ambientali delle quali ormai ci troviamo costantemente a sentir parlare, vorrei in quest’articolo evidenziarne una in particolare , localizzata, sentendola particolarmente vicina vista “la mia ormai consolidata adozione, in quanto pugliese, da parte della città eterna”. Roma, che ormai sento casa e che noto con amarezza sempre più soffocata, da quella che potrebbe esser invece una sua gran risorsa… e cioè il difficile problema della gestione dei rifiuti capitolini. Vorrei sottolineare come Amministrazioni locali e Regione continuino ciecamente a far passi indietro, invece di promuovere un’ormai improcrastinabile cambio di rotta… a salvaguardia non solo dell’ambiente e del territorio in cui viviamo, ma anche della salute dei cittadini, spesso dimenticati.
Sulla grave questione romana dei rifiuti, Raggi e Zingaretti continuano a rifiutare la realtà… e la dura realtà è che sia Regione che Comune di Roma hanno miseramente fallito il loro retorico obiettivo dell’economia circolare e del rifiuto zero.
Il ciclo rimasto a metà
Partiti in maniera propositiva con la chiusura della storica discarica di Malagrotta, ci si ritrova 6 anni dopo a cercar discariche, di quartiere in quartiere, di Comune in Comune. In 6 anni il nulla, ben 6 o 7 cambi di consigli di amministrazione in Ama, impianti mai rinnovati e in fiamme (come Salario e Rocca Cencia ), piani industriali che dalla teoria del rifiuto zero ora puntano a tutto il contrario, ovvero al ritorno della discarica.
Rifiuti sparsi ovunque per le strade di Roma, dal centro alle periferie… sino a giungere ad una tragica interpretazione dell’economia circolare, che ha condotto a riproporre una discarica a Valle Galeria, a pochi chilometri da Malagrotta. Nome in codice del progetto: “Malagrotta 2.0” e già questo la dice lunga.
Il grande problema, che emerge dai dati forniti da Ispra, è che i quasi 1,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati prodotti nella Regione devono trovare, passando dal trattamento meccanico biologico, collocazione impiantistica: quindi, termovalorizzatore o discarica. Da qui appare evidente un primo problema: Roma e Regione Lazio non hanno un sistema di impianti capace di chiudere il ciclo.
Per la gestione del rifiuto urbano indifferenziato la situazione è dunque fortemente dipendente dall’impiantistica extraregionale e Roma, che produce da sola quasi il 58% del totale dei rifiuti urbani generati nell’intero territorio regionale, dopo la chiusura di Malagrotta, non ha impianti adeguati all’enorme quantità di indifferenziato, con un sistema costituito dai soli impianti di trattamento intermedio. Anche gli impianti di trattamento meccanico situati nel comune di Roma destinano quote consistenti di rifiuti fuori regione, infatti solo il 44% dell’output di questi impianti è destinata a impianti della regione Lazio, il 19% dei quali è costituito da frazioni avviate a riciclaggio.
Dunque il sistema regionale appare decisamente condizionato da scelte progettuali che hanno comportato l’eccessivo ricorso a forme di trattamento intermedio (meccanico e meccanico biologico). Allo stato attuale, la configurazione impiantistica della Regione e di Roma non consente la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti urbani che, come evidenziato, dovrebbe garantire, oltre alla collocazione del rifiuto urbano indifferenziato, anche quella dei rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento intermedio.
Il piano che non c’è
Insomma, possiamo affermare che le passate scelte industriali di Roma e Regione per la filiera del rifiuto si sono fermate a metà strada, cioè agli impianti; scelte sino al 2013 condizionate dal sistema Malagrotta, ovvero dall’incondizionato conferimento dei rifiuti alla storica discarica romana, la più grande d’Europa (non per vantarsene), e in seguito da una puerile teoria del rifiuto zero e dalla fede incondizionata sulle evoluzioni della raccolta differenziata e quindi sulla drastica riduzione del rifiuto indifferenziato, da destinare, appunto, a discarica o termovalorizzazione. O a viaggiare.
In tanti anni di studi, analisi, discussioni, non si è prodotto un piano serio per la chiusura del ciclo dei rifiuti. Una gestione fallimentare, causata da palese incapacità operativa, che provoca continui danni ambientali, che rasentano in alcune aree il vero e proprio disastro ambientale, tra terre dei fuochi, frigo valley e omesse bonifiche.
Discariche: un’idea irrazionale
E in questa idea delle discariche, da Falcognana a Valle Galeria per rispondere all’emergenza di Colleferro, c’è un vero e proprio ritorno al passato, una resa alle incapacità politiche e amministrative. Questa idea della discarica per sopperire all’incapacità generale della gestione dei rifiuti è tanto vecchia e irrazionale che si può pensare venga proposta per stratagemma amministrativo, per farsela cassare da questo o da quello e quindi arrendersi alla necessità del trasporto dei rifiuti fuori regione, in attesa di un qualche salvatore che si accolli l’enorme e puzzolente fardello.
La scelta di favorire, negli anni, il ricorso allo smaltimento in discarica rispetto ad interventi di recupero di materia dalla raccolta differenziata e di energia dai rifiuti indifferenziati, ha ostacolato il raggiungimento di un assetto integrato di gestione dei rifiuti urbani efficiente, nel quale le diverse modalità di gestione venissero poste, laddove possibile, in concorrenza tra loro. Ne deriva che la tariffa a carico dei cittadini del Comune di Roma per la gestione dei rifiuti (TARI) è tra le più alte di Italia e seconda, fra le grandi città, solo a quella di Napoli (378 euro a famiglia, contro una media nazionale di 300 euro, almeno da quanto emerge dall’ultima rilevazione , per l’anno 2019, dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva, che prende come riferimento una famiglia tipo, composta da 3 persone ed una casa di proprietà di 100 metri quadri).
Proposte costruttive
Occorre però , a mio modesto parere, far una constatazione tanto ovvia quanto la scoperta dell’acqua calda, che in molti paesi cd. “virtuosi” (si veda Germania, Svezia) è risultata essere proprio il punto di partenza per un’inversione di marcia , o meglio ancora , per un’intelligente inversione di marcia. Cioè che i rifiuti costituiscono un problema o una risorsa a seconda del modo in cui li gestiamo.
Le criticità emerse nel corso degli anni hanno infatti ulteriormente evidenziato un qualcosa già palese agli occhi di tutti, ovvero quanto sia fondamentale: garantire un riciclaggio di alta qualità, eliminare il conferimento in discarica, limitare il recupero di energia ai materiali non riciclabili e fermare le spedizioni illegali di rifiuti.
E di soluzioni e proposte innovative volte in tal senso, come già detto, ce ne sono state ed anche parecchie… Giusto per citarne un paio: il sostegno o la creazione di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo, specialmente in regioni densamente popolate,(centri di cui esistono già validi esempi e realtà ormai consolidate sul territorio italiano come nel Vicentino o nel Veronese). Questi centri comportano tra i vari benefici, oltre un’ovvia riduzione della pressione sull’ambiente, anche una maggiore sicurezza circa la disponibilità/reperibilità di materie o un incremento occupazionale con la creazione di nuovi posti di lavoro.
Ancora, l’introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto e così via. E tutto ciò nel rispetto di quella famosa gerarchia di trattamento dei rifiuti prevista nella DIRETTIVA 2008/98/CE del Parlamento Europeo, il cui ordine di priorità deriva da ciò che costituisce la migliore opzione ambientale: prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo (per esempio il recupero di energia) e solo infine lo smaltimento.
Proprio Bruxelles ,attraverso le dichiarazioni del commissario Ue all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, continua a bacchettare e ad ammonire Roma e Lazio sulla malsana e controproducente gestione capitolina della raccolta differenziata e dei rifiuti in generale, criticando in particolare l’usanza (ormai quasi necessaria) del trasferimento dell’immondizia in altre regioni e, soprattutto, ricordando anche l’impatto economico che le errate scelte amministrative hanno condotto negli anni, cioè l’imposizione a partire dal 2014 (anno in cui l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea) di sanzioni finanziarie per almeno 200 discariche non conformi alla normativa vigente; sanzioni che diminuiscono con l’aumento dei siti sanati, ma che nel frattempo gravano sulle spalle di ogni italiano e si fanno sentire anche sul bilancio pubblico. Ed a volerla dir tutta, per invertir rotta, Stato ed enti locali potrebbero accedere ai “fondi Ue disponibili per progetti di selezione rifiuti, raccolta differenziata e aumento del riciclaggio”, ma probabilmente non lo sanno o l’hanno dimenticato. Ciò, tenuto conto che la questione romana risulta esser solo la punta dell’iceberg di un problema che riguarda l’intero Paese.
I cittadini e le associazioni
Eppure, il presidente Zingaretti continua a sostenere che il ciclo regionale dei rifiuti, esclusa la Capitale, è in equilibrio. Lasciando intendere che la causa di questa emergenza vada ricercata solo in Campidoglio. Serve invece la realizzazione ed approvazione di un nuovo piano di gestione integrata dei rifiuti per la Regione Lazio rispondente alla normativa comunitaria sul tema adottata nel 2018. Il punto focale di tutta questa storia, di fronte a soluzioni, che esistono ma determinano delle scelte impopolari, è la credibilità dell’amministrazione stessa di andar in una zona di Roma e spiegare agli abitanti che gli impianti AMA oggi possono funzionare in sicurezza, e isolati dal resto, incentivandoli, ricompensandoli, rendendendoli partecipi di questo processo di cambiamento. Invece l’interazione tra chi sa quello che deve fare e chi si affida (convinto da un progetto e da una visione globale) non avviene, perché chi dovrebbe sapere cosa serve alla città in realtà brancola nel buio, e questo i cittadini lo percepiscono.
Ecco perché, come spesso accade, le proposte migliori , le vere prese di posizione e la voglia di darsi da fare in maniera attiva e partecipata per la soluzione di un dramma che tocca tutti, provengono dal basso e non “dall’alto”, come sarebbe invece auspicabile. Tramite ad esempio la promozione di iniziative volontarie da parte dei cittadini, ormai stufi e saturi di quest’inerzia istituzionale ingiustificata, per la pulizia di parchi e strade; o con la creazione di campagne di informazione, sensibilizzazione magari nelle scuole, ( come quella di Ripuliamo Roma!) volte a stimolare le coscienze ed a metter nero su bianco proposte di legge da presentare in Regione quali: la riconversione degli impianti Tmb per recuperare materia, diminuire il ricorso alle discariche e ridimensionare la dipendenza dagli inceneritori, o rendere meno economico lo smaltimento in discarica attraverso l’aumento del tributo speciale (Ecotassa), o ancora rendendo pubblici i dati del ciclo dei rifiuti, affinché ogni cittadino possa conoscere e controllarne il funzionamento.
Insomma, come si suol dire, “le vie del signore sono infinite” quasi come le possibilità ed alternative in nostro possesso per cercare di salvare il salvabile e ridefinire non solo l’assetto organizzativo di tutta la filiera del rifiuto, magari intercettando il bene di cui una persona voglia disfarsi prima che diventi tale e dandogli nuova vita; ma anche ridefinendo la nostra concezione del rifiuto in sé, educando persone, istituzioni che, è vero, è un problema col quale ci toccherà conviver per sempre ma proprio per questo lo si potrebbe vedere in un’accezione diversa, innovativa, adeguata ai tempi ed alle esigenze che corrono, alla consapevolezza che questa città, questo Paese , questo mondo non ci appartengono e non hanno diritto di essere le nostre discariche a cielo aperto.
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