RIGENERAZIONE URBANA: LE CONTRADDIZIONI IN AGGUATO
Si chiama "gentrification" il processo di ricambio sociale che investe alcuni quartieri popolari. Irene Ranaldi fa un confronto tra un quartiere di Roma, Testaccio, e uno di New York
12 Maggio 2015
Chi vive a Roma da molti anni avrà visto interi quartieri, come Monti, Pigneto, Quadraro e Testaccio, trasformarsi e diventare zone alla moda, zone ricche di cultura, o semplicemente zone più belle. Zone più vivibili. Ma anche più costose per andare a viverci. I quartieri in questione sono stati oggetto di un processo che gli inglesi chiamano gentrification, che può essere più o meno spontaneo, e può avere i suoi effetti positivi, ma si porta dietro anche dubbi e criticità.
“Gentrification in parallelo – Quartieri tra Roma e New York” (Aracne editore), di Irene Ranaldi, è il primo libro in italiano che parla di questo fenomeno. “Gentrification” è un neologismo creato da una sociologa inglese, Ruth Glass, per indicare il ricambio sociale che osservava in un quartiere di Londra. Era il 1964, la Seconda Guerra Mondiale non era lontana, e alcuni quartieri di Londra colpiti dal conflitto erano in cambiamento: un ex quartiere operaio, come potrebbe essere il nostro Testaccio, stava per imborghesirsi. È un termine che deriva da “gentry”, borghesia, gente per bene.
«È un fenomeno molto controverso che ha aspetti positivi e altri negativi», spiega Irene Ranaldi. «È negativo soprattutto quando questo ricambio sociale non accade in maniera spontanea, ma grazie a una mano invisibile, quella dei grandi investitori immobiliari, che decidono a tavolino di investire su una zona, la riqualificano, e inevitabilmente i costi degli immobili salgono, e questo determina l’allontanamento coatto delle classi originarie che ci abitavano. È un paradosso: gli artisti “squattrinati” che colonizzano in maniera positiva certi quartieri, perché i prezzi sono bassi, sono una classe creativa che può attirare l’attenzione su un quartiere; all’inizio è una cosa positiva, ma dopo può creare problemi. L’esempio è quello di Eataly a Ostiense: sono investimenti che riportano tutto il circolo del capitale all’investitore. E infatti attorno a Eataly stanno chiudendo molti piccoli negozi. Nella gentrification ci sono aspetti positivi, a tutti fa piacere un giardino riqualificato, e una strada più illuminata e più sicura. Ma ce ne sono anche altri che hanno ricadute sulla vita delle persone ».
Quello che ci salva è la mescolanza
Nella rigenerazione urbana ci sono processi spontanei e altri manovrati, nel senso di speculazione edilizia. Nei quartieri di Roma qual è l’equilibrio tra questi due aspetti?
«In Italia la situazione è particolare. Nella nostra cultura il comprare casa è ancora una cosa che riguarda più del 70 per cento degli italiani. L’effetto negativo della gentrification, l’aumento degli affitti, è qualcosa da cui ci salviamo perché c’è una concezione differente della proprietà rispetto all’immobile. Al Testaccio o al Quadraro, quartieri nati per ospitare una classe operaia o popolare, molti degli immobili sono case popolari, dell’ATER. E questo conserva una mescolanza tra gli abitanti: a Testaccio vive Giuliano Ferrara, ma magari accanto a lui vive un fruttivendolo. Quello che ci salva è la mescolanza, ed è quello che salva Astoria, il quartiere di New York che ho scelto di analizzare. Che come Testaccio ha un’anima divisa in due, una parte di social housing, le nostre case popolari, e una parte di edilizia di tipo privato. Quello che salva questi quartieri è quello che sarebbe bello ci fosse sempre, la mescolanza tra classi ed etnie. In quartieri come Testaccio i gruppi familiari originali si mantengono. A Testaccio come ad Astoria c’è l’attore, l’artista noto, ma c’è anche un’aria di comunità, di paese. Non hai la sensazione di stare in un palcoscenico, di essere preso d’assalto dal turismo, come nel centro storico dove c’è una finta autenticità».
Qual è la particolarità del caso Testaccio?
«La cosa bella è che a Testaccio, come a Monti, sembra non esserci la divisione tra spazio privato e spazio pubblico. Qui ci sono molti palazzi che hanno ancora i cortili, si passa molto tempo nelle piazze. C’è un continuum tra privato e pubblico. Esiste una vita collettiva, comunitaria, che è molto forte. Testaccio è ancora un quartiere che negli anni ha mantenuto la sua anima. Nasce a tavolino per essere il quartiere operaio per eccellenza, ci si costruisce apposta il mattatoio e quasi tutti i lavoratori testaccini erano macellai: e qui ci sono ancora i vecchi macellai del mattatoio e i loro nipoti».
Qual è il parallelo con Astoria, il quartiere di New York?
«Da un passato di zona malfamata, con la chiusura del mattatoio e con la nascita della Scuola di Musica Popolare di Testaccio, piano piano il quartiere ha iniziato ad attrarre prima artisti, e poi molte altre persone. Astoria sta subendo la stessa trasformazione. Era un villaggio legato alla comunità greca, e c’era un’attività che accomunava la gran parte degli abitanti, quello nella fabbrica di pianoforti Steinway, che è tuttora lì. Ci sono elementi comuni che hanno fatto crescere i quartieri in maniera simile. E poi il fatto che gli immobili siano metà privati e metà pubblici».
Ma i processi di gentrification spingono poi gli abitanti originari dei quartieri a trasferirsi, o in Italia le cose vanno in maniera diversa?
«In realtà l’unico vero evento di gentrification a Roma è stato durante l’era di Benito Mussolini, quando ci sono stati gli sfratti a Borgo Pio e nel Centro Storico, quando le persone sono state costrette dalla mattina alla sera ad andare a vivere nelle cosiddette “casette rapide”. In Italia purtroppo abbiamo una classe più svantaggiata, che è quella degli stranieri. A Tor Vergata c’è un grattacielo rimasto incompiuto, occupato da dieci anni da tantissime persone in condizioni disumane. Ci sono tantissimi esempi di precarietà abitativa di questo tipo tra gli stranieri. Al Testaccio sono quarant’anni che il mattatoio è abbandonato, e non c’è mai stata una regia unica per la sua riqualificazione: l’Università Roma Tre, la Città dell’Altra Economia, esperienze belle, ma sporadiche. Ad Astoria, che si trova nel Queens, a Long Island, ci sono due imprenditori che hanno rivoltato come un calzino l’area. Però lì è un’azione ragionata. Poi, puoi essere d’accordo o meno. Qui è difficile, il palazzinaro di turno inizia a costruisce quartieri assurdi, come Ponte di Nona, li lascia senza servizi, e le case rimangono vuote. Ma non si individua un “cattivo” unico. Non per niente nel libro parlo di “gentrification all’italiana”. Ma bisogna fare attenzione: non tutto è gentrification. Il palazzo decorato con i murales a San Basilio è una riqualificazione di un palazzo, per fortuna non è gentrification. Quella è un fenomeno sociale che impatta sulla vita delle persone».
Irene Ranaldi
“Gentrification in parallelo – Quartieri tra Roma e New York”
Aracne editore, 2014
pp. 248, € 15,00