Rom: l’integrazione è un passo di danza
Il libro “Dannate esclusioni” di Vania Mancini racconta l'esclusione dei Rom e i progetti di integrazione, fondati su musica, danza e teatro
26 Maggio 2015
«E mi ricordo… che mi si escludeva prima a scuola, sì io non ero mica nato lì e mi ricordo che mi si escludeva, dicevano che qui c’era poco posto anche così e mi ricordo che mi si escludeva come se da qui io potessi andarmene…”dove”… e mi ricordo che mi si escludeva e sono ancora qui e voi vi siete abituati sì». Sono parole di Vasco Rossi, che compare come una guida e un’ispirazione al lavoro di Vania Mancini, coordinatrice del progetto di scolarizzazione dei minori rom dell’assessorato alle politiche educative del Comune di Roma tramite la cooperativa Eureka I. Canzoni come questa, quelle di qualcuno che un tempo era un diverso, raccontano bene la sensazione di esclusione. Qualcosa che oggi riguarda i Rom più di tutti, ma che, come ricorda Vania Mancini, è trasversale.
Le parole di Vasco Rossi ci guidano al racconto di come, attraverso progetti di musica, danza e teatro, si possano avvicinare le culture, e quindi avvicinare i giovani rom alla scuola. Tutto questo è diventato un libro, “Dannate esclusioni”, edito da Sensibili alle foglie, la casa editrice fondata da Renato Curcio (alla cui cooperativa l’autrice ha ceduto i diritti d’autore). “Dannate esclusioni” è come un concerto di Vasco Rossi: momenti potenti e pieni di impeto e passione, e momenti più riflessivi. Come il racconto dei campi di concentramento nati apposta per i rom durante la seconda guerra mondiale, di cui nessuno sa nulla. Conoscere tutte queste cose invece è importante, perché non accadano più, oggi che i Rom sembrano diventati il capro espiatorio per eccellenza della nostra società.
Il libro Inizia con una canzone di Vasco Rossi, “Mi si escludeva”. Cosa ha trovato di quel pezzo nella situazione dei Rom e come Vasco è un’ispirazione per il suo lavoro?
«È la fotografia dell’esclusione sociale che avviene su tutti i piani, nelle scuole, nei quartieri, nelle città. L’esclusione sociale è trasversale e colpisce un po’ tutti. Lo stesso Vasco era uno che veniva dal paese e si sentiva escluso in quanto montanaro. I primi anni ha dovuto lottare contro i pregiudizi anche lui prima di essere accettato. La stessa difficoltà la trovano le bambine rom all’interno delle scuole, dove vengono additate come provenienti da chissà dove, mentre arrivano dallo stesso quartiere. Sono talmente escluse che quando escono dal campo dicono “vado in città”, anche se il loro campo si trova nel quartiere di Primavalle/Monte Mario, ed è integrato all’interno del quartiere».
Anche le parole su come erano visti gli immigrati italiani dagli americani è molto calzante. Mettersi nei panni degli altri è un modo per evitare di escludere?
«Come dicevo l’esclusione sociale è trasversale. Una volta colpiva gli italiani che andavano all’estero, o gli stessi calabresi, o siciliani, a Roma. La nostra migrazione all’estero è sempre stata vista male dai paesi che ci ospitavano. La dichiarazione che ho messo nel primo capitolo del libro serve a far vedere come gli americani vedevano noi italiani: come noi vediamo i Rom adesso. Veniva giudicato tutto un popolo invece di giudicare una persona. In tutti i contesti ci sono persone oneste e criminali, ma non va condannato tutto un popolo. Oggi sembra che i nostri problemi siano tutti dovuti ai campi rom. Ma, a parte che i Rom oggi sono scomparsi da Roma, stanno tutti fuori dal raccordo anulare, le problematiche vere sono altre. Oggi a Roma muore una persona al giorno per incidenti stradali, ma nessuno ne parla. Le ultime aggressioni oggi sono tutti state fatte da italiani, e anche di buona famiglia…»
Come si riesce con il teatro, la danza e altre forme artistiche a stimolare la conoscenza delle varie diversità?
«La musica e la danza sono uno strumento importante di integrazione. Grazie a queste abbiamo creato dei laboratori all’interno della scuola, che hanno permesso la frequenza delle bambine Rom all’interno della scuola come soggetti attivi. Musica e danza sono veicoli importanti, che aiutano ad esprimere e a far conoscere le proprie diversità. Ora stiamo lavorando su dei laboratori con il Teatro dell’oppresso, che permettono ai bambini di confrontarsi con se stessi e gli altri e di liberarsi attraverso il teatro delle proprie oppressioni. La conoscenza potrebbe essere un primo passo per eliminare i pregiudizi. I Rom sono i primi che non vorrebbero vivere in un campo. Queste bambine ci sono nate e cresciute, mentre i campi dovrebbero essere un passaggio. I Rom non sono nomadi, è un pregiudizio che va sfatato. Molte delle famiglie rom vengono dalla ex Jugoslavia, i loro nonni vivevano nelle case, e Tito aveva dato loro un lavoro. Le bambine con cui lavoro sono di origine slava, ma da due generazioni ormai nascono in Italia e solo ora stanno per avere dei documenti, ma sono dei documenti di serie b».
Ci può raccontare la storia di Zingare Spericolate e della Cheja Celen?
«Cheja Celen significa ragazze (vergini) che ballano: abbiamo creato con le bambine del campo rom di Cesare Lombroso dei laboratori alle scuole elementari e medie, e ora anche alle superiori. Sono state proprio loro a scegliere questo nome. Avevano la possibilità di insegnare le loro danze all’interno del contesto scolastico. Prima di questo progetto, in classe si vergognavano di dire che erano rom. E così hanno avuto la possibilità di avvicinarsi di più alle scuole, e di frequentarle fino alle superiori. “Zingare spericolate” è stato il continuum di Cheja Celen, è un libro che è piaciuto molto anche a Vasco Rossi, che ha acceso la discussione sulla sua pagina Facebook, “Urlo”, e ci ha consigliato di aprire delle nostre pagine Facebook. In questo modo ci ha permesso di arrivare a un tipo di pubblico che è difficile avere, e di essere sostenuti dai suoi fan. Vasco ci ha permesso anche di utilizzare una sua canzone, “Sally”, per un documentario, donando i diritti d’autore alle bambine rom».
Nel libro parla anche di una nuova generazione nata nei campi, ma integrata nella società grazie alle nuove tecnologie e i social. Che riscontri ha avuto in proposito?
«Per parlare con qualsiasi bambino e con le loro famiglie una volta dovevamo andare nei campi. Ora tutti possono comunicare tra loro, ma anche con gli altri e con noi, grazie a Twitter e Facebook, sono tutti muniti di computer e telefonini. Si sono integrati molto di più grazie a questi mezzi, che con tutti i progetti che sono fatti in questi anni. Le nuove generazioni sono molto cambiate: oggi le mamme mandano le bambine in vacanza con noi, con i laboratori, con i centri estivi. Oggi le ragazze si vestono anche come noi. Non parliamo di assimilazione, ma di integrazione, che è importante: riconoscersi nel nostro contesto sociale senza perdere la propria identità».
Non sono in pochi che pensano alla situazione attuale dei Rom come a quella degli ebrei negli anni Trenta. Esiste davvero questo rischio?
«Negli ultimi mesi sono rimasta sconcertata da come le famiglie non capiscano questa ondata di odio, come se i problemi dell’Italia dipendessero da queste quattro comunità rom. Questo accanimento sui mass media da parte della Lega Nord ha rovinato vent’anni di integrazione e di sforzi fatti da famiglie, insegnanti, scuole. Dopo che più di cinquecentomila rom sono stati vittime dei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, oggi c’è chi si permette ancora di proporre di bruciare i campi e di usare le ruspe per abbatterli, come se il problema fosse la struttura. Il problema è cercare di migliorare la vita di tutti all’interno del nostro contesto sociale. Ho fatto uno studio nei campi di concentramento che esistevano in Italia e dove venivano concentrati solo i Rom: erano in Molise, e nessuno lo sapeva. Oggi c’è il rischio che una cosa del genere si ripeta perché questi allarmismi e questo evocare le ruspe ha provocato negli ultimi tempi delle aggressioni nei campi rom, mentre loro sono a disposizione delle istituzioni. Sono le istituzioni che sono venute a mancare. I soldi che sono stati rubati dalla mafia a Roma Capitale non sono mai arrivati nei campi rom».
Come crede si possa trovare una soluzione per andare oltre i campi?
«Ma questo accade solo in Italia. In tutti i paesi europei, Francia, Germania, Olanda, i Rom hanno la possibilità di accedere a una casa, anche se hanno difficoltà di lavoro e di reddito. Qui si è creato questo sistema dei campi, che dovevano essere solo momentanei, prima che fossero inseriti nelle liste per una casa. Sono sempre stati svantaggiati, mai messi allo stesso piano degli italiani non rom. Solo negli ultimi anni alcune famiglie sono riuscite a entrare in graduatoria per una casa. Ma c’è una resistenza da parte delle istituzioni. Anche per chi ha un lavoro e dei soldi è difficile entrare in una casa: se uno vende la casa a un rom nel palazzo c’è subito il panico».
Vania Mancini
“Dannate esclusioni. Campi Rom e campi di concentramento”
Ed. Sensibili alle foglie 2015
pp. 112 – € 15,00