LA STORIA DELLA NOSTRA COSTITUZIONE È UN ROMANZO POPOLARE
Il libro di Giuseppe Cotturri propone una riflessione sul ruolo della partecipazione e in particolare della cittadinanza attiva nella nostra democrazia
17 Aprile 2020
Il libro di Giuseppe Cotturri “Romanzo popolare. Costituzione e cittadini nell’Italia repubblicana” (2019, Castelvecchi Edizioni, Roma, 285 pagine) ricostruisce le alterne e tribolate vicende del rapporto tra Costituzione, sistema dei partiti e processi di partecipazione democratica dei cittadini negli oltre 70 anni di vita della Carta (1947).
La crisi
“Romanzo Popolare” affronta il tema con rigore di documentazione, analisi e in modo sistematico, sia nella disamina storica che nell’attualità del nostro tempo caratterizzato peraltro da una crisi che è economica, politica e sociale insieme.
È economica, in un mercato globalizzato dominato dal “pensiero unico” neoliberista, teso al profitto immediato e alla speculazione finanziaria moltiplicando disuguaglianze e povertà; è politica, nelle forme della rappresentanza, per un sistema dei partiti chiuso in sé (autoreferenziale) e in continua lotta per il potere, poco incline a declinare il proprio operare con i riferimenti valoriali della Costituzione, e inidoneo a imprimere una direzione di sviluppo sociale e culturale al Paese (“il trono è vuoto”); infine è crisi sociale, per le grandi incertezze collettive e i numerosi problemi “venuti al pettine” tra cui: il dilatarsi della condizione giovanile fino alla soglia dell’età matura; la scarsa fiducia nel futuro (denatalità e inceppamento dell’ascensore sociale); il lavoro che manca e che cambia, sempre più precario, instabile e spesso senza diritti; la percezione di insicurezza talvolta alimentata da paure indotte; l’indebolirsi del Welfare e con esso delle risposte ai diritti sociali costituzionalmente sanciti, affinché tutti i cittadini possano svolgere “una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 Cost.).
La democrazia e la partecipazione
Prima evidenza di questa riflessione è che senza il riconoscimento fattuale dei diritti, a rimozione degli ostacoli ad una uguale dignità (art. 3 Cost.) non vi è possibilità di partecipazione dei cittadini. Per l’autore la sfida per una via di uscita è quella di passare da una “Repubblica dei partiti” ad una Repubblica dove conta anche il civismo dei cittadini.
Tra i molteplici temi affrontati dall’autore nel denso volume “Romanzo Popolare” vi sono: i fondamenti della Costituzione e lo sviluppo democratico necessario per attuarla; la “sovranità popolare” da salvaguardare e da sviluppare nel concetto di una Costituzione “progressiva”, grazie al suo potere costituente prolungato e di indirizzo permanente sull’evoluzione del Paese; il contributo a realizzare una “Costituzione vivente” dei diversi soggetti della società vivile – dai “sindacati dei diritti” post ’68, al nuovo volontariato fino alle forme di cittadinanza attiva; il difficile rapporto dei partiti con la Carta con i loro plurimi tentativi di negarla e poi di piegarla a fini di parte e per una lotta di potere.
Di fronte allo scenario di crisi epocale del nostro Paese, interdipendente con il mondo globalizzato, la democrazia rappresentativa non è sufficiente a esprimere la sovranità popolare, mentre i partiti sono strumento “imperfetto” per giungere alla determinazione dell’”interesse generale”. È necessario anche l’impegno delle forze della società e di tutte le forme di partecipazione, delle diverse modalità di fare politica, ovvero “sfera pubblica”. L’autore guarda con grande interesse alla cultura politica che oggi avanza sulle gambe della “cittadinanza attiva”, legittimata dal “potere sussidiario” costituzionalmente sancito (art. 118 u.c.) esercitato da minoranze attive, che realizzano in modo autonomo e autorganizzato attività di “interesse generale”, come lo sono quelle finalizzate alla difesa dei diritti, al sostegno dei soggetti deboli, alla cura dei beni comuni. E con l’obbligo, per i governanti, di favorire e sostenere le attività civiche d’interesse generale.
In tal modo tra politica (dei partiti), istituzioni e società non vi è un rapporto gerarchico ma circolare, dialettico, in continuo movimento. Così la cittadinanza attiva diviene motore di cambiamento dell’ordine sociale e politico, è partecipazione al concreto governo del Paese. Ciò richiede “processi di apprendimento collettivo” e con la crescita delle persone si produce un accumulo di saperi e di competenze utili al governo della comunità, traducibili in proposte e produttive di legami sociali (coesione).
Le due storie
Nella vita della Repubblica, secondo l’autore, due storie si sono intrecciate e scontrate sul terreno della attuazione e della riforma della Costituzione: quella della lotta strategica dei partiti – per avere una posizione dominante nel governo del Paese utilizzando la Costituzione in modo “strumentale” rispetto ai loro obiettivi politico-strategici – e la storia di movimenti e di nuovi soggetti e delle varie forme di autonomia del sociale che spesso in contrapposizione ai partiti hanno rivelato e attuato alcune potenzialità della Costituzione, così “che si faceva vita reale”. Per cui «non solo intervento nelle politiche pubbliche ma pratica di vera e propria politica costituzionale».
Il passaggio dal modello particolaristico di Welfare al modello universalistico si deve molto alla spinta delle lotte sindacali e dell’impegno di un moderno volontariato che con le sue pratiche innovative e proposte concrete acquisisce un “ruolo politico” che trova fondamento esplicito in una Costituzione da inverare. Questa ha vissuto alterne vicende – dalla sua neutralizzazione nel tempo della Guerra Fredda, che ha inibito nel nostro Paese la possibile alternanza di forze politiche al governo e alimentato la radicale politicizzazione degli estremismi violenti – a momenti favorevoli con le “correnti calde” che provenivano da istanze partecipative dal basso o da ipotesi di espansione della democrazia con la proposta di “solidarietà nazionale” tra i partiti (1976-1978) e la stagione di una legislazione dei diritti civili e di riforme in campo sociale e sanitario, stagione tramontata con l’omicidio di Aldo Moro.
Per un lungo periodo storico la Costituzione è stata invece mortificata dalla politica dei partiti (oltre che dai veti internazionali) che hanno rallentato e frenato la democratizzazione – condizionando il sistema elettorale e l’autonomia del Parlamento, contrastando il potere dei referendum, ignorando le proposte di legge di iniziativa popolare, travisando il significato del principio di sussidiarietà – mentre tra i soggetti autonomi che hanno scoperto la Costituzione c’è stata invece nel tempo una progressiva accelerazione delle spinte partecipative.
Due articoli da riscrivere
Oggi possiamo dire con Cotturri che la Carta manifesta ancora un disegno di valori e diritti a cui tendere. L’autore avverte però del pericolo che le forze della società civile vengano imbrigliate da una legislazione di controllo (Riforma del Terzo settore), con pretese di una loro regolamentazione burocratica, che se comprensibili in una logica di “sostituzione” e “delega” del Pubblico con la gestione esternalizzata dei servizi, non lo sono per chi come il volontariato anticipa le politiche pubbliche, le affianca, le implementa, le allarga, le corregge, ma non le sostituisce. Solo così il volontariato è “sviluppo creativo” della Costituzione stessa nel sistema politico allargato, dove la politica è diritto e responsabilità di tutti, cioè fa parte dell’agire comune dei cittadini.
Proprio per allargare il concetto di sovranità popolare l’autore presenta la proposta di riscrittura di due articoli della seconda parte della costituzione (artt. 49 e 138) con cui, nel primo, viene allargato il concetto di partecipazione di tutti i cittadini anche “con autonome attività civiche alla realizzazione di interessi generali” e, con il secondo, si chiedono maggiori garanzie rispetto alla revisione della Costituzione, più volte tentata dai partiti a colpi di maggioranza, e sull’intangibilità dei suoi principi fondamentali.