ROTTE DEI MIGRANTI, QUANTO È LUNGO IL VIAGGIO VERSO L’EUROPA
"Esodi", la mappa interattiva di Medu, descrive le cinque rotte dei migranti dall'Africa Sub-Sahariana per l'Europa. Raccontando violenze, torture, traumi, speranze.
14 Settembre 2016
Presso la sala conferenze dell’Associazione Stampa Estera è stata presentata ieri 13 settembre la mappa web interattiva Esodi, sviluppata dagli operatori di Medici per i Diritti Umani (Medu), che racconta le rotte dei migranti dall’Africa Sub-Sahariana verso l’Europa. La mappa descrive le tappe principali, le difficoltà, le violenze, le tragedie e le speranze dei migranti attraverso i loro racconti. Sono oltre mille infatti le testimonianze raccolte da Medu nei luoghi dove opera, dando supporto socio-sanitario ai migranti, come nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) di Ragusa e nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo, ma anche a Roma, nei luoghi informali di accoglienza, come in via Cupa, e presso il centro Psychè per la riabilitazione delle vittime di tortura, gestito dalla stessa MEDU.
Le rotte dei migranti verso l’Italia
I migranti intervistati (e assistiti) provengono da diversi Paesi sub sahariani e tutti sono arrivati in Italia percorrendo una delle cinque principali rotte dei migranti ricostruite nella mappa interattiva.
Tre occidentali, percorse da chi fugge dai paesi dell’Africa Occidentale, passando per il Niger e la Libia (che impiegano in media 20 mesi ad arrivare) e due orientali, percorse soprattutto dai migranti provenienti dal Corno d’Africa, passando attraverso il Sudan e la Libia, o in una percentuale più bassa, l’Egitto (in media di 15 mesi di viaggio).
Per tutti i migranti esistono tre grandi criticità durante il loro percorso. La prima è quella che vivono nei loro Paesi di provenienza, ciò che li spinge a fuggire. Dalle statistiche raccolte dagli operatori di Medu è solo il 10% che abbandona il proprio Paese per motivazioni prettamente economiche. In molti scappano per persecuzioni politiche, per l’alto tasso di violenza, le guerre civili. Dal Corno d’Africa, soprattutto dall’Eritrea, il 90% dichiara di abbandonare il Paese per sfuggire al servizio militare obbligatorio e illimitato, che si trasforma in una specie di lavoro forzato a vita.
La seconda criticità è l’attraversamento del deserto. Questo è un punto poco conosciuto o considerato dal grande pubblico, che associa la migrazione e i viaggi della speranza soltanto all’attraversamento del Mediterraneo. Ma attraversare il deserto è ancora più pericoloso e difficile. «Si passano giorni, settimane in mano ai trafficanti», racconta Ibrahim, ragazzo del Niger ora mediatore di Medu, «possono lasciarti un giorno intero nel deserto senza acqua né cibo, la morte nel deserto è quella che provoca più sofferenza». Mentre dei morti nel mare si riesce a fare una stima, seppur incompleta, chi muore nel deserto lo fa senza lasciare tracce.
L’ultima criticità è poi l’attraversamento del Mediterraneo, ultima peripezia da affrontare, prima di quelle che si incontreranno in Europa. Anche qui si è in balia dei trafficanti. Si paga e poi si è costretti a salire su una barca, qualsiasi essa sia e in qualsiasi condizione, non ci si può più rifiutare. «Hanno obbligato 112 persone a salire su una barca anche se ognuno di noi pensava che saremmo morti», dice un ragazzo del Gambia, la cui testimonianza si può leggere su Esodi.
Nove su dieci hanno subito violenze e torture
Esodi non è, infatti, soltanto una mappa delle rotte dei migranti, un report con i dati e le statistiche, certo interessanti, ma soprattutto una testimonianza con le storie e i racconti di quelle vite che compongono quei numeri e statistiche.
Nove testimoni su dieci sono stati vittime di violenza intenzionale, di tortura e di trattamenti inumani e degradanti nel paese di origine e/o lungo la rotta migratoria.
La Libia è il Paese con il più alto tasso di violenza, dove non esistono posti sicuri e si può essere vittima di bande criminali, dell’esercito, di milizie, di singoli delinquenti.
Altissimo è il rischio di subire violenza sessuale da parte delle donne, ma anche giovani e ragazzi non sono esenti da questo tipo di violenza.
Anche il rischio di essere sequestrati e subire violenze e torture, se non si riesce a trovare i soldi per pagare il riscatto, è altissimo. «Un giorno sono stato arrestato e portato in una prigione a Tripoli», ha testimoniato un giovane proveniente dalla Guinea-Bissau. «Sono rimasto lì per 8 mesi. Stavo in una cella con altre 300 persone. Ci picchiavano tutti i giorni. Potevi essere rilasciato solo se pagavi. Ho visto soldati obbligare i prigionieri a chiamare i propri familiari e chiedere di farsi spedire i soldi mentre venivano torturati. Per 8 mesi non ho mai visto un dottore. Ho visto 4 persone morire di fronte ai miei occhi a causa delle forti percosse che avevano ricevuto».
Un’epidemia nascosta: i traumi psicologici
Moltissimi migranti, oltre a subire violenze, vedono morire i propri compagni di vita, di viaggio, o semplicemente di cella. «Quando passi attraverso queste esperienza», ha detto Thierno, prima paziente e ora volontario del team Medu in Sicilia, «tu non sei più una persona normale. Subisci cose che disturbano e alterano la tua coscienza».
«È una specie di epidemia nascosta», dice Flavia Calò, responsabile del team Medu in Sicilia. «I traumi psicologici sono quelli più difficili da affrontare e spesso l’Europa non riesce a dare risposte adeguate.
Serve assistenza, servono mediatori per la lingua, ma anche capire la cultura delle persone che arrivano». «Quando Shiva, 10 anni, dalla Liberia, disegna il mare, lo colora sempre di nero, poiché per lei, il Mediterraneo rappresenta oggi solo morte e dolore», racconta Alberto Barbieri, coordinatore di Medu. «Io mi commuovo quando li vedo sorridere», dice Angelo, operatore del team di Medu, perché è come ridargli la vita, ridargli un pezzo di qualcosa che avevano perso».
Nonostante la situazione riportata da Medu sia quindi di migranti in fuga, che subiscono violenze di ogni genere lungo tutto il percorso che li porta ad arrivare nel nostro Paese, negli ultimi anni la percentuale di richiesta d’asilo o di protezione umanitaria riconosciute è diminuita esponenzialmente. Alla base di questo c’è spesso «un’aridità e un tecnicismo delle commissioni che analizzano le richieste», dice Barbieri, «ma c’è anche un segnale politico, si applicano i diritti in maniera restrittiva».
Ma non sono solo la burocrazia e le commissioni ad ignorare, non conoscere o non considerare appieno, le esperienze attraverso cui passano la maggior parte dei migranti che arrivano nel nostro Paese. Il grande pubblico ha spesso una idea vaga e si ferma alle tragedie (certo numerose) dei naufragi in mare. Esodi è certo uno strumento attraverso cui poter prendere un po’ più coscienza di cosa sono realmente le rotte migratorie percorse da uomini, donne e bambini provenienti dai Paesi dell’Africa Sub-sahariana.